sabato 14 aprile 2018

La sommossa per Alfie Evans






Tom Evans cerca di portare via il figlio dall’Alder Hey, la polizia irrompe in ospedale, a centinaia si radunano per chiedere la liberazione del bimbo. Perché l’Inghilterra ha paura della vita «futile» di un bambino?

Aprile 14, 2018 Caterina Giojelli

Gli hanno detto che i supporti vitali di Alfie verranno staccati il prima possibile, al massimo entro il 21 di questo mese. Che non può portare fuori dall’ospedale suo figlio, se lo farà verrà arrestato. Che il bambino è attualmente sotto ordine di protezione, «ma tutto questo è falso. Andremo in appello lunedì», spiega il padre Tom Evans intervistato da Benedetta Frigerio per la Nuova bussola quotidiana. Il 16 aprile il caso di Alfie Evans tornerà dunque davanti ai giudici e fino ad allora, nonostante non sia stata revocata loro la patria potestà, i genitori non potranno trasferirlo da nessuna parte: ha stabilito così un documento del tribunale consegnato ieri dai medici agli Evans che attesterebbe proprio il contrario di quanto sostenuto dallo stesso giudice dell’Alta Corte di Londra Anthony Paul Hayden nell’udienza dell’11 aprile, cioè che Alfie non è prigioniero dell’ospedale pediatrico in cui è ricoverato. Le notizie che giungono da Liverpool sono confuse e contraddittorie; in un comunicato stampa diffuso dalla famiglia si spiega che la notte tra il 12 e il 13 aprile l’ospedale ha ottenuto via fax un ordine per porre il piccolo sotto la custodia del tribunale, esautorando i genitori dei loro diritti. Durante l’udienza dell’11 aprile infatti Hayden, dopo aver definito «futile» la vita del piccolo come parlasse di un trattamento sanitario, aveva deciso di respingere la richiesta di habeas corpus e le controprove presentate dall’avvocato della famiglia, confermando il distacco dei supporti vitali in data, ore e luogo da non rendere pubblici «per tutelare il diritto alla privacy del bambino».

LA REVOCA DEL DOVERE DI CURA. Proprio l’ossessione per la privacy più volte sottolineata in aula dal giudice nella sua durissima reprimenda ai genitori del bambino – rei di aver diffuso sui social i video che documenterebbero un miglioramento delle condizioni di Alfie dopo la diminuzione delle dosi di un farmaco –, ha prodotto un effetto del tutto opposto la sera del 12 aprile, quando Tom Evans, a poche ore dall'”esecuzione” (secondo molti media fissata per il giorno successivo) ha raggiunto l’Alder Hey di Liverpool: passaporti in tasca, parere legale del Christian Legal Center che rappresenta la sua famiglia alla mano, équipe medica polacca ed eliambulanza pronta a partire probabilmente per l’Italia (dove sappiamo che l’ospedale Bambin Gesù ha dato la propria disponibilità al ricovero del bambino, ma si è detto disponibile a un consulto polispecialistico anche l’Istituto neurologico Besta di Milano e l’ospedale di Monaco), il padre di Alfie si è presentato in reparto con ventilatore e valigie per esercitare il proprio diritto genitoriale, revocando formalmente il dovere di cura dall’Alder Hey e trasferendolo ai nuovi medici. Un atto legale ed esecutivo nel Regno Unito, dove, ricordiamolo, nonostante l’avvocato della famiglia avesse invocato per il piccolo l’habeas corpus, richiamandosi cioè al principio fondamentale inglese della inviolabilità personale, il giudice si era rifiutato di pronunciarsi in materia, affermando che il suo “unico mandato” era quello di stabilire un piano di fine vita per Alfie. Secondo il Christian Legal Center i genitori, con il supporto di un team di professionisti medici e con le necessarie attrezzature di supporto vitale, in base alla legge inglese avevano pertanto il diritto di portare via Alfie.

LA POLIZIA IRROMPE IN OSPEDALE. Quello che è successo dopo, tutto filmato dai presenti e diffuso sui social da migliaia e migliaia di persone, è che la polizia chiamata dall’Alder Hey per fermare Evans ha fatto irruzione nell’ospedale, bloccando letteralmente tutte le porte di entrata e di uscita, trasferendo tutti i bambini dal reparto di terapia intensiva dove si trovava Alfie, mentre a centinaia si radunavano fuori a manifestare e chiedere a gran voce la “liberazione” del piccolo. I negoziati si sono protratti fino a notte fonda: pare che sia stato solo a questo punto che i servizi sociali abbiano richiesto un ordine di protezione per il bambino e la rimozione dei diritti parentali ai genitori, e che sia stata inviata una richiesta di ordine restrittivo al giudice da parte dell’ospedale. Non solo, dal comunicato della famiglia si apprende che durante quelle ore concitate il loro avvocato riceveva ordine di presentarsi la mattina seguente a Londra per dare conto al giudice Hayden del parere legale consegnato a Tom Evans. Lo stesso giudice che ha inspiegabilmente dichiarato in tribunale che ad Alfie era stata diagnosticata una malattia mitocondriale, cosa che ad oggi non è stata suffragata da prove. La sommossa di Liverpool rimbalzata su tutti i social è servita: la Corte riesaminerà il caso e, stando al comunicato, valuterà la richiesta di habeas corpus sospendendo fino a lunedì la rimozione dei supporti vitali. Nel frattempo però un bambino resta a tutti gli effetti recluso e ci costringe ancora una volta a prendere posizione laddove si presume che tutto debba essere delegato a leggi e ordinamenti. E a porci delle domande.

SEQUESTRO DI STATO. Ma di cosa hanno paura in Inghilterra? Della vita «futile» di un bambino di 23 mesi a cui non è ancora stata diagnosticata la sua malattia? Dei suoi genitori da fermare e bloccare in formazione antiterroristica? Quello che è certo, come ha scritto Assuntina Morresi sull’Occidentale, è che «ormai il re è nudo», «se Charlie Gard ha acceso i riflettori squarciando il velo sul sistema eutanasico (ma la legge britannica ancora proibisce l’eutanasia) messo in piedi nel Regno Unito, Alfie potrebbe far saltare proprio quel sistema: basta con i sequestri di Stato, basta con la morte di Stato! E il surreale spiegamento di forze messo in campo dagli inglesi mostra quanto le autorità temano questo pericoloso precedente. Ma d’altra parte, quanto può durare la polizia a piantonare un bambino malato di due anni, in terapia intensiva, insieme al suo papà e alla sua mamma? E come pensano di staccare il ventilatore, oggi?». Oggi che due genitori giovani si sono ribellati a tutti i discorsi, le sentenze, i giudici per permettere a un figlio di restare un avvenimento e non un programma difettoso da terminare.

















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