venerdì 12 gennaio 2018

Frutti della grazia del motu proprio Summorum Pontificum per la vita monastica e la vita sacerdotale (II parte)








Una forma volta a Dio, ma a misura d’uomo


Proseguiamo l’indagine sugli elementi propri della forma extraordinaria che favoriscono la presa di coscienza della presenza del sacro. (Seconda parte)

Il rito

Raccoglimento, adorazione, silenzio



In primo luogo, vengono le disposizioni di raccoglimento, di adorazione e di silenzio religioso. In tal senso, così scrive il cardinale Robert Sarah in La forza del silenzio:
“Vorrei fare un appello a una vera conversione! Cerchiamo con tutto il nostro cuore di diventare in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche ‘un’Ostia pura, un’Ostia santa, un’Ostia immacolata’! Non dobbiamo avere paura del silenzio liturgico. Come mi piacerebbe che i pastori e i fedeli entrassero con gioia in questo silenzio pieno di sacro rispetto e di amore del Dio indicibile. Come mi piacerebbe che le chiese fossero luoghi in cui regna il grande silenzio che annuncia e rivela la presenza adorata di Dio. Come mi piacerebbe che i cristiani, nella liturgia, potessero fare l’esperienza della forza del silenzio!” (La forza del silenzio, trad. it., Cantagalli, Siena 2017, n. 265, p. 163).

Queste righe sono illustrate dalla recita silenziosa del canone. Analogicamente, essa è nella forma extraordinaria ciò che è l’iconostasi per i nostri fratelli orientali: questo luogo, questo momento, è sacro.

Se i monaci di Fontgombault, dopo avere praticato per circa dieci anni il messale del 1969, hanno desiderato un ritorno al messale del 1962, è perché tale messale sembrava loro in particolare armonia con la vita monastica, la ricerca di Dio nel silenzio del chiostro, la comunione profonda in un cuore a cuore, preludio del faccia a faccia dell’eternità. Il carattere più contemplativo di questa forma promuove la dimensione verticale della liturgia, che è “cammino dell’anima verso Dio” (Benedetto XVI). Così, che gioia la riscoperta della liturgia dell’ottava di Pentecoste!


Ripetizioni e sobrietà

Secondariamente, osserviamo che il messale del 1962, come gli altri riti anteriori alla riforma liturgica, non teme le ripetizioni, i doppioni, le insistenze. Esso si prende il suo tempo, perché l’uomo ha bisogno del tempo, sollecitando instancabilmente uno spirito errante per riportarlo all’essenziale.
Il Vangelo c’insegna che la Vergine Maria meditava conservando fedelmente nel suo cuore (cfr. Lc 2,19;51) gli avvenimenti che segnarono la nascita del suo Figlio. Ugualmente dev’essere per il contemplativo, per il monaco: non multa sed multum, non la quantità, ma la qualità.
Amica della tradizione monastica, Hélène Lubienska de Lenval (1895-1972) sosteneva una pedagogia fondata essenzialmente sul silenzio e i riti. Così scriveva:

“La liturgia è lenta: essa ama la minuzia, le ripetizioni e i preparativi interminabili. Essa trae il suo ritmo dalla pedagogia divina che ha modellato il popolo eletto per mezzo di un rituale lento e minuzioso. Quando si affretta sotto la pressione della vita moderna – frenetica perché infeodata alla materia – essa perde la sua efficacia psicologica e diventa formale… Essa resta operante là ove mantiene il suo proprio ritmo, presso i monaci. La liturgia combatte al contempo la pesantezza dei muscoli e l’impazienza dei nervi; essa impone al medesimo tempo il movimento e la lentezza. Ed è attraverso la lentezza che la liturgia domina il tempo. Perché tempo e materia sono correlati, e non si può vincere l’uno senza l’altro. L’uomo moderno va in senso inverso e cerca di sventare il tempo con la velocità. Ahimè, lungi dal dominare la materia, vi s’impantana” (L’entraînement à l’attention, Spes - Centre d’études pédagogiques, Parigi 1953, pp. 85- 86).
Aggiungiamo una riflessione a proposito del lezionario del messale del 1962, ritenuto povero. L’arricchimento della lettura della Sacra Scrittura uscita dalla riforma liturgica, la lunghezza di talune pericopi, non saranno di ostacolo alla contemplazione? Certamente, i laici che hanno sempre meno tempo da dedicare alla lectio divina, forse anche i sacerdoti secolari, schiacciati dal ministero, ne trarranno profitto. Per i monaci, l’abbondanza e la varietà delle letture, gustate da alcuni e sicuramente non senza valore, appaiono piuttosto generalmente come eccessive. Questo partito preso sacrifica la ripetizione delle pericopi rilette, ruminate, imparate a memoria, mai esaurite. La moltiplicazione dei Prefazi potrebbe suscitare un’analoga riflessione. Il cardinale Ratzinger ha suggerito saggiamente “alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso – più scelta di prima, ma non troppa” (Lettera al prof. Heinz-Lothar Barth del 23 giugno 2003), ciò che potrebbe essere adottato nella forma extraordinaria: non multa sed multum. La sobrietà invita alla contemplazione.


L’offertorio

Fra le ricchezze del messale del 1962, molti sottolineano la profondità delle preghiere dell’offertorio. Come scrive il cardinale Sarah, “[esso] è, però, il momento in cui, come indica il suo nome, tutto il popolo cristiano si offre, non solo insieme a Cristo, ma in Lui, mediante il suo sacrificio che sarà realizzato nella consacrazione” (La forza del silenzio, cit., n. 266, p. 164).
Suscipe sancte Pater... quam ego indignus famulus tuus... In spiritu humilitatis et animo contrito... Grandezza del mistero, del sacro, e umile condizione del servitore di cui il Signore vuole avere bisogno, si affiancano. Sarà così fino al Placeat finale:sacrificium quod oculis tuae majestatis indignus obtuli.




[Dom Jean Pateau O.S.B., Padre Abate dell’abbazia Notre-Dame di Fontgombault, “Fruits de la grâce du motu proprio Summorum Pontificum pour la vie monastique et la vie sacerdotale”, conferenza in occasione del V Convegno sul motu proprio Summorum Pontificum, dal titolo Il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI: Una rinnovata giovinezza per la Chiesa, svoltosi a Roma, presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, il 14 settembre 2017. Trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B. / 2 - continua (la prima parte qui)]


















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