giovedì 8 giugno 2017

Ragione e mostri




di Marco Luscia (07/06/2017)

A volte discutendo con persone anche di una certa cultura mi imbatto in affermazioni di questo tipo: “anche i cristiani un tempo erano fondamentalisti, prendevano la bibbia alla lettera, e in fondo il magistero ecclesiastico e la dottrina sono una forma di rigidità che genera atteggiamenti intolleranti”.

Argomenti di tal fatta fanno acqua da tutte le parti. Conosco piuttosto bene l’islam, in particolare la variante radicale e conosco bene il cattolicesimo.

Quando mai il cattolicesimo ha preso la bibbia semplicemente alla lettera? Sin dai padri apostolici il testo Sacro è stato letto secondo chiavi interpretative diverse e complementari; analogica, simbolica ecc. Quando prevalga una sola chiave di lettura allora si perde qualche cosa. La parola di Dio non è mai stata intesa come direttamente insufflata nella mente del redattore biblico; proprio per questa necessità interpretativa la Chiesa ha sempre letto la Parole partendo dalla propria tradizione viva. Il testo Biblico pertanto non è mai stato liberamente interpretato, questo perché a garanzia della “sua lettura”, sono stati posti il magistero della Chiesa e la tradizione.

Senza pretesa di verità assoluta, l’ampio margine interpretativo, garantito dall’argine del magistero ha evitato “le piene pericolose e le alluvioni” delle “troppo libere” interpretazioni.

È l’esistenza di un magistero che ha scongiurato letture fondamentaliste; peraltro mai dimenticando come il Vangelo sia, un radicale messaggio di amore. Le dispute teologiche le ardite interpretazioni esegetiche spesso hanno dimenticato il ruolo di argine prudenziale proposto dalla “dottrina ufficiale”. Abbiamo in tal modo assistito al proliferare di eruditi interpreti della Sacra Scrittura sprovvisti della necessaria umiltà di ammettere che i loro erano punti di vista, peraltro spesso clamorosamente smentiti, da eruditi più eruditi di loro.

L’Islam invece non ha un interprete ufficiale, non ha un magistero; le scuole giuridiche interpretano con accenti più o meno letteralistici il Corano e la Sunna. Si sono in tal modo originate letture dei testi sacri molteplici e nessuno può affermare di possedere l’interpretazione autentica. Affermare che il vero Islam è pacifista significa non conoscere l’Islam, come affermare che l’Islam sia una religione violenta; si tratta di diversi approcci al testo sacro; semplicemente perché non esiste un vero Islam, ma esistono molti modi di vivere ed interpretare la religione musulmana. E questo i musulmani lo sanno benissimo.

Appare quindi del tutto fuori luogo accusare la dottrina cristiana di fondamentalismo, quando è invece proprio essa che garantisce da derive interpretative fuori controllo.

Si dirà che il vento soffia dove vuole, con ciò affermando che lo Spirito di Dio è libero; per carità, anche questo è vero, ma nessuno possiede personalmente un carisma soprannaturale tale da poter negare duemila anni di magistero, magari per amore di un filosofo alla moda, o per l’eccessivo valore attribuito all’ossessione ermeneutica che seziona i testi in basi a criteri presunti oggettivi. Il metodo storico critico non è l’interpretazione autentica della parola di Dio, è un semplice strumento accanto ad altri.

Solo dentro la fede della Chiesa orante, nell’alveo millenario, costituito da magistero, pietà popolare, teologia, sacramenti, storia, è possibile far vivere, sempre rinnovato, il richiamo del Vangelo alla conversione.

Il semplice amore non basta, senza una teologia morale che indichi l’operatività dell’amore, tutto si dissolve nel sentimentalismo e infatti troppo spesso oggi si scambia lo sforzo d’amare per l’amore vero. In tal modo la nozione di peccato scompare e tutto si giustifica. Lo sforzo d’amare infatti è presente sempre in ogni esperienza umana, anche nelle più contraddittore, è presente nel tradimento, nella gelosia, nelle vendette, nella troppo pietà o nel troppo odio, nelle grandi utopie, nelle ideologie che hanno condotto alle carneficine, nell’amore malato di un padre e di una madre, nell’amore tentato di un figlio.

Se dovessimo guardare allo sforzo saremmo tutti assolti.

Il fatto è che la troppa erudizione, il troppo intellettualismo generano mostri proprio come il sonno della ragione. Potremmo dire che non solo il sonno della ragione genera mostri ma pure l’eccessiva veglia della stessa.

Per questo il grande Tommaso insegna come la teologia sia una scienza pratica, essa infatti si comprende e si spiega non soltanto attraverso l’intelletto, ma pure attraverso la vita vissuta esattamente come la ricetta di una buona pasta al forno la si può valutare soltanto mangiando la pasta.

Per questo dobbiamo dire grazie allo sforzo posto in essere dal magistero lungo i secoli, grazie per non aver ceduto a tentazioni mondane o alla terribile presunzione di pensare di potercela fare da soli. Grazie per aver sempre coniugato pensiero e preghiera, azione e contemplazione, prassi e teoria.









http://www.libertaepersona.org/






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