sabato 25 febbraio 2017

Don Elia. Dittatura protestante




don Elia, 25 febbraio 2017


Terzo peccato contro lo Spirito Santo: impugnare la verità conosciuta (dal catechismo).

Vien da pensare che tutte le diocesi cattoliche e le facoltà teologiche abbiano ricevuto da Roma un ordine tassativo e ineludibile, secondo il più tradizionale stile centralistico della Curia, ma in senso esattamente opposto: quest’anno sembra obbligatorio celebrare il cinquecentesimo anniversario della “riforma” luterana. Ovunque un pullulare di convegni, settimane intensive, incontri ecumenici con pastori e pastore… tutto, ovviamente, con un unico intento celebrativo e apologetico (al contrario), quasi si trattasse di una sorta di nemesi storica che dovesse riparare le esecrabili condanne del Concilio di Trento (le quali – sia detto per inciso – sono dogmi di fede e non si possono contestare, sotto pena di scomunica). Si direbbe che, senza i cosiddetti “riformatori” protestanti, la Chiesa non avrebbe mai ritrovato la verità del Vangelo, smarrita per strada, né la sua vera identità, deformata fin dall’epoca costantiniana.

In ogni regime totalitario che si rispetti, bisogna riscrivere la storia in funzione della giustificazione e del mantenimento del potere impostosi con la rivoluzione. Fino a quattro anni fa non avremmo mai immaginato che qualcosa del genere potesse accadere nella Chiesa Cattolica; eppure è proprio ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Approfittando del calo generale del livello culturale, nonché della spaventosa ignoranza crassa che regna in seminari e conventi, tutto uno stuolo di docenti e pubblicisti si è lanciato in una gara indecorosa di elogi a Lutero e compagni, con una concomitante demolizione della coeva storia cattolica. La falsificazione od omissione dei dati storici è talmente grossolana da lasciare sbalorditi, specie se operata in ambienti accademici. È pur vero che già da decenni, anche a casa nostra, si distorce la realtà storica a favore dei protestanti e a detrimento della Chiesa, ma quest’opera di volgare mistificazione non aveva ancora raggiunto un tale grado di aggressività e spudoratezza.

In realtà abbiamo tutte le ragioni per credere che l’anima di Lutero (e, con ogni probabilità, quelle di altri “riformatori” come lui) si trovi all’Inferno. A conferma di ciò, c’è la visione della beata Serafina Micheli; ma per convincersene – pur riconoscendo che in questo campo non possiamo avere certezze assolute, prima del giudizio universale – è sufficiente considerare i tratti salienti della vita dell’eresiarca. Entrato nel convento agostiniano di Erfurt per sfuggire alla giustizia dopo aver ucciso in duello un compagno d’università, il giovane Martino perseverò in una vocazione che non aveva, fino ad accedere al sacerdozio. Questa situazione provocò in lui un terribile conflitto interiore, alimentato dall’incapacità di osservare la continenza perfetta cui lo obbligava il suo stato. Dopo ben dodici anni di tormento apparentemente senza soluzione, il professore di Sacra Scrittura credette un giorno di aver trovato la via d’uscita.

Un versetto della Lettera ai Romani, da lui sempre inteso in senso negativo, si schiuse d’un tratto alla sua mente angustiata. Nel Vangelo si rivela, certo, la giustizia di Dio, ma non una giustizia che condannerebbe il peccatore senza appello, bensì quella che rende giusto colui che crede (cf. Rm 1, 17). Come racconterà egli stesso, in quel momento sentì riaprirsi per sé la porta del Paradiso. Le conclusioni che trasse da questa inattesa illuminazione, tuttavia, non potevano venire dallo Spirito Santo, ma da un altro spirito. Ad un’intuizione fondamentalmente vera (se inserita in un quadro cattolico del rapporto tra natura e grazia) egli associò infatti una serie di false convinzioni che minano alla base tutto l’edificio della fede: la negazione del libero arbitrio, la visione della totale peccaminosità dell’uomo, una concezione estrinseca della grazia e della giustificazione, il misconoscimento degli effetti del Battesimo e degli altri Sacramenti… L’uomo giusto rimarrebbe peccatore, ma agli occhi del Padre sarebbe coperto dai meriti di Cristo. Poiché bisogna appoggiarsi esclusivamente sulla fede nella grazia divina, le opere buone risultano non soltanto non necessarie, ma dannose: più l’uomo pecca, anzi, più sarebbe sommerso dalla misericordia divina. Nulla di più empio… [omissis]

Ma com’è possibile che da un punto di partenza giusto Lutero sia sprofondato nell’errore in modo così vistoso? La risposta è semplice: il demonio è abilissimo nel fuorviare le menti mescolando qualcosa di vero a un insieme di menzogne, oppure spingendo a trarre conclusioni errate da premesse inizialmente valide. Che cosa gli diede tanto agio con il frate agostiniano di Erfurt? Come egli stesso confesserà, il suo conflitto esistenziale lo aveva portato fino ad odiare la giustizia di Dio; il terreno per l’azione diabolica era pertanto ben preparato, visto che a nessuno è lecito odiare un attributo divino (cosa che equivale a odiare Dio stesso nel Suo modo di essere). Lutero, prima di farsi ingannare, avrebbe certo avuto la possibilità di convertirsi rinnovando l’adesione al suo stato di vita, come una vocazione non liberamente abbracciata, ma sempre suscettibile di essere scelta in modo nuovo, come una forma di espiazione dei propri peccati. Per fare questo ci sarebbe voluta una buona dose di umiltà; invece l’orgoglio lo lanciò in un’insensata ribellione contro la Chiesa, ritenuta responsabile dei suoi problemi. Una parte dei principi tedeschi prese la palla al balzo per opporsi al papa e all’imperatore… e il caso personale si trasformò in arma politica ed economica.

Sotto la spinta della superbia, il ribelle finì col rimettere tutto in discussione pur di non ammettere i propri errori, di cui lo aveva pur convinto, nel 1518, il cardinal Caietano nei colloqui di Augusta. Trascinato di male in peggio, Lutero si abbandonò all’odio, alla volgarità e alla lussuria cercando di soffocare il lucignolo fumigante della sua coscienza nelle intemperanze e nei bagordi, finché una notte, vinto dal disgusto di se stesso, decise di farla finita con un pezzo di corda. Intanto la cristianità occidentale andava in pezzi, con tutto il corteo di atrocità, distruzioni e violenze che segnarono il successivo secolo e mezzo. Milioni di fedeli degli Stati protestanti, obbligati per legge ad accettare l’eresia, furono privati dei mezzi ordinari della grazia, sebbene si credesse inizialmente di essere in continuità con la Chiesa delle origini. Intanto le sedicenti “chiese” riformate si frantumavano sempre di più, perseguitandosi a vicenda in modo efferato… e il diavolo mieteva soddisfatto la sua messe di dannati.

Si fermarono qui gli effetti deleteri della rivoluzione protestante? Purtroppo no, ma per parlare delle sue ulteriori conseguenze bisognerà attendere la prossima settimana. Per ora ci basti tenere a mente dove conduce la disobbedienza alla Chiesa e l’ostinato attaccamento al proprio giudizio privato. Ma se oggi sono proprio le autorità ecclesiastiche ad essersi in buona parte protestantizzate…? Non facciamoci scrupolo a gridarlo sui tetti, ma rimaniamo dentro la comunione gerarchica. Se un Pastore non ha più la fede cattolica, è lui a porsi fuori del Corpo mistico, ma questo non può dichiararlo se non un’istanza superiore. Perciò rimaniamo liberi, in coscienza, di non ascoltarlo e persino di resistergli, qualora insegni o comandi cose chiaramente contrarie alla legge divina; ma non provochiamo deliberate rotture. Il diavolo sa giocare anche sulle motivazioni più nobili per separare le anime da Cristo opponendole all’unica Chiesa e soffiando sul fuoco del giusto sdegno per farlo degenerare in aperta rivolta. Il Cuore immacolato di Maria sia la nostra scuola di umiltà e di perseveranza, e non correremo questo rischio.



Pubblicato da Elia 







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