venerdì 2 settembre 2016

Riforma protestante e anni giubilari

 

 

01-09-2016 - di Ermanno Pavesi
 
 
Nel 2017 cade il 500° anniversario della Riforma protestante che culminerà il 31 ottobre, giorno in cui nel 1517, secondo la tradizione, sarebbero state affisse sul portone della chiesa del castello di Wittemberg le 95 tesi di Lutero sull’efficacia delle indulgenze.

Anche da parte cattolica ci si prepara a questo evento, come nel caso della pubblicazione, anche in Italia, del libro del Cardinale Walter Kasper, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica. È comprensibile che in questa occasione si cerchino toni concilianti, ma c’è anche il rischio di banalizzare la portata degli intenti della Riforma, riducendola semplicemente a richiesta di moralizzazione della vita della Chiesa. Ma, per esempio, il professore Paolo Ricca, curatore di molte opere di Lutero, precisa che la concezione del sacerdozio di Lutero “ribaltava una visione più che millenaria e scardinava alla base l’intero edificio ecclesiastico medievale” (Martin Lutero, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, Opere scelte vol. 11, a cura di Paolo Ricca, Claudiana 2008. p. 59).

Molto spesso la Riforma è spiegata come comprensibile reazione nei confronti di abusi di una Chiesa degenerata durante il Rinascimento, in particolare per la “vendita” delle indulgenze. Certamente, il problema delle indulgenze ha un certo ruolo nella polemica di Lutero contro la Chiesa, ma si deve ricordare che, concludendo il De servo arbitrio, da lui stesso considerato come una delle sue opere più importanti, definisce “il papato, il purgatorio, le indulgenze e cose simili – sciocchezze più che vere questioni”. È necessario, infatti, distinguere comportamenti disdicevoli e condannabili in contrasto con le norme della Chiesa da una parte e quelli che Lutero considera abusi, ma che sono l’applicazione di norme ecclesiastiche dall’altra. L’intento di Lutero non era tanto la moralizzazione della vita della Chiesa, e in questo si differenzia chiaramente da altri riformatori come Jan Hus (1371-1415). In un Discorso a tavola Lutero sostiene: “Hus però non ha capito che cosa sia il papato, ha solo riconosciuto alcuni abusi e ha argomentato e si è pronunciato sulla persona del papa sulla base della sua vita. Noi invece argomentiamo e giudichiamo la sua persona non secondo la vita – di questo non ci diamo gran ché pensiero – ma secondo la sua dottrina che combattiamo dicendo che non è giusta. Perciò egli viene da noi pubblicamente proclamato Anticristo e biasimato come tale” (Lutero. Alla nobiltà …, p. 89, n. 53).

Secondo il Riformatore la crisi della Chiesa non era dovuta solamente a certi aspetti del Rinascimento, ma durava già da secoli: nella lettera a papa Leone X del 1520 sostiene che se san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) “[…] compiange il suo Papa Eugenio [III] quando la sede romana, sebben già corrottissima, aveva ancora buone speranze di essere corretta, quanto più dobbiamo compiangere te, dopo che in questi tre secoli la malvagità e la corruzione hanno preso irresistibilmente il sopravvento!” (Martin Lutero, Libertà del cristiano. Lettera a Leone X, Claudiana, Torino 2004, pag. 12). Cioè il processo di corruzione della Chiesa aveva raggiunto dimensioni gravissime già tre secoli prima.

Nell’appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca del 1520 Lutero precisa che la crisi della Chiesa sarebbe riconducibile a tre sue pretese: la superiorità dell’autorità spirituale su quella temporale, il primato nell’interpretazione della Sacra Scrittura, e la prerogativa esclusiva per l’indizione di un concilio ecumenico (pp. 55-56). In questa lettera Lutero denuncia in 27 punti tutta una serie di privilegi che la Chiesa avrebbe fondato su tali pretese e propone numerosi interventi, anche da parte dell’autorità civile, per eliminare quanto sarebbe estraneo alla fede e ostacolo a un’autentica religiosità, come: “Sarebbe pure necessario abolire gli anniversari, le celebrazioni funebri, le messe in suffragio” (XVI, p. 175); “si aboliscano tutte le feste e si mantenga solo la domenica” (XVIII, p. 179); “Dovrebbero essere rase al suolo le cappelle e le chiese di campagna abusive, come quelle che sono meta di nuovi pellegrinaggi” (XX, p. 185); “Al papa dovrebbe anche essere vietato di istituire o confermare nuovi ordini mendicanti, anzi, gli dovrebbe essere imposto di scioglierne qualcuno” ( XIII, p. 159).

Non potendo ricordare tutti gli aspetti del cattolicesimo criticati da Lutero, nell’anno del Giubileo della Misericordia e con i relativi pellegrinaggi, si può citare il dodicesimo punto nel quale pretende l’abolizione dei pellegrinaggi e critica i “falsi, inventati e stolti anni giubilari”:
“Si dovrebbero abolire i pellegrinaggi a Roma oppure non si dovrebbe lasciare andare in pellegrinaggio nessuno per propria voglia o devozione, a meno che il parroco, le autorità cittadine o il suo signore non riconoscano che quella persona ha delle ragioni sufficienti e rette. E non lo dico perché i pellegrinaggi siano una cosa malvagia, ma perché in questo tempo sono degenerati, poiché a Roma i pellegrini non vedono buoni esempi, ma nient’altro che scandalo, secondo il detto creato da loro stessi: „Quanto più ci si avvicina a Roma, tanto peggiori sono i cristiani“, e ne riportano disprezzo per Dio e per i suoi comandamenti. Si dice: chi va a Roma, per la prima volta cerca un briccone, la seconda volta lo trova e la terza lo riporta con sé. Ma ora sono diventati tanto abili da condensare tutti e tre i viaggi in uno solo e hanno veramente riportato da Roma cose tali che sarebbe meglio se non l’avessero mai vista né conosciuta.

Ma se anche ciò non fosse, c’è un’altra ragione ancora migliore, ed è questa: le persone semplici sono indotte a farsi delle illusioni e a fraintendere i comandamenti di Dio; infatti ritengono che tali pellegrinaggi siano una gran buona opera, mentre non è così. È invece una piccola opera buona e sovente una malvagia opera fuorviante, perché non comandata da Dio. Egli ha invece comandato che un uomo si curi di sua moglie e dei suoi figli e dei compiti propri della condizione coniugale, e inoltre che serva e aiuti il suo prossimo. Ora succede che uno, andando in pellegrinaggio a Roma, sperpera più o meno cinquanta o cento fiorini (cosa che nessuno gli ha ordinato di fare) e abbandona moglie e figli, o comunque il suo prossimo, a casa, a patire miseria, mentre ritiene, quello stolto, di voler abbellire la sua disubbidienza e il suo disprezzo del comandamento di Dio con il suo pellegrinaggio fatto di testa sua, e invece non è che una pura insolenza o seduzione diabolica. A questo hanno contribuito i papi con i loro falsi, inventati e stolti anni giubilari che eccitano il popolo, lo allontanano dai comandamenti di Dio e lo attirano verso le loro iniziative seduttrici. Essi stessi hanno istituito ciò che invece avrebbero dovuto proibire. Ma tale istituzione ha fruttato denaro e ha rafforzato la loro falsa potenza, perciò ha dovuto continuare, sebbene sia contraria a Dio e di ostacolo alla salvezza delle anime.

Per estirpare tale credenza falsa e ingannatrice dei semplici cristiani e ristabilire una giusta comprensione delle buone opere, si dovrebbero sopprimere tutti i pellegrinaggi, poiché non c’è nulla di buono in essi, nessun comandamento, nessuna obbedienza, ma solo innumerevoli occasioni per peccare e disprezzare i comandamenti di Dio. Tanti accattoni sono spinti, in occasione dei pellegrinaggi, a commettere innumerevoli mascalzonate; essi imparano a mendicare, pur senza averne bisogno, e vi si abituano. Da ciò deriva il vivere licenzioso e altri mali, che non voglio qui elencare. Chi intende andare in pellegrinaggio o formulare un voto in tal senso, dovrebbe prima indicarne le ragioni al parroco o al suo signore. Se risulta che egli lo fa per compiere una buona opera, il parroco o il suo signore non esitino a calpestare quel suo voto e quella sua opera come un’illusione diabolica. Essi lo spingano piuttosto a investire il denaro e la fatica che un pellegrinaggio comporta nell’obbedienza ai comandamenti di Dio e in opere mille volte migliori, cioè a favore dei suoi familiari o del suo prossimo che vive in povertà. Ma se desidera farlo per la curiosità di vedere città e paesi, sia libero di seguire la sua volontà. Se il voto è stato formulato durante una malattia, si proibiscano simili voti, si contestino e si innalzi al loro posto il comandamento divino: per l’avvenire quella persona si attenga al voto fatto nel battesimo, cioè di osservare la legge divina. Tuttavia, per una volta, gli si può concedere di adempiere il suo voto insensato, per acquietare la sua coscienza. Nessuno vuole più seguire la retta e comune via della legge divina, ciascuno si crea da sé una via nuova e nuovi voti, come se avesse già osservato tutti i comandamenti di Dio“   Martin Lutero, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, Opere scelte vol 11, a cura di Paolo Ricca, Claudiana 2008. pp. 153-155.








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