giovedì 4 agosto 2016

Modernisti e dintorni

 



martedì 2 agosto 2016

Abbiamo chiesto a Don Nicola Bux il suo parere a proposito del modernismo nella Chiesa di oggi. Ne è nato un intervento a tutto campo, che ci aiuta a comprendere la situazione spirituale dell'oggi.

Caro don Nicola,
partiamo dall’intervista sulla bussola. Nell’ultima domanda di Lorenzo Bertocchi sul modernismo, lei risponde che i modernisti “scelgono invece da quel grande deposito della fede, solo quanto possa essere gradito alle voglie e ai capricci (scambiati per diritti) di uomini e donne contemporanei”. Prendere solo ciò che piace è una grande tentazione.
Il Santo Padre San Pio X mise in guardia la Chiesa dalla tentazione del modernismo con l’enciclica Pascendi dominici gregis (1907)):

«I fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima. […] Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa»,


e soggiunse:

«In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l'intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. […]. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti ».
Inutile negare che le parole di San Pio X sono di un’attualità straordinaria.


D.- Le chiedo di spiegarci, un po’ più nel dettaglio, cosa intendeva papa Sarto quando chiedeva di esaminare “ la loro maniera di parlare e di operare”.

R. - A mio avviso San Pio X fornisce tale indicazione poiché, conoscendo a fondo il fenomeno modernista, intende dare uno strumento utile ai fedeli per poter discernere la verità dall’errore. Infatti, dallo stesso tenore di tutto il discorso del Pontefice, si comprende come una delle grandi problematiche che porta in sé il modernismo sia la dissimulazione. Apparentemente, agli occhi dei comuni fedeli, i modi di parlare e di operare dei modernisti possono apparire corretti, se non addirittura migliori di altri cristiani. Il modernismo si distingue rispetto alle altre eresie in quanto le seconde contraddicono palesemente il dogma, mentre esso si sostanzia in un mimetico «complesso di idee ed atteggiamenti diversi per origine e significato, di un tentativo vasto e multiforme non senza l’influenza dell’immanentismo e del soggettivismo idealistico che mira, nel pensiero dei suoi rappresentanti, a conciliare la rinnovata cultura storica e le recenti esperienze sociali con il messaggio cristiano» (Enciclopedia Cattolica, Vol. VIII, Città del Vaticano, 1952, p. 1187 ss.). In particolare ciò è dovuto al linguaggio suadente, che tocca le corde dell’emotività puntando su argomenti quali l’amore e la misericordia, ed al fatto che, piegando la Verità alla logica del mondo, essa appare più facile da accettare e da seguire. In realtà, tutti i concetti adoperati, e l’intero deposito della fede, sono svuotati del loro autentico significato o completamente deformati. Allora, non bisogna fermarsi alla superficie delle dichiarazioni o dei comportamenti, ma analizzarli scrupolosamente, perché, nella maggior parte dei casi, non si tratta di palesi e macroscopiche affermazioni eretiche, ma di dichiarazioni ambigue che lasciano penetrare lentamente e quasi senza accorgersene il veleno mortale dell’errore. Il vero scopo di questi seminatori dell’errore è quello di mutare irrimediabilmente il modo di approcciarsi alla realtà ed alla fede, fino a condurre i cristiani al relativismo che annienta la vita spirituale e la coscienza. Per l'approfondimento del fenomeno, rimando ai puntuali scritti di S.E. mons. Luigi Negri.

D.- Quali sono le dottrine che stanno alla radice del modernismo? C’è un nesso con la dottrina di Martin Lutero?

R.- Alla base del modernismo troviamo molte filosofie moderne, anche perché, come è noto, il suo scopo principale è quello di avvicinare la Chiesa al mondo moderno. In particolare si possono citare il razionalismo, lo spiritualismo e il liberalismo religioso, che non sono altro che la naturale evoluzione del soggettivismo insito nel protestantesimo. Ed ecco che riappare l’ineffabile Martin Lutero, che, a ragione, può essere considerato il padre di tutte le eresie moderne - altro che 'medicina salutare': fu farmaco esiziale - senza dimenticare che la diffusione del modernismo tra i protestanti, portò a fenomeni drammatici; basti ricordare che in Olanda il movimento finì per condurre all’incredulità e all’abbandono della chiesa riformata olandese. Inoltre il modernismo è imbevuto di concezioni antropocentriche, come l’illuminismo ed il deismo, ed immanentiste, come il panteismo e l’idealismo. Infine, alcuni suoi esponenti, si prefiggevano lo scopo di superare gli schemi dell’aristotelismo scolastico, in contrapposizione al neotomismo. Dopo questa breve carrellata di “radici”, comprendiamo perché San Pio X, nella Pascendi Dominici Gregis, definisce il modernismo come la «sintesi di tutte le eresie».


D.- Fino a prima del CVII nei seminari e nelle scuole di teologia veniva effettuato il giuramento anti modernista. Poi è stato tolto. Perché? Son spariti i modernisti?

R.- Assolutamente no! Non solo i modernisti non sono spariti, ma hanno potuto agire, e continuano ad agire, indisturbati all’interno della Chiesa, soprattutto nei seminari e nei luoghi di formazione, come le Università. Premetto che non ho approfondito le ragioni per le quali si decise di abolire il giuramento anti modernista, tuttavia è possibile fare delle supposizioni: o si ritenne non più in atto la minaccia modernista e, di conseguenza, superfluo quel giuramento; oppure, seguendo un utopico orientamento che si stava diffondendo velocemente dopo l’assise conciliare, non si ritenne più efficace e consono al nuovo corso, che si voleva inaugurare, il duro e chiaro modo di condannare e reprimere l’errore che la Chiesa aveva sempre attuato sin dalla sua fondazione. Orbene, entrambe le ragioni presentate, mostrano una profonda inadeguatezza. Infatti, la prima contiene un chiaro errore di valutazione, in quanto il fenomeno del modernismo non stava scomparendo, ma mutava il suo modo di agire e, così facendo, riusciva a penetrare meglio e più profondamente all’interno della Chiesa stessa, quasi indisturbato. La seconda, invece, ha palesemente mostrato tutta la sua inefficacia, poiché, il progressivo ammorbidimento dell’apparato di controllo circa le dottrine e le tesi propugnate da teologi, o sedicenti tali, non ha fatto altro che accrescere la confusione e lo smarrimento nella Chiesa, soprattutto tra i fedeli.Una terza opzione, ovvero la connivenza tra i responsabili dell’eliminazione del giuramento e la compagine modernista, o, addirittura, la loro coincidenza, preferisco non prenderla in considerazione!

D.- Ernesto Bonaiuti, il più famoso modernista italiano, diceva che la rivoluzione si sarebbe compiuta “non contro Roma, ma con Roma”. Sembra che ci abbia visto giusto, se oggi il Coordinamento delle Teologhe Italiane (CTI) ne chiede la riabilitazione… (http://www.teologhe.org/wp-content/uploads/2014/07/Bonaiuti-vita.pdf; http://www.vitomancuso.it/wp-content/uploads/2016/04/Appello-per-la-riabilitazione-di-Ernesto-Buonaiuti.pdf; http://www.teologhe.org/il-cti-promuove-lappello-per-la-riabilitazione-di-ernesto-bonaiuti-adesioni-ancora-possibili/)

R.- La frase di Bonaiuti sintetizza mirabilmente la strategia messa in atto dal modernismo nell’attacco finale, e forse più violento, alla Chiesa. È un attacco perché questa auspicata “rivoluzione” ha come scopo quello di cambiare la natura stessa della Chiesa e quindi, in parole povere, di distruggerla. Soprattutto la grande confusione che c’è oggi nella Chiesa, la negazione giornaliera della Verità, anche da parte dei pastori che dovrebbero guidare il gregge, e la perdita del sacro e dell’adorazione di Dio, sono i “frutti” della riuscita, almeno in parte, di questo assalto. Proprio ieri abbiamo assistito all'ennesimo esempio di confusione e di apostasia: ammettere i musulmani nelle chiese. A che serve più l'iniziazione cristiana e la dedicazione della chiesa, se si può essere ammessi senza battesimo all'eucaristia e se si consente di usare il tempio per fini estranei al culto per il quale è stato consacrato? Tuttavia noi abbiamo la certezza, perché ce lo ha detto Gesù, che «le porte degli inferi non prevarranno contro di Essa» (Mt 16, 18), sebbene non sappiamo fino a quanto esse si potranno spingere, quali spazi riusciranno a conquistare. Forse solo una piccola minoranza rinchiusa nella “cittadella” rimarrà salda e si ergerà ad ultimo baluardo della Verità, se lo stesso Salvatore si domanda: «ma quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?» (Lc 18, 8).
Coloro che hanno avuto la grazia di esser stati preservati da questo “morbo” non devono scoraggiarsi, sapendo che, proprio quando la nave della Chiesa sembra affondare tra i flutti dell’errore e della confusione, bisogna maggiormente confidare nel Signore, avere fiducia in Lui, e ridestarlo con la forza della preghiera di supplica. Non devono rimanere prigionieri della paura e dello sconforto, come avvenne per gli Apostoli sul lago di Tiberiade, ma rivestiti dello scudo della Fede e della spada della Verità, devono scendere sul campo di battaglia per difendere la loro Madre e Maestra attaccata sia dall’esterno che dall’interno. Spesso, infatti, sorge la tentazione di voler abbandonare la Chiesa, di volersi creare quasi una oasi fuori di Essa, ma chi ama veramente non abbandona l’amata, ma, anzi, lotta fino alla fine per essa. Allora, dal nostro impegno e dalla nostra perseveranza nella buona battaglia, si misurerà, alla fine, il nostro amore per la Santa Madre Chiesa.

D.- Neo modernismo. Chi sono, oggi, i suoi massimi rappresentanti e che differenze ci sono, ammesso ce ne siano, con il modernismo?

R.- Il professor Antonio Livi ha ampiamente scritto in merito, nel suo ottimo testo sulla falsa teologia. Sommessamente, ritengo che non ci sia differenza tra modernismo e neomodernismo, salvo l'aggiunta a quest'ultimo, da parte di noti chierici e laici, del 'materiale di risulta' delle fallite ideologie del Ventesimo secolo.

D.-  Il card. Schoenborn nella conferenza di presentazione afferma:
“Per me Amoris laetitia è perciò soprattutto, e in primo luogo, un “avvenimento linguistico”, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale”

A proposito del linguaggio, scrive un seminarista a padre Giovanni Cavalcoli:
“Sono un seminarista diocesano e mi permetto di disturbarvi per chiedervi una consulenza “filosofica”. Nei giorni scorsi mi sono baccalaureato in Teologia. È andata molto bene. Tuttavia è emerso una questione. Il professore mi ha fatto un’osservazione che mi piacerebbe approfondire. All’interno di un certo discorso sull’utilizzo del linguaggio per la teologia mi ha rimproverato con queste parole: «Tu, così come parte della Chiesa cristiana (sic), sei ancora fermo ad un linguaggio metafisico, convinto che esista un linguaggio statico, piovuto dal cielo. Il linguaggio che noi parliamo è convenzionale come quello che parlano altri mondi (si faceva riferimento al mondo omosessuale, da me criticato per inventarsi delle parole, costringendoci, per poter dialogare, ad utilizzare termini “ideologici” sradicati dalla realtà)». Io ho risposto: «Ma il linguaggio dovrebbe servire a comunicare la realtà». Risposta sua: «No! Tu credi che come san Tommaso intendeva “natura” sia uguale a come la intendeva Grozio? Il linguaggio cambia. Noi cristiani rischiamo di non dialogare con il mondo di oggi, perché pretendiamo di utilizzare le parole come se fossero stabili e fisse» (http://isoladipatmos.com/linguaggio-e-concetto-in-teologia/)

La risposta di Cavalcoli è stata fulminante:
È quindi un errore frequente, quello di credere che una medesima cosa o una medesima verità di fede possa essere colta in diversi concetti. È l’errore, tipico del modernismo, nel quale è caduto il professore del seminarista.

Esiste il rischio che un avvenimento linguistico nuovo rechi in sé il virus del modernismo? In effetti, il punto n. 3 di Amoris Laetitia è mi pare molto ambiguo:
3. […] Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano.

Cosa ci può dire?

R.- Visto che ogni giorno siamo esortati, a ragione, a ritornare al Vangelo ed a conformarci ad esso mi sembra utile ricordare queste parole di Gesù: «sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). La proclamazione della Verità esige, per sua natura, la chiarezza del linguaggio; soprattutto se questa Verità non è una teoria o una ideologia, ma una persona reale. Per questa ragione i Pontefici hanno sempre raccomandato di seguire l’esempio di San Tommaso e della Scolastica, che hanno trovato una sintesi mirabile tra il rigore dell’esposizione linguistica, la profondità dei concetti esposti e la fedeltà al dato rivelato. L’utilizzo di un linguaggio ambiguo, come ho sottolineato in precedenza, è lo strumento più potente ed efficace adoperato dai modernisti di tutti i tempi. In questo modo si giunge a situazioni che hanno del paradossale. Infatti si utilizza in maniera distorta persino il concetto di tradizione, che implica insieme continuità ed evoluzione, per far sì che si ritenga possibile, all’interno della Chiesa, uno sviluppo delle formulazioni del dogma, che riflettano nella terminologia l’ambiente filosofico nel quale sono sorte. Allora mi sembra importante, per esempio, richiamare tutti ad una riscoperta della metafisica e dei suoi modi di procedere, tra i quali l’uso del linguaggio, soprattutto alla luce del fallimento che l’applicazione di metodi non compatibili con la peculiare natura della Chiesa ha generato.

D.-  Spesso sentiamo questa affermazione: «Non siamo di fronte a un’epoca di cambiamenti, ma a un cambiamento d’epoca». A noi però sembra che in realtà il cambiamento stia nella capillarizzazione di questa mentalità (immanentismo, relativismo, ecc.) e non nella sua novità. A. Del Noce e C. Fabro, per esempio, ci hanno aiutato a comprendere le radici culturali di queste posizioni. Non varrebbe la pena allora di riflettere con più chiarezza sui presupposti culturali della mondanità? Don Giussani, citando Eliot, ci riponeva questa domanda: «È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?».

R.- Ho udito personalmente e più volte questa citazione di Eliot da don Giussani, e pure il suo commento: “sono avvenute entrambe le cose”. Si deve convenire con l’affermazione che la scristianizzazione odierna è soprattutto opera dei chierici, e nasce da un errore di mistica - diceva Charles Peguy - cioè dall’abolizione del Mistero nel quale opera la Grazia: questo sembra il “presupposto culturale della mondanità.

D.- Per quanto riguarda la Chiesa, quali sono i fattori decisivi di questo «tradimento»? Pastorale contro dottrina è un argomento che anche molti Vescovi usano. Non è un autentico travisamento del Vaticano II?

R.- Pastorale viene da pasto e dottrina da docere, insegnare: ora, non è l'insegnamento il primo pasto che nutre il cristiano? Gesù, quando vedeva le folle, aveva compassione e cominciava a insegnare. Dunque, Certamente è la falsa contrapposizione. Si possono aggiungere altri fattori, ma ve n'è uno misterioso, soprattutto per i tempi odierni, riportato dal Catechismo della Chiesa Cattolica: (675). Premesso che la persecuzione è lo statuto ordinario del cristiano – e non la tranquillità e la pace – stiamo assistendo alla negazione del fatto centrale della fede cattolica: l'incarnazione del Verbo, in nome di un deismo, che invece era stato superato dalla venuta di Cristo; infatti, san Giovanni afferma: “Nessuno ha mai visto Dio, l'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli stesso ce lo ha fatto conoscere(letteralmente dal greco: ne ha fatto l'esegesi)”(1,18).
E ai Vescovi allora che cosa è chiesto in questo frangente della storia?
Ad essi è richiesto di esercitare con coraggio ed abnegazione i tre munera annessi al loro ufficio. In particolare, i Vescovi sono chiamati innanzitutto a santificare, ovvero, mediante la celebrazione del Santo Sacrificio dell’Altare e degli altri Sacramenti, aprire, per sé e per gli altri, quei canali inesauribili della grazia, che permettono agli uomini di affrontare e superare non solo le difficoltà quotidiane, ma anche le sfide che il mondo presenta, riportandolo al Cuore di Cristo. Inoltre devono insegnare senza paura le verità di fede, non preoccupandosi di dover piacere al mondo o all’opinione pubblica, ma confidando nella forza intrinseca della Verità che attira a sé e muove i cuori, anche i più induriti. Insegnare la sana dottrina diviene allora il perno ed il fulcro dell’azione pastorale. Infine devono ritornare a reggere la Chiesa, a esercitare la funzione di governo, vigilando sul gregge loro affidato e prendendo tutte le misure necessarie, anche quelle più drastiche, per proteggerlo dall’assalto dei “lupi” e dei “mercenari”. Occorre che si torni a guardare con favore al munus regendi, che troppo spesso, dopo il Vaticano II, è stato bollato come contrario alla pastorale, se non, addirittura, come un retaggio di una Chiesa legata al potere. Come si vede, nulla di nuovo da inventare, poiché il Signore, quando ha costituito l’ufficio episcopale, lo ha fornito di tutti gli strumenti per svolgere al meglio la sua funzione, in ogni tempo ed in ogni luogo.

Dopo aver letto le sue chiarissime risposte sento il dovere di esprimerle la mia profonda gratitudine di pecorella cattolica: grazie, caro don Nicola!










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