uomo


 

Giuliano Guzzo

Se qualcuno nutrisse per caso ancora dei dubbi sul fatto che è in corso, a livello culturale e di moda, l’abolizione dei sessi – a partire da quello maschile – può gustarsi, si fa per dire, le nuove ballerine da uomo, portate in Italia da Gucci, promotore, riporto testualmente, di un «uomo che cerca di avvicinarsi all’universo femminile, un uomo che, portando anche delle semplici scarpe basse, può capire i sacrifici che fa una donna» (Blogdimoda.com) . In attesa che trovino anche qualche uomo disposto a farsi ingravidare, per meglio «i sacrifici che fa una donna», direi che ce n’è abbastanza per una riflessione. Anche perché, se le ballerine da uomo arrivano oggi, l’abolizione dell’uomo maschio – quello che gente come Maria Elena Boschi vorrebbe iniziare alla “parità di genere”, pare di capire, quando ancora è nell’incubatrice –, non è certo novità assoluta, come dettagliatamente denunciava, anni fa, il francese Éric Zemmour nel suo L’uomo maschio (Le Premier sexe, Denoël 2006): viviamo una società sempre più “femminilizzata”, nella quale l’essere maschio in senso tradizionale – evidente, virile, senza indecisioni – è disvalore. Perché in fondo l’uomo maschio, si dice, è solo uno dei tanti possibili.

Perché l’uomo maschio, si insinua, è spesso violento, insensibile, facilmente molestatore mentre invece la donna – questo il messaggio che passa – è figura intrinsecamente buona e aliena, salvo trascurabili eccezioni, da ogni malvagia inclinazione. Perché è giusto che le persone con tendenze non eterosessuali siano orgogliose di come sono, perché è sacrosanto che lo siano le donne, ma l’uomo maschio no, lui no: lui solo deve redimersi ed evadere da un’identità caricaturale, da un “potere” che nella storia e nella civiltà ha finora esercitato abusivamente, approfittando di un ruolo che non gli appartiene. Mi scuso per la brutalità, ma i fatti sono questi. E la soluzione non sta certo nel rispolverare «l’omo ha da puzzà», inelegante adagio caro a Monica Bellucci, né nel rilanciare il mito primordiale del cacciatore: il problema, qui, è molto più serio dato che – come dicevo – investe la de-strutturazione, tramite colpevolizzazione sociale e restyling, dell’identità maschile, da eliminare anche sul versante più intimo e sessuale. Da questo punto di vista, almeno, Mario Mieli (1952–1983) guru della cultura omosessualista italiana, era chiaro nell’affermare che «l’eterosessualità […] è patologica» (Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli 2002, p. 39).

Invece adesso – dopo depilazione, chirurgia plastica e reggiseno (non ditemi che ve lo siete perso!) – eccoci qui, a commentare la  “mancession”, la recessione del maschio, con tanto di ballerine. La consapevolezza di non possedere nulla di Gucci, nel mio caso almeno, rincuora ovviamente, ma non basta. Per tirarmi su il morale ci vorrebbero alcuni disposti a prendere sul serio i pericoli di questa dittatura omosex, invece i più finiranno col liquidare tutte le prove evidenti del disastro come marginali e insufficienti, anche prese tutte assieme, per giustificare un pericolo reale: come se un’identità sessuale la si potesse liquidare in cinque minuti; come se, prima di procedere con l’abolizione dell’uomo maschio, non fosse necessario ridurlo a solo una – e neppure la più interessante – delle variabili possibili. L’unica e l’ultima consolazione, in tutto questo, rimane la Natura, questa sconosciuta: dove non arriveranno gli intellettuali venduti al politicamente corretto e i preti che in nome della tolleranza rinnegano Genesi 1,27, arriverà lei a sottolineare che – per quanto tristemente depilato, magrissimo, truccato e nonostante quelle orrende scarpe – questo è un uomo.