lunedì 18 luglio 2016

È necessaria una legge che definisca lo statuto dell'ex-papa

 



di Walter Brandmüller


Un futuro regolamento giuridico della rinuncia papale […] è tanto più difficile quanto la figura di un papa emerito è estranea a tutta la tradizione canonistica-teologica.

La rinuncia del papa è possibile (can. 332 § 2). Ciò non significa che sia senz’altro anche moralmente lecita. Per la liceità ci vogliono motivi oggettivi, istituzionali, orientati verso il "bonum commune Ecclesiae", non motivi personali. Come esempio di rinuncia si può addurre quella di Gregorio XII, fatta nel 1415 per mettere fine allo scisma. Pure Pio VII e Pio XII prepararono delle bolle di rinuncia per l’eventuale prigionia ad opera di Napoleone o di Hitler.

Dal punto di vista pastorale, invece, sembra particolarmente urgente combattere l’errore – ampiamente diffusosi nella situazione creata con la rinuncia di Benedetto XVI – di ritenere che, attraverso la rinuncia, il ministero del successore di Pietro sia spogliato del suo carattere unico e sacro e messo sullo stesso piano di funzioni democratiche temporanee.

Oggi è urgente il pericolo che questa comprensione secolare-politica del papato porti al punto che d’ora in poi possano essere indirizzate ad un papa, similmente come a detentori di cariche secolari, richieste di dimettersi quando la persona del papa o il suo esercizio dell’ufficio incontra opposizione.

Occorrono intense riflessioni su quali convenzioni di linguaggio e/o quali gesti simbolici ecc. siano necessari per far fronte agli evidenti pericoli e per l’unità della Chiesa. Magari non sarebbe inutile accennare in qualche forma a questo punto particolare, in un futuro testo legislativo.

Come già detto, la rinuncia di un papa presuppone – e al contempo crea – una situazione ecclesiale pericolosissima. Non mancano in questo momento persone o gruppi seguaci del papa rinunciatario i quali, scontenti dell’accaduto, potrebbero minacciare l’unità della Chiesa e persino provocare uno scisma. Sembra, quindi, che un futuro regolamento giuridico della rinuncia papale non possa prescindere da questa prospettiva.

In ogni modo nella situazione precaria di una rinuncia papale è necessaria la scelta della "via tutior". Lasciare, invece, scoperta la notevole "lacuna legis" per ora esistente non significa altro che aumentare le incertezze in un momento pericoloso e di vitale importanza per la Chiesa.

Anzitutto ha bisogno di integrazione il can. 332 § 2, che stabilisce soltanto che la rinuncia del papa all’ufficio “libere fiat et rite manifestetur”. Il riferimento – ovvio – ai cann. 185 e 186 che regolano generalmente la rinuncia a un ufficio ecclesiastico non è adatto al caso eccezionale della rinuncia del papa. Inoltre non basta la semplice dichiarazione della persona interessata di rinunciare liberamente, perché a seconda delle circostanze quella dichiarazione facilmente potrà essere forzata e quindi la rinuncia invalida.

Da tali situazioni può nascere uno scisma. È, quindi, indispensabile stabilire la modalità per accertare l’effettiva libertà dell’atto. Non basta il richiamo all’atto valido fino a prova contraria, perché – trattandosi del papa – alla rinuncia deve seguire subito l’elezione del successore. Se, in questo caso, fatta l’elezione si presentassero delle prove della mancata libertà della rinuncia le conseguenze sarebbero disastrose. La libertà dell’atto di rinuncia dovrebbe essere confermata, ad esempio, dalla dichiarazione dei capi dei tre ordini cardinalizi.

Infatti si solleva in tale contesto pure la questione di un coinvolgimento del collegio cardinalizio nella rinuncia papale. Già nel caso di san Celestino V i canonisti discutevano su questo problema. […] La stessa decretale "Quoniam" di Bonifacio VIII evidenzia il ruolo dei cardinali nella rinuncia del papa sottolineando che Celestino abbia preso la decisione di dimettersi “deliberatione habita cum suis fratribus cardinalibus… de nostro et ipsorum omnium concordi consilio et assensu”.

Questo ruolo dei cardinali trova un suo fondamento pure nella prassi dei papi i quali a partire dall’undicesimo secolo in molti importanti documenti usarono la formula “de fratrum nostrorum consilio”. A ciò corrisponderà l’uso della sottoscrizione dei cardinali “qui actui interfuerunt” sui documenti relativi. Ancora oggi – per esempio – prima di canonizzare i santi i singoli cardinali vengono invitati ad esprimere i loro voti a proposito.

Lo stesso san Giovanni Paolo II invece parlò addirittura – cosa problematica, anzi impossibile – di sottomettere una eventuale rinuncia al giudizio dei cardinali.
Certamente nel caso di un’eventuale rinuncia la proposta dell’audizione – nella forma da stabilire – non può essere una "conditio sine qua non" per la validità dell’atto del pontefice. Ma anche se si trattasse di una venerabile consuetudine o prassi non potrebbe essere facilmente trascurata.

Per tutto ciò è necessaria e urgente una legislazione complementare che definisca e regoli:

1. Lo status dell’ex-papa. Nella storia si possono ritrovare, se non proprio dei precedenti, dei casi analoghi per una soluzione. Gli antipapi Giovanni XXIII (Baldassare Cossa) e Felice V (Amedeo di Savoia) dopo la loro riconciliazione vennero subito creati cardinali. Analogamente dopo la sua rinuncia un ex-papa subito potrebbe essere creato cardinale ma certamente senza diritto elettorale attivo o passivo.

2. Pure la denominazione del dimissionario dev’essere definita. Per evitare l’apparenza dell’esistenza di due papi pare conveniente riprendere il nome di famiglia. Sotto lo stesso profilo andrebbe regolato il vestito.

3. Di non poca importanza è anche il domicilio da assegnargli ed il sostentamento del dimissionario.

4. Un problema particolare è il regolamento degli eventuali suoi contatti sociali e mediatici, in modo tale che da una parte venga rispettata la sua dignità personale, dall’altra venga escluso ogni pericolo per l’unità della Chiesa.

5. Alla fine ci vorrebbe pure un cerimoniale per il defunto dimissionario che non può essere quello previsto per un papa.

Questi sarebbero dei punti da chiarire "de lege ferenda".

Occorrerebbe, comunque, una visione teologica e canonistica approfondita del ministero petrino, atta a suscitare nei fedeli una vera venerazione del ministero e della persona del sommo pontefice successore dell’apostolo san Pietro, motivata da autentica fede.

Del resto, riprendendo il giudizio sopramenzionato: la rinuncia del papa è possibile e si è fatta. Ma è da sperare che non succeda mai più.








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