sabato 30 luglio 2016

Così la cannabis libera rovinerà i ragazzi e farà ricche le mafie

 


 
Articolo di Alfredo Mantovano pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2016.
 
Perché meravigliarsi se all’ordine del giorno della Camera è giunta, pronta all’approvazione, la proposta di legalizzare la coltivazione, la detenzione e lo spaccio della cannabis e dei suoi derivati? Un residuo senso di decoro – di fronte all’aggressione terroristica in atto in tutta Europa – ha suggerito di farne slittare la trattazione a dopo le ferie: ma ci si trova di fronte a nulla di più di un rinvio.
 
Non è un fulmine a ciel sereno: è il coronamento di un percorso che ha visto come logico antecedente la riforma della droga, passata nel maggio 2014 col voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento, e con la condivisione dell’intera maggioranza del governo in carica allora e adesso, inclusi coloro che oggi fanno mostra di opporsi all’iniziativa dell’onorevole Giachetti. Quel testo: a). ha ripristinato l’antiscientifica distinzione fra droghe c.d. pesanti e droghe c.d. leggere, con sanzioni molto più lievi per il traffico e lo spaccio di queste ultime; b). ha reintrodotta la possibilità di detenere stupefacenti senza limiti individuabili in modo preciso, se la sostanza è “per uso personale” (la prova dell’uso “non personale” compete a chi fa le indagini); c). ha reso di fatto impossibile arrestare nella flagranza dello spaccio, se quest’ultimo appare “di lieve entità”, essendo stata abolita l’obbligatorietà dell’arresto medesimo.
 
In due anni di applicazione ciò ha significato: a). far passare il messaggio che ci sono droghe che non producono danni, altrimenti perché le si chiama “leggere”? Il loro spaccio è peraltro sanzionato in modo simbolico. E’ perciò ora del tutto coerente eliminare l’ipocrisia, introdurre il monopolio dello Stato nella distribuzione, rendere “legale” la consegna fra privati di “piccole” dosi.  b). Convincere che alla peggio possono pure non andare bene il traffico di droga, soprattutto in quantità rilevanti, ma non la detenzione: se uno ce l’ha per sé, lo Stato e le istituzioni non se ne devono interessare. La proposta Giachetti formalizza quel che è già praticato. c). Rendere lo spaccio, se effettuato con furbizia, attività simile, se non addirittura meno grave, a quella del venditore di sigarette di contrabbando di 30 anni fa.
 
Una ricerca dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, pubblicata nell’aprile di quest’anno, fa emergere – i dati sono del 2014 – un abbassamento dell’età di avvio del consumo di droga e una larga prevalenza fra i minori dell’uso di cannabis, pari al 26.3% degli studenti nella fascia fra i 15 e i 19 anni. L’ultima Relazione al Parlamento del Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio, sempre relativa al 2014, denuncia uno spaventoso incremento dei sequestri da parte delle forze di polizia di cannabis e derivati, il + 211,29%, affiancato da un significativo decremento delle operazioni svolte – meno 11,47% -, delle persone segnalate – meno 13,25% -, e degli arresti, meno 16,82%. Tutto questo non è frutto del caso.
 
La chiave di lettura la fornisce la medesima Relazione, per la quale – p. 34 – la riduzione delle operazioni di contrasto «potrebbe trovare ragionevole spiegazione (…) nelle modifiche operate nel 2014 sul quadro sanzionatorio penale e amministrativo che presidia l’attività di repressione delle Forze dell’Ordine. Tale repentina evoluzione del contesto normativo può aver rappresentato un verosimile fattore di regressione, ancorché temporaneo, lungo la strada della certezza operativa, soprattutto nel contesto dell’azione di contrasto al fenomeno del c.d. “piccolo spaccio”».
 
Dunque, l’organismo istituzionalmente dedicato alla lotta alla droga, dipendente in modo diretto dalla Presidenza del Consiglio, collega la pessima riforma di due anni or sono all’aumento immediato della diffusione dei derivati della cannabis e alla diminuzione di efficacia dell’azione di contrasto. Andrà meglio con la “legalizzazione”? Con questo quadro criminogeno, voluto dall’esecutivo nella primavera 2014 senza dibattito e contro il qualificato parere di tutti gli esperti e gli operatori delle comunità, e ribadito oggi con la proposta Giachetti in opposizione a tanti studiosi che hanno portato evidenze scientifiche nelle audizioni alla Camera, suona irridente quanto prevede l’articolo 7 della stessa proposta: esso destina i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie derivanti dalle violazioni dei limiti della legalizzazione a interventi di prevenzione, anche a scuola.
 
Ma come, prima distribuite senza remore armi di distruzioni di sé e degli altri, e poi vi impegnate a spiegare che fanno male? Non sarebbe ragionevole – visti gli esiti di due anni di sperimentazione – un ripensamento dello scempio a suo tempo realizzato, invece che portarlo a compimento? Nella legge in discussione manca qualsiasi possibilità di verifica dell’assunzione di cannabis da parte di soggetti il cui lavoro mette a rischio l’altrui incolumità: autisti di autobus e automobilisti in genere, medici, infermieri. Non si prevedono esami per accertarne l’uso, né sistemi di interdizione dal lavoro quando l’uso emerga con evidenza, né modalità di conciliazione con l’intangibile privacy, evocata nel corpo della legge stessa: i parlamentari che stanno per votare le nuove norme sono consapevoli della responsabilità gravissima di nuove serie di incidenti stradali e professionali che deriveranno dalle loro scelte?
 
I clan criminali che secondo gli spot dei legalizzatori dovrebbero subire danni da questa nuova follia in realtà festeggiano. Ogni legalizzazione ha dei limiti. Anche questa, e sono: la quantità massima di piantine di cannabis che ciascuno può coltivare da solo, e di quelle coltivabili “in società”; la quantità acquistabile dallo Stato; quella cedibile a terzi; l’età per diventare coltivatore, e/o detentore, e/o piccolo spacciatore; la percentuale massimo di principio attivo consentita nella droga “legale”. La criminalità moltiplicherà i suoi affari oltre il superamento di ciascuno di questi limiti, garantendo a chiunque – con minori ostacoli – un “prodotto” in maggiore quantità, con una qualità più efficace, e con più intensa attenzione verso i minori.
 
Il corpo sociale è certamente prostrato dall’aggressione terroristica: se accade è perché la difesa si è abbassata, e si corre ai ripari potenziandola. Chi vuole la droga “legale” di fatto riduce fortemente le energie essenziali di una comunità, cominciando da quelle dei più giovani: non sarà un terrorista né un fiancheggiatore, ma merita la medaglia di complice oggettivo, per quanto inconsapevole. É quella scarsa coscienza che spesso deriva da un canna fumata in libertà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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