lunedì 13 giugno 2016

Sant’Antonio da Padova, il “Martello degli Eretici”


















di Alfredo Incollingo

Quando la Chiesa Cattolica tribola, le sue virtù divine risplendono più forti di prima. È nei momenti di grande tumulto che i grandi santi hanno fatto la loro comparsa. La Salvezza per la Chiesa di Cristo proviene da quegli uomini e quelle donne che combattono il “fumo di Satana” al suo interno e all’esterno con Fede, Speranza e Carità.

Nel tumultuoso XIII secolo, tra rivoluzioni materiali e spirituali, la Chiesa Cattolica fu sul punto di disgregarsi. Chierici disonesti e lontani da Cristo, laici approfittatori e regnati spergiuri avevano condotto Roma alla perdizione. Tuttavia alcuni “astri luminosi” illuminavano le strade ai fedeli dispersi, ricordando loro qual era la retta via: Cristo, la Stella Polare nel nostro firmamento, e le tante stelle, i tanti santi che hanno dedicato la loro vita a Lui. 

Sant’Antonio da Padova, al secolo Fernando de Bulhoes, fu il “Martello degli Eretici”, frate e teologo, ma anche uomo di carità, che diede se stesso all’annuncio apostolico, sfidando pubblicamente eresiarchi e chierici lestofanti.

Nel tempo delle grandi eresie e dello smarrimento personalità come quella del santo lusitano ci aiutano a ricordare l’Insegnamento di Gesù.

Nacque probabilmente il 15 agosto 1195 a Lisbona in una nobile e ricca famiglia. Visse tra agi e piaceri, ma, come San Francesco d’Assisi, che conobbe e che decise di seguire, rinunciò a tutto per servire Cristo e fare opera apostolica

La sua figura si lega indissolubilmente a quella del santo assinate. Presi gli abiti monacali fu trasferito a Coimbra; qui incontro alcuni frati francescani diretti in Marocco per convertire i musulmani. Si stupì per la disposizione d’animo dei primi francescani che non temevano la persecuzioni e attendevano al loro compito con devozione. Ebbe modo di conoscere San Francesco durante il Capitolo Generale dell’Ordine francescano nel 1221. Alla Porziuncola Antonio incontrò questa straordinaria personalità che lo affascinò per la sua umiltà e per la fede sincera che dimostrava. Fu un incontro edificante per il giovane monaco che sentì dentro di sé l’esigenza di seguire la stessa missione del frate assinate. Si distinse subito per le sue prediche erudite, chiare e dirette a rinnovare la fede in Cristo.

Divenne francescano, un membro dell’Ordine che più di tutti era votato al rinnovamento e alla purificazione spirituale, e fu destinato dalla stesso Poverello d’Assisi allo studio teologico, a Bologna. La sua viva intelligenza, il suo nobile senso del dovere e la sua fede lo resero celebre come un grande predicatore, capace di convincere le folle e i dotti dell’epoca. Non ebbe timore di sfidare gli eretici sia in Francia, nelle regioni meridionali, sia in Italia: i catari francesi e i patari lombardi costituivano le prove più ardue

Fu in questi contesti che Sant’Antonio palesò la sua vocazione apostolica. Pubblicamente disputava con gli eresiarchi e convinceva gli astanti della falsità soggiacente le eresie, anche quelle più diffuse. Si ricordano una serie di fatti miracolosi che mettono in luce la sua straordinaria eloquenza e la sua fedeltà cristiana. Nel 1222 Antonio era a Rimini: qui la locale comunità catara disprezzava a tal punto il santo da ingiuriarlo in pubblico. Di fronte al rifiuto di ascoltarlo il frate iniziò a predicare ai pesci i quali miracolosamente si radunarono intorno a lui per comprendere il suo messaggio.

Il miracolo più noto è il cosiddetto “miracolo eucaristico della mula”. Un eretico cataro volle sfidare Sant’Antonio nel provare la reale presenza di Cristo nell’Ostia consacrata, impostando così la “sfida”: avrebbe chiuso la sua mula in una stalla per alcuni giorni senza cibo; se l’animale, una volta libero, avesse trascurato il cibo per l’Ostia, l’uomo si sarebbe subito convertito. La mula liberata, quando si presentò il santo, lasciò il fieno per inginocchiarsi di fronte all’Ostia consacrata tra lo stupore dei presenti. L’eretico alla fine si convertì. 

Ben presto la fama di Sant’Antonio lo rese un predicatore amato dalle folle che si radunavano in continuazione per ascoltarlo. Di ritorno dalla Francia, vittorioso e notorio, si sistemò nel convento francescano di Padova dove iniziò la scrivere la sua opera più celebre, “I Sermoni”, un testo rimasto incompleto per la sua prematura scomparsa. Il lusitano assunse all’interno dell’Ordine numerosi incarichi divenendo anche “Provinciale” nel Nord Italia e continuando più intensamente la sua opera di evangelizzazione. In queste vesti partecipò a diversi Capitoli Generali ed ebbe numerosi incontri con Papa Gregorio IX, il tutto per decidere la costruzione e la sistemazione dell’Ordine fondato da San Francesco, in particolare il ruolo dello “studio” all’interno della vita monastica. 

Morì a soli 36 anni, il 13 giugno del 1231 a Padova, avendo contribuito non poco alla difesa e al rinnovamento del cattolicesimo. La sua devozione, il suo carisma e la sua fede al servizio di Cristo e della Sua Chiesa gli valsero l’appellativo di “Martello degli Eretici”, mai cedevole verso i nemici del Vangelo. Venne canonizzato nel 1232 da Papa Gregorio IX e riconosciuto “Dottore della Chiesa” nel 1946 da Pio XII, definito come “Doctor Evangelicus”.

Fonte: Campari & De Maistre. La serietà non è una virtù, 13.6.2016 





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