lunedì 27 giugno 2016

Nonostante quello che scrivono i gesuiti, il “cristiano adulto” è un cattolico adulterato, cioè apostata. Punto.


La Civiltà Cattolica, nota e influente rivista dei padri gesuiti, torna ancora sulla interpretazione della esortazione post-sinodale Amoris laetitia. Lo fa con un pezzo firmato dal direttore, P. Antonio Spadaro, e da Louis J. Cameli, sacerdote teologo della diocesi di Chicago. Nell’articolo si sottolinea che «alcune tra le incomprensioni a riguardo di questo importante testo del Magistero nascono proprio dall’incapacità di comprendere che cosa sia il discernimento e di viverlo».

Una della parole chiave del documento di Papa Francesco a conclusione del lungo periodo sinodale – “discernimento” – viene indicata dalla Civiltà Cattolica come la vera cifra di Amoris laetitia, ciò che permette di affrontare la realtà con un punto di vista che tiene conto delle situazioni personali e quindi può sostenere la “pastorale dei casi particolari”.

Secondo Spadaro e Cameli, questo “discernimento” è la vera «chiave di un cristianesimo adulto»; eppure bisogna riconoscere che le critiche di molti ad Amoris laetitia hanno rilevato il rischio di uno scivolamento verso una pericolosa morale “della situazione”, su cui già si era espressa in modo negativo l’enciclica Veritatis splendor di san Giovanni Paolo II.

A queste critiche non banali la Civiltà Cattolica sempre rispondere dicendo che discernere «non è una forma di diagnosi, di problem solving o di casuistica», ma «il presupposto fondamentale del discernimento è che esso non riguarda un problema, ma piuttosto una vita in cammino, una persona che procede sulla strada verso Dio. Quindi il discernimento ordina le tappe e le dimensioni di quel percorso per identificare dove e come Dio sta invitando quella persona o quella comunità alla conversione e alla vita».

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Al di là delle parole, cioè il fatto che il discernimento non riguarda un problema, ma una vita in cammino verso Dio, rimane il dubbio rispetto alla pastorale che sembra emergere dall’esortazione. In sottofondo, infatti, pare esservi un’interpretazione della teologia morale che, forse, non sarà “situazionistica”, ma non è così facile distinguerla da essa. Il rischio che molti sottolineano, infatti, è che la norma insegnata dalla Chiesa venga ora considerata semplicemente come un “ideale”, che poi viene adattato alle situazioni, secondo «un bilanciamento dei vari beni in questione» (Cfr. Veritatis splendor n. 103). E ciò, diceva Giovanni Paolo II, sarebbe un «gravissimo errore».








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