martedì 17 maggio 2016

Se Avvenire nega ai sindaci la libertà di obiettare

  



 


di Renzo Puccetti
17-05-2016

E così il professor Francesco D'Agostino ha parlato: «resistere, resistere, resistere». Quel grido di battaglia faceva ben sperare e poco importa che il pilotato titolista avesse depotenziato il titolo utilizzando il molto più innocuamente adattativo "resilienza", mica l'autore del pezzo decide i titoli. Purtroppo la lettura ha spento il mio entusiasmo in men che non si dica.

C'è una prima insincerità nella necessariamente sommaria ricostruzione degli eventi: è vero, noi di piazza san Giovanni e del Circo Massimo siamo stati sconfitti in questa battaglia, e voi, autorevolissimi rappresentanti del laicato organizzato, vi dichiarate altrettanto. Ma c'è una differenza tra noi e non è di poco conto: noi ci siamo battuti. Non solo lo abbiamo fatto, ma, che piaccia o meno agli ipocriti, continueremo a farlo, perché la posizione prona non si addice alla virilità. Ma c'è assai di peggio che questo.

Per l'editorialista di Avvenire non rientra nel resistere il «fare appello all’obiezione di coscienza di quanti saranno chiamati a registrare (non a celebrare, come qualcuno pretenderebbe) le unioni civili previste e regolate dalla legge». L'autore non argomenta, ma a tappare la falla ci pensa il giorno dopo il professor Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale alla Lateranense, secondo il quale «il ricorso all’obiezione di coscienza, nel caso delle unioni civili, sarebbe una via impraticabile e indifendibile». Perché? L'argomentazione è sorprendentemente tautologica: «Perché ricevere e registrare la dichiarazione di "unione civile" [...] per un pubblico ufficiale non costituisce né un male morale, né un’adesione e approvazione della legge che la consente».

Che strano, nel momento in cui è in atto il richiamo rivolto al cattolico Mattarella circa gli obblighi della sua coscienza rettamente formata, l'organo della Cei pubblica due articoli in cui si dice che contro l'applicazione di questa legge la coscienza non ha da eccepire. Non c'è che dire, ecco un altro dei tanti aiuti alle istanze dei pro-family giunti con tempismo impeccabile dall'establishment cattolico italiano in questi mesi.  Se, infatti, un sindaco non deve farsi problemi nel mettere la propria firma su un certificato di civilunione, perché mai Mattarella non potrebbe mettere la propria firma sul testo della legge? Ma cerchiamo di capire meglio.

Il Catechismo insegna che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale" ed "in nessun caso possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa cattolica n. 2357). Con gli atti, anche le relazioni omosessuali, perché esse prevedono, oltre a tutte quelle specie di azioni che sono proprie dell'amore di amicizia, violazioni della castità (ibidem n. 2359). La legge sulle unioni civili, dal momento che istituzionalizzandolo, promuove ed approva questo male e lo rende del tutto sovrapponibile al matrimonio (tanto che il comma 21 del testo recita: «alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile»), è essa stessa un male.

Se un male non fosse non si comprende perché la Congregazione della Dottrina della Fede si sarebbe scomodata a redigere un documento di condanna (Congregazione per la Dottrina della Fede. Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali. 3 giugno 2003). Forse è sfuggito al professor Cozzoli, ma quello stesso testo, firmato dal cardinale Ratzinger e approvato da san Giovanni Paolo II, dunque ci sarà perdonato, un tantinello più autorevole di un articolo di giornale di un pur dottissimo docente, dà indicazioni operative diametralmente opposte: «In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza».

Se redigere un atto che direttamente concede al richiedente di effettuare un male non costituisce una cooperazione, se non formale, almeno materiale diretta, allora il professor Cozzoli e il professor D'Agostino avrebbero dovuto sostenere che anche redigere il documento per ottenere l'aborto da parte di un medico, pure egli un pubblico ufficiale, che con quell'atto semplicemente recepisce lo stato di gravidanza della donna, che la gestazione è entro i termini per abortire e la invita ad una settimana di riflessione, come per la registrazione delle unioni civili «non costituisce né un male morale, né un’adesione e approvazione della legge che la consente». Ma di diverso avviso fu proprio papa Giovanni Paolo II che impose in Germania che i consultori cattolici, nell'assistere le donne con gravidanza difficile, riportassero in calce al certificato attestante la propria assistenza per prevenire l'aborto, la dicitura: «Questo certificato non può essere utilizzato per l'esecuzione depenalizzata di aborti». (Giovanni Paolo II. Lettera ai vescovi tedeschi. 3 giugno 1999)

Non è possibile notare come la posizione contraria all'obiezione di coscienza espressa sulle colonne dell'Avvenire è, ma guarda la casualità, sovrapponibile a quella del Partito Democratico. Per bocca di Alessia Morani ci viene detto che i sindaci non sono al di sopra della legge. Vero, ma in molti pensiamo anche un'altra cosa, ovvero che la legge non è al di sopra della giustizia. L'impraticabilità dell'obiezione di coscienza a fronte di leggi ingiuste o è sempre, o è mai e dunque, mutatis mutandis, se vorranno essere coerenti con il principio da loro  sostenuto, D'Agostino, Cozzoli e Morani sono invitati nel giorno della memoria a chiedere l'assoluzione tombale per il comportamento morale di quelle centinaia di impiegati dell'anagrafe che si limitarono a trascrivere un elenco di nomi; erano nomi ebraici e senza che loro commettessero alcun male morale furono utilizzati dagli ufficiali della soluzione finale.



P.S.: Vale la pena sottolineare che anche Papa Francesco ha ribadito nell'intervista a La Croix il diritto dei cristiani, anche funzionari pubblici, all'obiezione di coscienza, e il dovere dello Stato di ammetterla.





 

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