giovedì 24 marzo 2016

Tutte le irregolarità del processo farsa per fare morire Gesù






Furono ventisette i divieti infranti dai giudici: le prove di una sentenza abborracciata, con un capo d'accusa grottesco


Rino Cammilleri
23/03/2016

Che il processo di Gesù davanti al Sinedrio fosse stato una farsa non è invenzione degli evangelisti. Né fu un caso isolato, visto che l'ebreo Flavio Giuseppe narra di un tal Zacharias processato
nel 67 d.C. e lapidato nel Tempio quantunque riconosciuto innocente. Due storici ebrei nel 1877 si misero a spulciare il Talmud e, nel processo di Gesù, riscontrarono ben ventisette irregolarità, una sola delle quali sarebbe bastata a invalidarlo. Ecco le principali.
 
La Legge giudaica vietava i processi notturni e nelle vigilie delle feste, e tra le sedute doveva correre almeno un giorno. Invece, Gesù è processato di notte davanti all'ex sommo sacerdote Anna, poi di nuovo all'alba da Caifa e alla vigilia di Pasqua. A casa di Caifa viene condannato a morte, sebbene tali condanne, rigorosissimamente, non potessero essere pronunciate che nella Sala delle Pietre Squadrate (detta Gazith) dentro al Tempio.
 
Ogni testimone doveva essere ascoltato da solo, invece nel caso di Gesù finì a gazzarra. I membri del Sinedrio, settantuno, dovevano votare solennemente uno per uno, ma nel caso di Gesù si misero a urlare in coro «a morte!».
 
Andiamo avanti. Il processo doveva iniziare con la comunicazione dei capi d'accusa all'imputato. Caifa, al contrario, interroga Gesù sulla di lui dottrina. Doveva essere giudice, invece si improvvisa pubblico ministero e pretende, per giunta, che l'imputato si accusi da solo. Gesù, infatti, gli fa presente che, secondo le regole, dovrebbe rivolgersi a chi ha ascoltato i suoi discorsi pubblici, non a lui. Per tutta risposta si becca una bastonata in faccia (come si vede dal naso rotto della Sindone) da parte di un lacchè ruffiano.
 
Gesù sa bene che i sinedriti non hanno nulla in mano, per questo cercano di strappargli un'ammissione di colpa. Ridicolo, perché in un processo appena decente nessuno può essere obbligato a testimoniare contro se stesso. È per questo che, dal quel momento, Gesù si tappa la bocca. La apre col Sommo Sacerdote solo per ammettere che il Messia è lui, cosa sulla quale non può tacere e che non è certo un reato. Ma Caifa lo dichiara subito bestemmiatore e si straccia pure le vesti, fregandosene della Legge che vieta al Sommo Sacerdote anche solo di sporcarle.
 
Gesù insomma è condannato a morte con sentenza abborracciata, in dispregio di ogni procedura e con un capo d'accusa grottesco. Già: se uno afferma di essere il Messia che si deve fare? Si va a scrutare le Scritture per vedere se il soi disant ha tutte le caratteristiche predette riguardo a tempi, luoghi e operato (Gesù le ha tutte e al millimetro, tra parentesi). Se non le ha, si tratta di un fanfarone megalomane, e va additato come tale al popolo. Ma fanfaronaggine e megalomania non sono reati capitali, specie se il Sedicente non ha mai fatto del male a nessuno.
 
Gesù ha perfettamente capito che quel processo-farsa è stato imbastito da tempo e che serve solo a far fare il lavoro sporco a Pilato. Il quale verrà incastrato dai Sinedriti con la minaccia di un ricorso all'imperatore Tiberio se non li accontenta. Tiberio si è appena sbarazzato del suo primo ministro Seiano e sta eliminando tutti quelli che a costui devono il posto. Pilato è uno di questi e sa che Cesare sta solo aspettando un suo passo falso. E il passo lo fa, anche perché i furbi sinedriti gli hanno messo sotto al piede una saponetta di quelle che qualunque cosa fai sbagli.
 
Gesù sta zitto anche con Pilato. Parla solo quando quello gli chiede se davvero è Re, e domanda che cosa intende: se vuol sapere se lui è un capo politico come dicono i sinedriti, la riposta è no; se la sua richiesta è invece sincera la riposta è sì, ma non «di questo mondo». E poi tace per sempre, perché vede che a Pilato la «verità» non interessa.
 
Gli storici ebrei di cui dicevamo all'inizio hanno una storia curiosa. Si tratta dei gemelli Augustin e Joseph Lémann di Lione. Dopo gli studi rabbinici si convinsero che Gesù di Nazareth era davvero il Messia e chiesero il battesimo. Vennero picchiati per farli rinsavire, ma non ci fu niente da fare. Cacciati di casa, si fecero preti tutti e due e pubblicarono nel 1877 il saggio Valeur de l'Assemblée qui prononça la peine de mort contre Jésus Christ. La Libreria Editrice Fiorentina lo ha tradotto come L'assemblea che condannò il Messia. Storia del Sinedrio che decretò la pena di morte di Gesù (pagg. 130, euro 8).
 
Il giorno in cui il Papa Pio IX proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione c'erano loro due a servirgli la messa. Nella loro ricerca i Lémann rintracciarono anche i profili di oltre quaranta dei sinedriti di quella triste notte. Il Nuovo Testamento cita solo quelli che cercarono di far rispettare le regole, Gamaliele, Nicòdemo, Giuseppe di Arimatea (non a caso divenuti poi cristiani), signorilmente sorvolando sugli altri personaggi, il più pulito dei quali, come si suol dire, aveva la rogna. Per questi il Nazareno non poteva essere il Messia perché non rispettava il sabato e i lavacri rituali. Ma soprattutto non aveva mai rispettato loro.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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