martedì 19 gennaio 2016

La crisi della Chiesa, la vera battaglia e la sacra liturgia

 


La crisi della Chiesa, la vera battaglia e la sacra liturgia 
A Ross Douthat, come correzione fraterna
di Frà Richard G. Cipolla, Dottore in filosofia


Editoriale di Rorate Caeli: “A Ross Douthat, come correzione fraterna” di Frà Richard Cipolla.



È sicuramente vero, come è stato osservato su Rorate Caeli, che l’Erasmus Lecture scritta per First Things da Ross Douthat [qui] ha provocato un certo sommovimento nei circoli tradizionalisti cattolici. Anche l’articolo di Monsignor Pope che lamentava il mancato aumento di partecipanti alla Messa Tradizionale nella Chiesa ha attratto la loro attenzione, ma non possedeva la stessa profondità e la stessa enfasi sulla drammaticità della situazione della lezione di Douthat. Molti di noi hanno avuto l’opportunità di ammirare i suoi editoriali sul New York Times e si sono chiesti spesso come abbia potuto ottenere il suo posto nel bel mezzo dell’establishment ultraprogressista di quel periodico. La sua scaramuccia con i teologi cattolici (mi sono trattenuto dal mettere la parola teologi tra virgolette per essere più obiettivo, nonostante io sia convinto che non possano più esistere teologi cattolici, poiché un teologo cattolico deve trovarsi immerso nella Tradizione, cosa che oggi sembra non succedere più) è un esempio dell’autentico ruolo dei laici nella Chiesa incoraggiato dal Concilio Vaticano II.

Douthat rileva una serie di questioni importanti che non sono immediatamente visibili nemmeno ai cattolici comuni o ai sacerdoti, in particolar modo ai vescovi: il sequestro del Concilio Vaticano II da parte di un forte gruppo di vescovi e di teologi impegnati nella ridefinizione della Tradizione che consentirebbe il conformarsi allo spirito dei tempi – quello degli anni ’60 e ’70; il fallimento del tentativo di Papa Giovanni Paolo II – nonostante i suoi eroici sforzi – di raddrizzare il cammino della Chiesa, diretto oggi da quanti sono innamorati dallo Zeitgeist della fine del XX secolo; il fallimento del tentativo – operato dal pontificato di Benedetto XVI – non solo di frenare la spinta impetuosa ad abbracciare il secolarismo, ma anche di “togliere la sporcizia dalle stalle”; le terribili e durature ripercussioni degli scandali relativi agli abusi sessuali sulla fede della gente e sull’atteggiamento del mondo nei confronti della Chiesa. Tutto questo Douthat lo comprende chiaramente, così com’è anche in grado di notare che il problema più grande per la Chiesa – il più grande perché è la causa del suo continuo scivolare verso un tiepido e flaccido anglicanesimo – è la papolatria, l’iperpapalismo, ossia – in qualsiasi modo la si voglia definire – un’adulazione della figura del papa che non ha precedenti nella storia Chiesa, e il presupposto secondo cui il potere del papa non avrebbe limiti, frontiere, in modo tale che i suoi pronunciamenti possano cambiare la dottrina a volontà, ovviamente dietro la maschera di uno sviluppo controllato dallo Spirito Santo. Un pontefice come Pio IX non occultava a nessuno di tenere in alta considerazione il suo potere di papa. Eppure, come ho già scritto prima di oggi, persino lui sarebbe rimasto esterrefatto – e forse sarebbe addirittura arrossito – se fosse stato testimone del potere che i papi dell’ultima parte del XX secolo si sono attribuiti, compreso quello di sopprimere il Rito Tradizionale Romano e di imporre a tutta la Chiesa un Novus Ordo della messa.

Anche se il Beato John Henry Newman assentì completamente alla definizione dell’infallibilità papale sancita dal Concilio Vaticano I, la sua forte perplessità sull’opportunità di definire la dottrina fu lungimirante.
 
Douthat identifica chiaramente il terribile errore di quanti definisce “cattolici conservatori” – un termine che è in se stesso poco azzeccato – nell’appellarsi costantemente a documenti ufficiali per difendere una comprensione tradizionale della fede cattolica. Questo appello ai documenti ufficiali della Chiesa è il frutto di una razionalizzazione del cattolicesimo che è cominciata senza dubbio col pur grandissimo Concilio di Trento, e che non ha mai cessato di esistere. L’ambiguità deliberata dei documenti del Vaticano II è stata utilizzata in modo molto astuto – secondo i parametri del mondo – da quanti hanno voluto muovere la Chiesa verso una direzione non tradizionale. Anche il tanto pubblicizzato Catechismo della Fede Cattolica non ha potuto nulla contro il passo dell’oca hegeliano diretto verso il trionfo del mero individualismo e l’inevitabilità di un’apoteosi della storia come autorealizzazione.
 
Douthat è arrivato alla conclusione che Papa Francesco – anche se il suo pensiero è radicato nella morale cristiana e nell’amore del prossimo, che è il corollario necessario dell’amore di Dio – stia cercando di condurre la Chiesa a un punto in cui essa potrebbe alla fine negare l’essenza del cattolicesimo, almeno così come dovrebbe essere vissuto. Quando Papa Francesco venne eletto, scrissi un pezzo per Rorate Caeli in cui lo descrivevo come il papa più adatto ai nostri tempi. Dichiarai che per lungo tempo saremmo stati testimoni di un “ritorno al futuro”. Papa Bergoglio incarna tutto ciò che i gesuiti degli anni ’60 erano e sono ancóra. E io dissi che era necessario ripercorrere quell’epoca, stavolta non a livello di società secolare, ma a livello ecclesiastico. Ciò non intende mettere in cattiva luce Papa Francesco: prego per lui tutti i giorni recitando il Rosario, e lo faccio con sincera devozione al suo ruolo nella Chiesa, che gli viene da Dio. E continuerò a farlo. Ma non soccomberò all’ondata di iperpapalismo che ha avuto effetti così negativi sulla Chiesa degli ultimi cinquant’anni come minimo, a quella papolatria che rifiuta di volgere lo sguardo alla storia della Chiesa e di fermarsi un attimo a valutare con una certa obiettività gli uomini che hanno occupato recentemente il Soglio di Pietro.

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Se potessi conversare con Ross Douthat, gli direi quanto segue.

In primo luogo: nella Sua analisi della situazione della Chiesa, Lei utilizza i termini ‘conservatore’ e ‘progressista’ in un modo assolutamente erroneo, che non può far altro che favorire l’ulteriore avanzata della marcia verso la trasformazione del cattolicesimo in qualcosa di sciocco e vago un po’ come l’anglicanesimo contemporaneo, nel quale la Scrittura, la Tradizione e lo stesso Cristo non rappresentano più un freno al proclamare l’oscurità del mondo la vera luce. Il fondamento stesso dell’anglicanesimo risiede in una rottura egocentrica con la Chiesa di un re lascivo – come Newman era stato in grado di vedere – che ha provocato la sua dissoluzione e la sua apostasia: esso si allontana sempre di più dal suo centro, perché non ha un centro. L’anglo-cattolicesimo come forza interna all’anglicanesimo finalizzata a infondere in esso una comprensione cattolica della fede cristiana è defunto perché, anche se veniva proposto da uomini e donne di fede davvero eccezionali, si è involuto in un’imitazione, sì, del cattolicesimo, ma di cattivo gusto: esso è stato distrutto da uno sterile estetismo e da un clero in cui l’omosessualità era un elemento sin troppo comune. A differenza di Pusey, di Keble e dei loro seguaci, Newman fu capace di comprendere che il cattolicesimo può esistere solamente all’interno della Chiesa Cattolica.

Quel che si sta verificando oggi nella Chiesa non è una battaglia tra progressisti e conservatori. Questi sono termini politici che hanno cambiato significato sin troppe volte durante gli ultimi due secoli. La battaglia è tra la Tradizione cattolica (che include il primato della Scrittura e la sua forza vincolante) e l’egocentrismo e l’oscurità del mondo, sotto le mentite spoglie del sentimentalismo del volemose bene. Questa battaglia è quella di cui parla la Prima Epistola di Giovanni, ed è la stessa battaglia che si sta combattendo da duemila anni.
 
Ma soprattutto, Signor Douthat, Lei non comprende che il problema più grave della situazione della Chiesa di oggi è la distruzione della sua vita liturgica. Questa è una cecità che Lei condivide coi Neocons, che sono stati incapaci per anni di rendersene conto e che si rifiutano di riconoscere questa realtà perché sono incapaci anche solo di prendere in considerazione il fatto che la Chiesa possa commettere gravi errori nonostante la sua infallibilità. L’atteggiamento favorevole – tanto da ricordare l’ingenuità di Pangloss – nei confronti degli sviluppi del Vaticano II nella liturgia non solo è un affronto al senso della realtà, ma ha anche contribuito al drammatico declino (mai ammesso dai vescovi) della frequentazione della messa, spintosi a tal punto che oggi la percentuale di cattolici che vanno regolarmente a messa la domenica è inferiore al 25%. Qualsiasi persona ragionevole si siederebbe a un tavolo per cercare di capire come si è arrivati a questo punto o almeno per arrivare alla conclusione che sono state prese delle decisioni sbagliate nella redazione della Sacrosantum Concilium da parte del Consiglio incaricato del rinnovamento liturgico. È un fatto notevole che Papa Paolo VI abbia pensato di avere il diritto di cambiare la liturgia della messa. Come ho affermato qui sopra, persino Pio IX non sarebbe riuscito ad attribuirselo. Poi, un bel giorno, arriva Benedetto XVI e dichiara che ciò che era sacro prima rimane sacro oggi e che la messa tradizionale romana non è mai stata soppressa. Oddio. Ma non è contraddittorio tutto questo?

Noi che amiamo la Tradizione della Chiesa Cattolica abbiamo gioito quando Benedetto ha emanato il Motu Proprio – Summorum Pontificum, che ha liberato la messa tradizionale dalla tirannia dell’establishment liturgico postconciliare. Ma Benedetto ha potuto far questo solo fingendo che esistessero due forme di un unico rito romano: quella ordinaria e quella straordinaria. Il significato di questa distinzione è quanto meno poco chiaro, e forse anche poco convincente. Il fatto è che egli non poteva affermare esplicitamente che l’imposizione della Novus Ordo alla Chiesa da parte di Paolo VI fosse sbagliata, perché bisogna continuare a far finta che i papi non possono fare errori seri. Di qui la farsa della decisione in base alla quale se un piccolo gruppo di fedeli di una parrocchia vuole la ‘vecchia messa’, deve rivolgersi al parroco e chiedergli di celebrarla nella loro parrocchia, e se il parroco si rifiuta (ma perché dovrebbe farlo?), deve rivolgersi al vescovo. Cosa significa tutto questo? La gran maggioranza dei vescovi osteggia la messa tradizionale, e quest’animosità si riscontra ancor di più tra i parroci e i responsabili dei seminari. Quelli che hanno raggiunto una certa età nutrono quello stesso desiderio di desacralizzare la liturgia – tutelato dalla prassi – che si è scatenato dopo il Concilio Vaticano II. Vede, Signor Douhat, quel che Lei vede verificarsi nella vita dottrinale della Chiesa è una conseguenza diretta dello sradicamento della vita liturgica della Chiesa dalle sue fondamenta basate sulla Tradizione cattolica. Questo non è conservatorismo, è fondazionalismo [vedi], vale a dire l’avere un fondamento nella Tradizione degli apostoli.

Ma non è il momento di stracciarsi le vesti, di prendere di mira il papa o di lanciare l’assalto a Fort Apache. No. Il Vangelo di domenica prossima, nella forma straordinaria, narrerà come sempre il primo miracolo di Cristo: la trasformazione dell’acqua in vino durante le nozze di Cana, come parte dell’Epifania del Signore. E, mirabile dictu, dato che ci troviamo nell’“anno C della forma ordinaria”, quanti frequenteranno la messa celebrata secondo quest’ultima forma ascolteranno lo stesso Vangelo.
 
È meraviglioso! Perché questo primo miracolo di Nostro Signore è un miracolo ispirato dalla pura generosità, non per guarire, per esorcizzare o per resuscitare qualcuno dai morti. Il Suo primo miracolo è stato compiuto per rendere felici delle persone durante una celebrazione di speranza e di amore: delle nozze. Quindi, alziamo tutti i nostri calici con allegria e in rendimento di grazie per aver ricevuto la grazia della fede cattolica. E sì, brindiamo anche per il papa, mantenendo però vigilante la nostra coscienza. Brindiamo anche gli uni per gli altri, chiunque noi siamo, brindiamo per questo caotico mondo in cui viviamo perché, che lo sappia o no, è stato redento da Gesù Cristo. E rendiamo grazie a Dio con un sorriso sulle labbra per averci concesso la grazia di conoscere la bellezza e la verità della fede cattolica.
 
 
 
 
 
 
 

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