martedì 24 novembre 2015

Un Concilio non conciliante

 





Pochi giorni fa mi trovavo alla presentazione di un libro nella splendida cornice della sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini. Il libro che veniva presentato riguardava i diari del cardinal Pericle Felici, segretario generale del Concilio Vaticano II e figura chiave per capire un poco di più riguardo questo evento ecclesiale che ha segnato la vita della Chiesa negli ultimi 50 anni in modo profondo.

Il libro, curato dall’Arcivescovo Agostino Marchetto, è stato presentato in una cornice prestigiosa ed alla presenza di nomi illustri della curia romana, fra cui il segretario di stato Cardinal Pietro Parolin e numerosi vescovi, cardinali, sacerdoti e laici. Il lavoro di Monsignor Marchetto sul Concilio si muove in una direzione diversa da quello della cosiddetta scuola di Bologna facente capo un tempo a Giuseppe Alberigo ed ora capeggiata da Alberto Melloni – scuola di Bologna che avalla l’interpretazione del Concilio come momento di rottura – così come mi sembra diversa da quella revisionista che fa capo a Roberto de Mattei e Brunero Gherardini che nei loro lavori cercano, in un certo senso, di depotenziare l’importanza del Concilio e di ricentrare sugli insegnamenti tradizionali l’impatto che esso ha avuto nella vita della Chiesa.

Monsignor Marchetto, avallato anche dal gradimento autorevole di Papa Francesco, sembra sposare di più la tesi resa famosa dal predecessore dell’attuale pontefice ed attuale papa emerito Benedetto XVI, quello del Concilio che va interpretato secondo l’ermeneutica della continuità, non quella della rottura.

Ora, anche per ciò che riguarda la musica liturgica, l’impatto del Concilio è stato fragoroso, a dir poco. Certamente c’è stata una rottura violenta, andando di molto oltre le intenzioni dei documenti del Concilio (e assecondando così un misterioso spirito dell’assise ecumenica). Io penso che l’interpretazione di Benedetto XVI e Monsignor Marchetto sia la più corretta, ma non mi nascondo che il Concilio è stato usato come una sorta di chiave per scardinare tante porte che in precedenza erano precluse. Si è usato il Concilio, molto a sproposito, come un grimaldello per aprirsi varchi in ambiti che dovevano rimanere al di fuori della liceità musicale e liturgica. Questo ha portato come conseguenza tutte quelle disfunzioni che elencavo in paragrafi precedenti.

Il Concilio ha certamente segnato la Chiesa negli ultimi 50 anni in modi che sono sotto gli occhi di tutti. Per quello che riguarda i danni fatti nella musica e nella liturgia (con la scusa del Concilio e malgrado quello che i documenti dicevano) non sono ottimista ma sono possibilista. Come detto, la spinta al cambiamento non verrà dall’altro ma verrà da un movimentismo disorganizzato che si coagulerà intorno a poche idee riformistiche fondamentali. Aspettiamo quel momento con trepidazione.









ilnaufrago.com

 

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