mercoledì 11 novembre 2015

Paolo VI : si all'attegiamento dogmatico della Chiesa . Testo da far rileggere a papi, vescovi, preti e tutti i fedeli

          


PAOLO VI UDIENZA GENERALE 11 AGOSTO 1965

A Noi piace semplicemente in questo momento fare a voi un invito e un augurio.

Un invito: nessuno di voi voglia diffidare della santa Chiesa, e di questa cattedra in particolare, per l’atteggiamento che essa fermamente e fedelmente conserva verso la verità religiosa, che le deriva dalla rivelazione, a lei confidata da Cristo.

Atteggiamento dogmatico, sì, che vuol dire fondato non su propria scienza, ma sulla Parola di Dio, resa intelligibile dallo Spirito Santo, e trasmessa per via d’un magistero, che trae la sua autorità dall’essere discepolo dell’unico Maestro Cristo Signore.

Stupenda l’affermazione di Sant’Agostino: «Deus in cathedra unitatis doctrinam posuit veritatis»: Dio ha posto la dottrina della verità là dov'è la cattedra dell’unità (Ep. 105 - P.L. 33, 403).

Atteggiamento che non consente l’ambiguità, l’interpretazione soggettiva, la confusione, la decadenza, la contraddizione nel messaggio della salvezza, e che garantisce a tutti ed a ciascuno nel Popolo di Dio la medesima verità, la medesima sicurezza, il medesimo linguaggio, quello di ieri, di oggi e di domani.
 
Atteggiamento che non impigrisce gli spiriti, non preclude loro ogni vera indagine scientifica, e che spinge anzi le menti a pensare, a progredire, a pregare. Atteggiamento che non ci insuperbisce, come detentori fortunati ed esclusivi della verità, ma ci fa però forti e coraggiosi nel difenderla, amorosi nel diffonderla. Ancora. Sant’Agostino ce lo ricorda: «Sine superbia de veritate praesumite», senza superbia siate fieri della verità (Contra litteras Petiliani, 1, 29, 31. - P.L. 43, 259). Ma purtroppo talvolta, oggi, in questo sforzo di rinnovamento, alcuni, mossi certamente da zelo sincero, si attengono al primo modo, dimenticando o trascurando il secondo.

Avviene allora che molti sono tentati di credere vivo solo ciò che è nuovo, solo ciò che è moderno, solo ciò che si confonde con l’esperienza del mondo contemporaneo, e nasce d’istinto la tentazione di ripudiare ciò che ieri è stato fatto e pensato, di staccarsi dalla teologia e dalla disciplina tradizionale, di mettere tutto in questione, come se si dovesse cominciare oggi a costruire la Chiesa, a rifare le sue dottrine partendo non tanto dai dati della rivelazione e della tradizione, quanto piuttosto dalle realtà temporali in cui si svolge la vita contemporanea, per dare inizio a nuove forme di pensiero, di spiritualità, di costume, col pretesto di infondere nel nostro cristianesimo un’autenticità solo ORA scoperta, e solo essa comprensibile agli uomini del nostro tempo.

Dapprima questo processo di rinnovamento tocca e toglie cose e forme caduche; ma poi, in alcuni, arriva a intaccare cose e forme essenziali e intangibili nella Chiesa; e allora v’è pericolo che, pur non volendo, la mentalità del riformatore si adatti, si faccia relativa alle correnti di pensiero di moda o del pensiero altrui; e verità che sono fuori del tempo, perché divine, sono piegate ad uno storicismo che le priva talora del loro contenuto e della loro stabilità. San Paolo sembra montare la guardia, ed ammonirci lui, l’apostolo più teso a farsi tutto a tutti (1 Cor. 9-22) che non deve svuotarsi la croce di Cristo: «Ut non evacuetur crux Christi» (1 Cor. 1-17).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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