martedì 3 novembre 2015

La nostra fede è straordinaria quanto il rito che celebriamo?

 



Omelia del Padre Abate dell’abbazia Notre-Dame di Fontgombault, Dom Jean Pateau O.S.B., pronunciata a Roma il 25 ottobre 2015 (Festa di Cristo Re), presso la chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini, in chiusura della quarta edizione del Pellegrinaggio Summorum Pontificum.


Cari fratelli e sorelle,

“Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera”. Le acclamazioni carolingie non mettono forse a dura prova la nostra fede?

Nel 1935 Stalin rispondeva così a Pierre Laval, che gli chiedeva di rispettare le libertà religiose: “Quante divisioni ha il Papa?”. Oggi molti uomini di Stato fanno implicitamente, e qualche volta esplicitamente, la stessa riflessione. Nel presente frangente, in cui la libertà religiosa, la famiglia, la vita nascente o giunta al termine, sono sotto attacco nella maggior parte dei Paesi del mondo, e anche all’interno stesso della Chiesa, la festa di Cristo Re viene a sollecitare un atto di fede da parte di coloro che sarebbero tentati dalla disperazione.

Il Vangelo ha ricordato il faccia a faccia di Gesù e Pilato, il dialogo di uno che ritiene di detenere ogni potere con un uomo schernito, deriso, sconfitto: “Tu sei il Re dei Giudei?... Dunque, tu sei Re?”. La risposta di Gesù svela una regalità ignorata dagli uomini, un Re testimone della verità: “Tu lo dici, io sono Re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37).

Sono 2000 anni che, in gran numero, stupefatti, beffardi, provocatori… uomini di compromesso, di calcolo, o semplicemente nel dubbio hanno posto questa domanda a Gesù. La risposta di Cristo rimane sempre la stessa: “Io sono Re”.

Con san Paolo, siamo nell’azione di grazie poiché:
“Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col 1,16-18).

Durante il rito del battesimo il sacerdote interroga il catecumeno: “Che cosa chiedi alla Chiesa?”. Quegli risponderà: “La fede”. Una risposta che deve essere il fermo proposito di una vita. Il fallimento della speranza e della carità dipende spesso da una mancanza di fede, da una visione troppo umana delle circostanze che dimentica l’abbandono al piano di Dio.

Il riconoscimento da parte degli Stati, delle nazioni, della regalità di Cristo, comincia con l’accettazione di questa regalità su ciascuno di noi. Il motu proprio Summorum Pontificum di Sua Santità il Papa Benedetto XVI ci permette di attingere nella pace alle ricchezze liturgiche della forma extraordinaria. Alla nostra gratitudine si aggiunge un dovere che oso riassumere in una domanda: la nostra fede è altrettanto extraordinaria quanto il rito che celebriamo? Ricentrare la liturgia su Cristo non ha che uno scopo: diventare noi stessi dei veri testimoni della regalità di Cristo, vivere di Cristo e per Cristo, a tal punto che tutti dovrebbero poter dire: “è Cristo che vive in loro”.

Questo pellegrinaggio di azione di grazie ci conduce a Roma mentre si conclude la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Re di ogni uomo, Cristo è anche Re delle famiglie.
In più occasioni, per esempio nel corso delle udienze del mercoledì, Sua Santità il Papa Francesco ha proposto una ricca e profonda riflessione sulla famiglia. Durante il suo recente viaggio in Ecuador, il Vangelo delle nozze di Cana gli ha dato occasione di affrontare il tema:
“Le nozze di Cana, diceva il Papa, si rinnovano in ogni generazione, in ogni famiglia, in ognuno di noi e nei nostri sforzi perché il nostro cuore riesca a trovare stabilità in amori duraturi, in amori fecondi, in amori gioiosi. Facciamo spazio a Maria, ‘la madre’, come afferma l’evangelista. E facciamo ora insieme a lei l’itinerario di Cana. Maria è attenta… Maria è Madre… Maria prega… Ella ci insegna a porre le nostre famiglie nelle mani di Dio: ci insegna a pregare, alimentando la speranza che ci indica che le nostre preoccupazioni sono anche preoccupazioni di Dio. E, alla fine, Maria agisce. Le parole ‘fate quello che vi dirà’, rivolte a quelli che servivano, sono un invito rivolto anche a noi, a metterci a disposizione di Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito. Il servizio è il criterio del vero amore. Chi ama serve, si mette a servizio degli altri. Questo si impara specialmente nella famiglia… (Santa Messa per le famiglie, Parque de los Samanes, Guayaquil, lunedì 6 luglio 2015)”.

Essere attenti, pregare e servire, sono le indicazioni dateci da Maria.
San Luca ricorda l’atteggiamento di Maria: Ella “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). La parola latina per “meditandole” è “conferens”, letteralmente “portandole tutte insieme nel suo cuore”. Il cuore di Maria è il luogo di una alchimia d’amore. È là che Ella rende grazie, là che prega, ed è ancora là che ella soffre e che si offre.
Mentre si avvicina l’anno giubilare della Misericordia, i nostri cuori sono il luogo di un dialogo con Cristo Re? Portiamo in essi gli avvenimenti gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi delle nostre vite, meditandoli in segreto per derivarne una regola per il nostro agire?
“Quante divisioni ha il Papa?”. Stalin avrebbe potuto dire: “Quanti cuori?”. Perché un cuore donato a Cristo è molto più temibile di una divisione?

In questi giorni in cui i genitori di santa Teresa del Bambin Gesù sono appena stati canonizzati, mi sovvengono alcune parole di loro figlia, e ve le lascio come viatico in questa santa città di Roma, cuore della cristianità:
“Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in alcuno dei membri descritti da san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti… La Carità mi dette la chiave della mia vocazione. Capii che, se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l’organo più necessario, più nobile di tutti, non le manca, capii che la Chiesa ha un cuore, e che questo cuore arde d’amore. Capii che l’amore solo fa agire le membra della Chiesa, che, se l’amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’amore racchiude tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi… In una parola che è eterno! Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: Gesù, Amore mio, la mia vocazione l’ho trovata finalmente, la mia vocazione è l’amore!” (Manoscritto B, folio 3, verso).
Amen.








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