venerdì 16 ottobre 2015

I tre marchiani errori di parlare Cavalcoli




di Corrado Gnerre

San Pio da Pietrelcina, grande apostolo dei nostri tempi nonché grande difensore della indissolubilità e santità della famiglia, un giorno scrisse ad un figlio spirituale: “Il premio è promesso dal divin Maestro non a chi ha ben incominciato, ma a chi persevera sino alla fine. Vi basti l’esempio di Giuda, il quale incominciò bene, continuò nel bene, ma non perseverò fino alla fine e andò perduto.”

Leggo dal sito vaticaninsider.lastampa.it un’intervista rilasciata dal padre domenicano Giovanni Cavalcoli, famoso teologo che indubbiamente aveva (eccome) iniziato bene, ma che per le cose che sta dicendo da un po’ di tempo a questa parte sembra abbia rinnegato non poco i suoi provvidenziali inizi.

Dispiace dirlo, ma nell’intervista rilasciata dal Padre ci sono almeno tre evidenti errori che mai ci si sarebbe aspettati considerando come e cosa scriveva il Nostro tempo fa.

Il primo errore

Il primo errore riguarda l’affermazione secondo cui la comunione ai divorziati riguarderebbe la disciplina e non la sostanza della dottrina dei sacramenti. Come si faccia a dire una cosa del genere non lo so. So solo che in questo caso la logica salta. Mi spiego. Che ci sia una differenza tra la dottrina dei sacramenti e la disciplina degli stessi è vero, che la prima sia intoccabile mentre la seconda sì, è altrettanto vero; ma che per la comunione ai divorziati si tratti solo di una questione disciplinare è una grande sciocchezza sul piano logico. Faccio un esempio (peraltro citato dallo stesso padre Cavalcoli nell’intervista) la decisione di san Pio X di abbassare l’età per ricevere la Prima Comunione e la permissione di riceverla più frequentemente fu sì un cambiamento disciplinare ma che non toccava la sostanza della dottrina. Lo sarebbe stato se si fosse detto: possono accostarsi all’Eucaristia anche coloro che si trovassero in stato di peccato grave. Ecco dunque un semplice ma chiaro problema (fa riflettere il fatto che lo si debba dire ad un professore di teologia della levatura di padre Cavalcoli): i cambiamenti disciplinari possono esserci fatta salva la sostanza. Padre Cavalcoli pone male il problema dicendo che ogni cambiamento disciplinare, perché non di sostanza, avrebbe sempre una sua legittimità. La questione deve invece essere precisata in questo modo: un cambiamento disciplinare non è più tale quando muta la sostanza, se muta la sostanza non è più “disciplinare” ma “sostanziale”.

Il secondo errore

Padre Cavalcoli afferma che esiste il peccato ma non esisterebbero le “condizioni di peccato”, perché il peccato è sempre un atto della volontà. Egli dice nell’intervista: «Non esistono “condizioni peccaminose”, perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente. L’atto del peccato può essere prolungato nel tempo, come può avere per sua essenza una durata temporale (per esempio un furto in una banca); ma, trattandosi di un atto della volontà, può essere interrotto in qualunque istante e comunque cessa entro un certo lasso di tempo, una volta che l’atto è compiuto. Quello che è permanente in noi per tutta la vita, anche nei migliori, è la tendenza a peccare, conseguenza del peccato originale…” Siamo all’assurdo. Convivere non è un atto di volontà? Due sono le cose: o la convivenza e il concubinato sono legittimi oppure no. Se si ritengono legittimi, cambia la dottrina. Se si ritengono illegittimi e si afferma che essi non costituiscono condizioni peccaminose allora salta la logica…e anche in questo caso la dottrina. Padre Cavalcoli fa l’esempio del furto e dice che esso può essere interrotto… e la convivenza? Non può anch’essa essere interrotta? Lo so che a riguardo si dice: ma ci sono delle convivenze che ormai non possono più interrompersi perché consolidate nel tempo e con figli da crescere ed educare… Ma bisogna rispondere: anche queste convivenze devono essere interrotte. Padre Cavalcoli dovrebbe ben conoscere che in tal caso l’interruzione non riguarderebbe la forma ma la sostanza, prendendo tutte le precauzioni del caso. I due conviventi dovrebbero vivere non più come marito e moglie (perché non lo sono), ma semplicemente collaborando all’educazione dei figli. La “Familiaris Consortio” al n.84 è chiara: “La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. (…). La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).”

“Educazione”, ecco un’altra questione che in questi giorni si dimentica nel dibattito teologico. Ma è possibile che nessuno pensa ai figli? Si dice: due divorziati che sono risposati hanno comunque l’obbligo di educare i propri figli… giusto. Ma, appunto, educarli! In questo caso l’educazione imporrebbe il far riconoscere visibilmente ai figli (vivendo non come marito e moglie) lo sbaglio fatto affinché anche i figli non lo ripetano nella loro vita. Ma questo –diciamocelo francamente- non lo si dice perché tutto sommato non ci si crede più.

Inoltre c’è un’altra questione, quella che la convivenza va a ledere inevitablmente l’indissolubilità. Ma padre Cavalcoli crede o non crede che vita natural-durante i due coniugi rimangono uniti sacramentalmente in Dio? Se è così, anche quando non vi è più la possibilità di convivere, per esempio il caso del coniuge abbandonato, questi è tenuto a continuare a sentirsi unito al proprio marito o alla propria moglie pregando per lui. Un’unione che non finisce con la separazione e che è esclusiva, e proprio perché tale non può essere condivisa con altri, pena l’indissolubilità del matrimonio. Questa è la logica.

Il terzo errore

Ma è proprio sulla logica la questione. E vengo al terzo errore che fa padre Cavalcoli. Ovviamente non poteva non venir fuori l’ipostatizzazione della Tradizione, la Tradizione che dai tradizionalisti viene intesa come una sorta di libro, il fatto che non si riconosca ad essa una dimensione “vivente” e via discorrendo… Ora, premettendo che (è bene ripeterlo altrimenti padre Cavalcoli pensa che noi “tradizionalisti” –definizione che a me non piace- siamo impreparati) che Tradizione e Scrittura sono fonti “remote” della Rivelazione, mentre il Magistero ne è fonte prossima… premettendo questo, va detto che padre Cavalcoli quando parla del rapporto tra Tradizione e Magistero si dimentica due importanti cose che mi limito solo a citare perché necessiterebbero di molto più tempo. Primo, che il Magistero non può nella storia entrare in contraddizione (ipotesi tutt’altro che impossibile, infatti è contemplata teologicamente tant’è che ne parlava già San Vincenzo da Lerino). Secondo: quella della possibile fallibilità del papa. Nel primo caso, la palese contraddizione implicherebbe che si segua ciò che è stato insegnato prima non ciò che viene affermato dopo; nel secondo caso, va ricordato che l’infallibilità del Papa non è infallibilismo.







Corrispondenza Romana, 16 ottobre 2015




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