martedì 20 ottobre 2015

Ecco perché ammettere i divorziati risposati all'Eucarestia produrrebbe un enorme smottamento nella Chiesa

 
 

Matrimonio e famiglia: Chiesa al bivio.

Articolo pubblicato su “Il Timone” n. 146 Settembre-Ottobre 2015
 
di Stefano Fontana
 
Il Sinodo sulla famiglia che si celebrerà nel prossimo Ottobre del 2015 sarà molto diverso da tutti i precedenti Sinodi della Chiesa cattolica. Lo sarà, ma in parte si può dire che lo sia già stato. Il Sinodo ordinario è stato infatti preceduto da una fase durata quasi due anni.  Nel febbraio 2014 il cardinale Walter Kasper ha tenuto la sua famosa relazione sul Vangelo della Famiglia al Concistoro dei Cardinali, aprendo in quel modo la discussione dentro tutta la Chiesa.
 
Non era mai successo niente di simile in passato. Durante questo lungo periodo si sono moltiplicati gli interventi: di singoli cardinali e vescovi, di conferenze episcopali, di teologi, di associazioni e movimenti, di intellettuali e persone impegnate nella pastorale, di gente qualunque e di interlocutori improvvisati. Mai un Sinodo era stato preceduto da una tale discussione. Secondo alcuni si è trattato di un fatto positivo, che ha permesso una discussione aperta nella Chiesa. Secondo altri, però, è stata una dannosa gazzarra che ha assimilato la discussione nella Chiesa a quella nella società civile e nello spettacolo, snaturandone il senso.
 
Il Santo Padre ha invitato i Padri Sinodali alla Parresia, ossia alla franchezza che nasce dalla condivisione della medesima fede. E’ però difficile negare che, in molti casi, più che di parresia si è trattato di cicaleccio, di interventi volutamente provocatori, di condanne pregiudiziali dell’avversario, di lanci di ultimatum, di prese di posizione tattiche per tentare di condizionare l’esito del Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e, in generale, l’andamento di tutto il percorso sinodale. Non è da escludersi che molti fedeli siano stati scandalizzati da dichiarazioni di vescovi e cardinali in rottura con l’insegnamento di sempre della Chiesa e dettate da tattiche politiche sinodali.
 
Durante il percorso presinodale le diocesi erano state incaricate di raccogliere il parere dei fedeli. Se l’intento poteva essere di favorire il coinvolgimento dei fedeli sui temi sinodali, il fatto ha anche però dato l’impressione di una consultazione “della base”, prassi inusitata nella Chiesa cattolica e poco conforme alla sua natura gerarchica. In ogni caso anche queste indagini demoscopiche cattoliche si sono prestate a strumentalizzazioni: in molte diocesi i partecipanti erano pochissimi ma il loro parere è passato come quello della maggioranza.
 
Al Sinodo ordinario dell’ottobre 2015 si arriva, quindi, logorati da miriadi di interviste, convegni e controconvegni, dichiarazioni e rettifiche, prese di posizione plateali, interventi di vescovi spinti in avanti e di vescovi fermi nella dottrina di sempre. Si è corso così un grande pericolo: quello della sostituzione del Sinodo reale con un Sinodo virtuale. Si è riproposta la questione già nata col Vaticano II. Molti temono che, qualunque sarà il documento finale approvato dal Papa, gli effetti reali di questo processo sinodale sono già in atto e lasceranno comunque traccia. In altri termini, questa fase di confronto e dibattito ha permesso l’inizio di prassi pastorali e di revisioni dottrinali di fatto che costituiscono già un esito reale del Sinodo e che sarà difficile poi revocare se le conclusioni sinodali dovessero essere altre.
 
Si vede da questo che un primo tema centrale del Sinodo di ottobre è proprio il Sinodo e la categoria di “sinodalità”, con la necessità di depurare il suo significato da categorie che appartengono alla società di oggi, al dibattito democratico secolare o alla società dello spettacolo e che non hanno niente a che fare con la visione cattolica.
 
Emerge anche da tutto questo che il Sinodo dovrà affrontare, anche se non è detto che lo faccia data l’imponenza del problema, il rapporto tra la dottrina e la pastorale. Su questo tema la Chiesa è oggi molto divisa. Eppure è un tema fondamentale perché coinvolge cosa intendiamo per dogmi della Chiesa, per Tradizione cattolica e per rapporto della Chiesa con il mondo. Se c’è un nucleo dogmatico e dottrinale eternamente valido e sempre uguale a se stesso, allora la dottrina precede la pastorale. Non nel senso che questa debba essere meramente applicativa, ma nel senso che da quel nucleo dottrinale riceve luce e orientamento. Se, invece, il nucleo dogmatico e dottrinale è storico e cambia nel tempo, allora non esiste un punto di vista cattolico assoluto, ma la Chiesa dovrà solo narrare la propria vita confrontandosi con le altre narrazioni e interpretare insieme con gli altri le situazioni che cambiano. In questo caso la pastorale, ossia il porsi in situazione, l’ascoltare ed accompagnare gli uomini, diventa prioritario, quando non esclusivo, rispetto alla dottrina. Nel Sinodo 2015 la questione del rapporto tra dottrina e pastorale sarà affrontata come rapporto tra verità e misericordia. Anticipare la misericordia rispetto alla verità contiene però il pericolo di sostituire la nostra misericordia di operatori pastorali alla misericordia di Dio che si esercita nella verità dei Sacramenti. La dottrina, infatti, non è astrattezza ma vita. Come si vede, non sono cose da poco e certo la richiesta demoscopica dei pareri dei fedeli non può aiutare granché.
 
Al Sinodo il nucleo dogmatico e dottrinale, nei suoi rapporti con la pastorale, riguarda naturalmente prima di tutto il matrimonio e la famiglia, ma la dogmatica cattolica è un tutt’uno e se si sposta un mattoncino qui ne risulta uno spostamento anche là. La questione dell’accostamento all’eucarestia dei divorziati risposati civilmente ha giustamente assunto una grande importanza come se fosse l’unico tema del Sinodo, proprio perché tocca nel vivo questo nucleo dogmatico e dottrinale. Se i divorziati risposati sono ammessi all’Eucarestia dopo qualche percorso “penitenziale” da inventare ex novo sul piano pastorale e disciplinare, ma senza che rinuncino alla loro situazione di peccato, non ci può essere pentimento e diventerà possibile accostarsi all’Eucarestia in condizione di peccato acclarato e pubblico. A quel punto sarebbe minata la sacramentalità del sacramento dell’Eucarestia e, quindi, di tutti i sacramenti.
 
Non solo: l’adulterio non sarebbe più considerato un peccato grave, né l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio. Questo aprirebbe ad una concezione del corpo umano come uno strumento, come vogliono le attuali ideologie del sesso, e di castità nella Chiesa non si parlerà più, ammesso che se ne parli ancora. A quel punto dovrebbe essere cambiata la dottrina della Chiesa sul fidanzamento e i rapporti sessuali prematrimoniali, sulla contraccezione, sulla masturbazione ed anche sui rapporti omosessuali. La Chiesa dovrebbe rivedere la propria concezione della morale sessuale  familiare e riscrivere la Humanae vitae di Paolo VI, la Familiars consortio e la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II.
 
Così facendo, però, dovrebbe rivedere tutto il complesso della morale e non solo una sua parte. Per esempio, sparirebbe la nozione di intrinsece mala, ossia di quelle azioni – come è per esempio l’adulterio o i rapporti sessuali contro natura – che costituiscono sempre e in ogni circostanza (semper et ad semper) un male e non devono mai essere compiuti. Rinunciando a questo, la Chiesa rinuncerebbe alla morale naturale, dato che la nozione di intrinsece malum era anche propria di Socrate o di Antigone ed appartiene al bagaglio della legge morale naturale confermata e difesa dalla Chiesa. Rinunciare definitivamente alla legge morale naturale comporta però di rivedere il rapporto tra natura e grazia e anche il rapporto tra la religione cattolica e le altre religioni, nonché con il mondo laico dei gentili.
 
Come si vede, lo smottamento sarebbe enorme e stupisce che dentro la Chiesa questioni tanto importanti siano state trattate, in questa lunga fase sinodale, in modo non sempre consono, talvolta approssimativo e perfino sguaiato.
 
L’elenco di temi e problemi che ho evidenziato qui sopra non esaurisce la gamma di questioni che saranno toccate al Sinodo e che riguardano molti altri aspetti della vita familiare, come sono esposti nell’Instrumentum Laboris. Sono però i nuclei fondamentali della questione. Da essi dipende anche l’approccio agli altri problemi. Pensiamo per esempio ai temi di Dottrina sociale della Chiesa, come la questione della popolazione o del lavoro, del salario familiare o del protagonismo sociale della famiglia, delle politiche familiari o del welfare familiare. Tutti questi argomenti richiedono di essere affrontati non solo con una visione pienamente cattolica della famiglia, ma anche con la pienezza della dogmatica cattolica alle spalle. Ridotta la sacramentalità dei sacramenti, anche l’impegno per la Dottrina sociale della Chiesa viene meno, dato che questo si fonda sulle esigenze evangeliche di “ordinare a Dio le realtà secolari” e di purificare la natura con la sopranatura.
 
E’ per questo che nel Sinodo sarà centrale il tema del rapporto tra la Chiesa e il mondo. Alla sua conclusione si verrà a sapere se la Chiesa ha ancora una parola e una prassi di salvezza per il mondo, una salvezza che viene dall’eterno e che irrompe nella storia da fuori, dalla dimensione trascendente, oppure se la Chiesa partecipa come tutte le altre realtà mondane alla stessa ricerca di una verità che essa non possiede ma verso cui si pone in questione e si fa delle domande. Si saprà se Gesù Cristo è la Risposta o solo una domanda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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