mercoledì 8 aprile 2015

Storie di Fede (nella forma) straordinaria







Domenica II di Quaresima. Sono in vacanza e chiedo al mio amico Renato dove posso trovare una S. Messa Vetus Ordo in Abruzzo. Il tono della voce nasconde qualcosa che mi sarebbe stato chiaro a Messa finita “dieci minuti da Teramo, ore 17; una chiesetta; siamo lì provvisoriamente; se vuoi vengo a prenderti.” Nessun problema: guardo il navigatore: un’ora e mezza per 120 chilometri. Metto in conto due ore, così arrivo pure in anticipo. Messa VO lontano da casa e incontrare gli amici valgono bene una scarrozzata!

Passo Teramo alle 16,10: troppo anticipo per i miei standard! Poi la strada si addentra per boschi, sempre più stretta, si inerpica per tornanti che mi fanno dubitare delle capacità del navigatore; han detto 10 minuti: forse saranno 15. Chiedo ad un solitario camminatore: mi risponde che la strada che ho imboccato è interrotta da una frana quest’inverno. Dispero di poter assolvere al precetto domenicale. Poi vedo il primo cartello stradale che riporta il nome della località: mancano 10 minuti. Ce la posso fare. Case sparse mi avvisano che la meta è vicina. Passo per una strettissima porta medioevale, poi un vicolo e sbuco in una deliziosa piazzetta. Ho di fronte la sobria facciata di una chiesetta antica: sant’Andrea. Lascio la macchina con sconcertante facilità ed entro. E’ la soglia varco tra profano e sacro, ma soprattutto il varco che divide da tutto il resto!

Una cappella piccolissima. Poco più di venti persone e sembra colma. Un decoro dimesso, un’eleganza semplice che profuma di secoli di preghiere. Banchi che hanno sostenuto generazioni in ginocchio. A sinistra dell’ingresso un vero confessionale con penitente in ginocchio che alla grata bisbiglia ed ascolta il sacerdote celato dalla tendina. Si recita il Rosario davanti al Santissimo esposto sull’altare.

Poi comincia la Messa. Messa cantata in Quaresima, tre ministranti, incenso, benedizione iniziale, piviale e canto gregoriano. E per un attimo penso alle commissioni pastorali per la nuova evangelizzazione. Ma è un cattivo pensiero che subito allontano.

La Messa scorre solenne eppure familiare, rassicurante nella sua solidissima forma, eppure ogni volta sorprendente: il latino recitato e cantato con inflessione spagnola del celebrante è ancor più sonoro.

Al termine, raggiungo la sacrestia minuscola: busso e mi accoglie il calore degli amici indaffarati a riporre paramenti e sistemare gli arredi. Mi presentano il parroco di quella frazione, don Gaston, argentino, celebrante del coetus a Teramo sino all’ultimo fratto. Effetto collaterale del collasso del Francescani dell’Immacolata. Erano in centro a Teramo, in una delle chiese più belle della città, circa sessanta presenze domenicali stabili. Poi hanno cambiato anche la serratura del portone. Mi confidano che il Vescovo ha chiesto di pazientare perché sta cercando una nuova soluzione (singolare situazione: chiesa chiusa – id est intanto vuota – per cercarne un’altra).

Loro sono fiduciosi delle rassicurazioni del vescovo. E nel frattempo ripongono piviale, talari e cotte nelle loro borse e preparano i bagagli: e sì, perché nella Chiesa 2.0 ci sono ancora i partigiani, quelli che per andare a Messa non possono scender sotto casa, ma devono organizzare una vera e propria missione, caricare bagagli e arredi in macchina e fare cento chilometri… perché la fiammella non si spenga.

E scopro che anche la maggior parte dei fedeli presenti sono in missione. Manipolo di cattolici costretti alla macchia, perchè per loro non c’è posto in una delle sempre più vuote chiese cittadine. Mi commuovo pensando a loro, al loro impegno, mentre in questi mesi le priorità decisive della Chiesa paiono (si dice) ben altre.

Lo slogan “periferie della Chiesa” che qualcuno ha lanciato non è mai stato così concreto e tangibile. E mentre nel buio mi avvio per la strada lunga del rientro, da solo sorrido e ringrazio Dio del privilegio di avere tali amici.










Fonte : Summorum Pontificum.org 6 aprile 2015



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