giovedì 19 marzo 2015

San Giuseppe, un "vir iustus"




di Vito Abbruzzi

Ancora oggi è curioso notare come una delle figure più venerate, ma anche più bistrattate del Martirologio sia proprio quella di San Giuseppe: venerato in quanto “Patrono della Chiesa universale” (come lo proclamò il Beato Pio IX l’otto dicembre del 1879); bistrattato in quanto del Divin Redentore “padre putativo”, cioè “considerato come tale per tradizione o convenzione” (Devoto-Oli), senza esserlo realmente. E ciò, chiaramente, ha fatto in modo che il santo falegname di Nazareth fosse riempito di scherni, sin dagli inizi della diffusione del Cristianesimo, ritenendolo – a torto – un mezzo uomo. Pensiamo, ad esempio, alla cattiva pubblicità che di lui fanno i Vangeli Apocrifi, descrivendolo come un “vecchio” reticente a sposare la “fanciulla” Maria, per timore di “diventare oggetto di scherno per i figli di Israele”.

Così il Protovangelo di Giacomo (scritto verso il 150 d.C.), al capitolo IX; ma anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (databile al V-VI sec. d.C.), ci dice la stessa cosa, rincarando, però, la dose. Al capitolo VIII di questo vangelo apocrifo leggiamo che Maria, per fare in “modo di compiacere Dio, promettendo […] di rimanere vergine”, venne “affidata in custodia” a Giuseppe, il quale, poco prima, “per non esser costretto, per caso, a prendere la fanciulla, […] se ne stava, umile, per ultimo […], spaventato che il sommo pontefice [Abiathar] lo chiamasse con tanta veemenza”, visto che sino a quel momento “egli era stato [da costui] trascurato perché ritenuto vecchio”.

Certo che la personalità di San Giuseppe, unitamente a quella della Vergine Maria, viene fortemente mortificata! Non così, vivaddio, i Vangeli Canonici, che ne riscattano appieno l’immagine. Giuseppe, della casata di David (cf. Lc 1,27), era tutt’altro che un uomo meschino, che – come vorrebbe l’autore del Protovangelo di Giacomo – “pieno di timore, prese Maria in sua custodia”.

L’evangelista San Matteo, sicuramente conscio del detto “Una parola è poca e due sono troppe”, fuga ogni dubbio quando afferma che Giuseppe, in quanto sposo di Maria, “era uomo giusto” (Mt 1,19). Purtroppo la lingua italiana non rende appieno il significato di questa espressione: l’aggettivo “giusto” fa immediatamente pensare a un uomo probo, pio.

Ma il testo latino della Vulgata di San Girolamo è più preciso, descrivendo San Giuseppe “vir iustus”. Qui l’accento è innanzitutto sul sostantivo “vir”, che nell’accezione ciceroniana – e San Girolamo era un ciceroniano convinto! – significa “uomo fatto”: “per le sue particolari doti virili, un vero uomo, un uomo di carattere” (Castiglioni-Mariotti).

Sotto questa luce l’aggettivo “iustus” non fa altro che confermare e sottolineare la veridicità di quanto detto pocanzi, comprendendo bene la naturale reazione di un Giuseppe che, del tutto ignaro dell’azione dello Spirito Santo, da “vero uomo” mal sopporta che Maria – la sua donna, la sua “promessa sposa” (Mt 1,18) – sia incinta di un altro.

Come fa notare Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel suo ultimo libro su L’infanzia di Gesù, è proprio questo fatto a qualificare Giuseppe come “uomo giusto (zaddik)”, offrendo un quadro completo di lui e al contempo inserendolo tra le grandi figure dell’Antica Alleanza, a cominciare da Abramo, il giusto. Scrive, infatti, il papa teologo: «Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare e applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia. Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione. Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta san Paolo. Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore. E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio» (pp. 49-51).

San Giuseppe, dunque, è l’uomo giusto, sotto tutti i punti di vista. Come Maria, non subisce il progetto salvifico di Dio, ma lo accetta in piena libertà, proferendo, in silenzio, il proprio “fiat”: il di un Uomo che, nella celeberrima orazione a lui rivolta (indulgenziata da Leone XIII), a pieno titolo è invocato quale “Provvido Custode della Divina Famiglia”, “Padre amantissimo”, “Nostro fortissimo Protettore”.







Scuola Ecclesia Mater, 18 marzo 2015



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