domenica 1 marzo 2015

I 105 anni di padre Ye. Storia «epica» di un prete sepolto vivo e sopravvissuto alla persecuzione comunista





febbraio 27, 2015 Leone Grotti
Nato sotto l’ultimo imperatore, in un gulag per 25 anni, non ha mai abbandonato la Cina: «Qui c’è bisogno di preti»

«Mi hanno sepolto vivo per un giorno e una notte [durante la Rivoluzione Culturale]. Meno male che i miei fedeli sono riusciti a ficcare nella terra una canna di bambù per farmi respirare!». Quello confidato da padre Filippo Ye Yaomin nel 2007 ad AsiaNews è solo un episodio tra i tanti della sua vita straordinaria. Deceduto lo scorso 21 gennaio all’età di 105 anni, padre Ye è stato uno dei sacerdoti cattolici più longevi di tutta la Cina ed è considerato l’ultimo degli “anziani”, cioè i preti ordinati prima dell’avvento di Mao Zedong.

L’ULTIMO IMPERATORE. Nato nel 1909 nel villaggio di Lu Tong, padre Ye aveva solo tre anni quando l’ultimo imperatore cinese Pu Yi venne fatto abdicare all’età di sei anni in seguito alla rivoluzione di Sun Yat-sen, che pose fine a un impero cominciato prima della nascita di Cristo sostituendolo con la Repubblica di Cina. Dopo aver assistito alla guerra civile tra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Zedong, a 27 anni padre Ye entrò a Hong Kong nel seminario maggiore della Cina meridionale. Dopo sette anni di studi, tornò a Guangzhou, dove è stato ordinato sacerdote nel 1948, un anno prima della vittoria dei comunisti e della nascita (1 ottobre 1949) della Repubblica popolare cinese sotto Mao.

SCEGLIERE TRA MAO E IL PAPA. La vita si fece quasi subito impossibile per i sacerdoti cattolici, costretti presto a scegliere tra l’autorità di Mao e quella di Roma. Padre Ye si rifiutò sempre di rinunciare al Papa e nel 1955 venne denunciato da un delatore per «possesso illegale di materiale straniero», cioè un giornale che riceveva regolarmente dai vecchi compagni di seminario ancora a Hong Kong (al tempo in mano alla Gran Bretagna, prima della restituzione alla Cina datata 1997).

SEPOLTO VIVO. Condannato a un campo di lavoro, fu trasferito nella provincia di Qinghai, a 2.600 chilometri di distanza, dove passò i successivi 25 anni in una porcilaia a pascolare maiali e coltivare la terra e dove contrasse un enfisema per il freddo patito e il poco cibo. In questi anni, durante la Rivoluzione Culturale, quando vennero messi al bando i “Quattro vecchiumi”, religione compresa, padre Ye subì ogni tipo di abusi e, come ricordato all’inizio, venne anche sepolto vivo. Ma sopravvisse, al contrario di molti suoi compagni di prigionia.

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«NON ODIO I COMUNISTI». Fu liberato nel 1980, quattro anni dopo la morte del Grande timoniere Mao. Secondo suor Chen Jianyin, che si è presa cura del sacerdote negli ultimi 20 anni della sua vita, «una volta qualcuno gli ha chiesto se odiasse il Partito comunista per tutte le sofferenze che gli aveva inflitto. Lui rispose: “No, perché l’odio è in sé un peccato”», riporta l’agenzia Ucan. Tornato nella sua città natale, in un momento storico di sbandamento per la Cina, padre Ye approfittò del minore controllo da parte del Partito sul cristianesimo per ricostruire le chiese distrutte ed evangelizzare la sua diocesi di Jiangmen, a Foshan.

«LA CINA HA BISOGNO DI PRETI». I suoi amici preti gli consigliarono ripetutamente di lasciare il paese, dove la sua incolumità con Deng Xiaoping e i suoi successori non era garantita, ma padre Ye si rifiutò sempre: «La Cina ha bisogno di preti», diceva. Avendo sempre messo la sua vita al servizio di Dio, era solito donare soldi a chiunque ne avesse bisogno, indipendentemente dalla religione di appartenenza: «Diceva sempre – continua suor Chen- che “i soldi sono di Dio, non miei. Dio usa solo le mie mani per distribuirli”».

UNA VITA «EPICA». Anche se costretto alla sedia a rotelle e con problemi respiratori, padre Ye ha continuato a visitare i suoi parrocchiani a casa o in ospedale fino alla fine dei suoi giorni. Quando ha capito che la sua ora si stava avvicinando, si è rifiutato di farsi portare in ospedale, desiderando «morire a casa sua». Per “casa”, il sacerdote cinese intendeva la chiesa dell’Immacolata concezione di Foshan, dove i suoi parrocchiani «l’hanno portato prima di morire». A Guanghzou, capoluogo del Guangdong, ricordano così la sua vita «epica»: «È morto in pace – riporta AsiaNews – invocando per la Chiesa una fioritura di vocazioni e respingendo l’odio. Nonostante le persecuzioni, ha sempre mantenuto intatte sia la fede che la dignità».







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