martedì 10 febbraio 2015

Teologia morale: la continenza nel matrimonio

Somma_teologica_libro_primo





Da Fabrizio Cannone

Se la continenza, all’interno del Matrimonio, sia un bene più grande dell’uso stesso del Matrimonio
Non c’è chi ignora, almeno per sentito dire, la grande figura di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), uno dei più grandi teologi, filosofi ed esegeti della storia, oltre che uno dei santi più gloriosi della nostra ricca terra italica. Questo santo possiede molti primati, ma ne vogliamo indicare uno soltanto: non esiste Autore cattolico più raccomandato dal Magistero ecclesiastico, dalla morte dell’Angelico ad oggi.

I documenti in tal proposito sono centinaia. Tra i più recenti sono significativi i cenni al tomismo presenti nei due Codici di Diritto canonico (del 1917 e del 1983), le due raccomandazioni di san Tommaso fatte dal Concilio Vaticano II (in Optatam totius e Gravissimum educationis) e le moltissime citazioni che si trovano nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992-97. Infine nell’enciclica Fides et ratio del 1995, si faceva un elogio della filosofia di san Tommaso, asserendo che essa “è veramente la filosofia dell’essere e non del semplice apparire” (n. 44). Il Pontefice polacco notava che dopo il Vaticano II purtroppo non solo si tendeva a dimenticare il tomismo, ma perfino era caduta in un certo oblio la filosofia in quanto tale: denuncia a dir poco sbalorditiva.


Come si sa il metodo di san Tommaso nelle sue opere è strettamente scientifico e argomentativo, né biblicistico, né fideistico, né sentimentalistico, né razionalistico. Il domenicano italiano si basa sul sillogismo e sul ragionamento seguendo la Logica di Aristotele, temperata dalla visione globale cattolica e confrontata con gli autori più diversi (come Platone, Seneca, Agostino, Pietro Lombardo e vari filosofi ebrei e arabi). L’opera magna di Tommaso è certamente la Summa Teologica, per nostra fortuna costantemente ripubblicata in lingua italiana dall’Editrice Studio Domenicano di Bologna (ora in splendidi 4 volumi bilingue). La Summa raccoglie un sapere immenso suddiviso in 3 parti e in centinaia di questioni.

Eccone una minima introduzione tecnica curata dai Domenicani di Bologna: “Le questioni corrispondono, grosso modo, a quelle che oggi chiamiamo capitoli, e gli articoli ai paragrafi dei capitoli. I singoli articoli presentano la tipica struttura della disputa medievale, che è opportuno descrivere nelle linee essenziali. Il titoletto che precede ogni articolo [come qui Se la continenza…] inizia sempre con un SE, poiché introduce una proposizione interrogativa indiretta […]. Il testo continua con la parola SEMBRA seguita da una serie di argomentazioni (dette obiezioni), che normalmente si oppongono alla tesi che S. Tommaso intende sostenere […]. Dopo le obiezioni (di solito tre, numerate progressivamente) segue l’espressione IN CONTRARIO (in latino SED CONTRA), che introduce un’affermazione autorevole contraria agli argomenti esposti nelle precedenti obiezioni. L’autorità presentata è il più delle volte la Sacra Scrittura, ma spesso vengono citati anche i Padri della Chiesa (frequentemente S. Agostino) e i filosofi (quasi sempre Aristotele). E’ detto argomento in contrario, ma di fatto annuncia la risposta vera. Viene quindi la parte fondamentale, detta tecnicamente corpo, o anche risposta magistrale, introdotta dalla parola RISPONDO. Qui S. Tommaso presenta e dimostra il suo pensiero rispondendo al quesito iniziale, quello introdotto dalla parola SE [che dà il titolo all’articolo]. […]. Seguono le SOLUZIONI DELLE DIFFICOLTA, cioè le risposte alle singole obiezioni iniziali” (La Somma Teologica, ESD, 2012, vol. 1, p. 10).

Capire questo metodo sembra forse difficile ma in realtà chiunque può riuscirci, con la buona volontà e un po’ di concentrazione.
Qui ci proponiamo di usare il metodo di san Tommaso per sciogliere una questione morale complessa e delicata ma importante. Vediamola.

Se la continenza, all’interno del Matrimonio, sia un bene più grande dell’uso stesso del Matrimonio.
SEMBRA di no. Infatti:

1. Il fine primario del Matrimonio è la generazione e l’educazione dei figli (come insegna la Casti connubi). Ora senza l’uso del Matrimonio non c’è né generazione, né educazione. Dunque la continenza sembra contraria al fine primario del Matrimonio.

2. Il fine secondario del Matrimonio è la comunione di vita tra i coniugi e il rimedio alla concupiscenza (come insegna il Magistero della Chiesa sulla scorta di san Paolo). Ma con la continenza anche questi obiettivi sembrano inevasi. Dunque la continenza nel Matrimonio appare inutile o dannosa, e contraria al fine secondario della stesso.

3. Ciò che è fatto dai santi di sicuro è degno di lode e di imitazione. Ma le varie coppie di santi canonizzati, o di singoli beati che nel mondo erano sposati, salvo rari casi, hanno generato (i beati Beltrame-Quattrocchi hanno avuto 4 figli, il beato Carlo d’Austria e la serva di Dio Zita 7, s. Nicolao della Flue 10, i beati genitori di Teresa di Lisieux 3, etc.). Dunque la stessa vita dei santi va contro l’idea che la continenza, nel Matrimonio, sia migliore del suo uso.

4. Un precetto biblico non può essere falso né inutile. Ma il ‘crescete e moltiplicatevi’, almeno per gli sposati ha valore di precetto. Giacché se non fosse seguito da chi può seguirlo senza peccato, tra il celibato imposto a sacerdoti e religiosi e la continenza nel Matrimonio, l’umanità cesserebbe presto e non si completerebbe il numero degli eletti.

IN CONTRARIO: 1. S. Tommaso afferma che “anche per gli sposati la continenza è sempre meglio che l’uso del matrimonio” (Suppl. q. 64, art. 2). 2. La Chiesa ha elevato agli altari varie coppie coniugate che hanno fatto la scelta della continenza, o perpetua (la Sacra Famiglia, s. Enrico e s. Cunegonda, etc.), o temporanea (i beati Beltrame-Quattrocchi che alla nascita del loro quartogenito decisero di consacrasi alla meditazione e alla preghiera abbandonando del tutto e per sempre l’uso del Matrimonio). E non l’avrebbe fatto se in questo ci fosse qualcosa di sbagliato, inutile o contrario alla perfezione.

RISPONDO: Se lo stato di perfezione, nel cristianesimo, è quello della vita consacrata (anche mediante il voto di castità) – e questo non si può discutere – ciò significa che la castità volontaria è in qualche modo una scelta superiore al Matrimonio, pur sacramentale, prolifico e devoto. Il rapporto tra vita ascetica e vita matrimoniale non sta infatti come il rapporto tra un bene e un male, ma tra un bene maggiore e un bene minore. La teologia più sicura, non senza l’avallo del Magistero della Chiesa, ha sempre paragonato la vita dei religiosi, anche non sacerdoti, alla vita angelica e l’angelo, come si sa, per natura e per condizione è più perfetto dell’uomo più perfetto.

Storicamente poi la consacrazione religiosa sviluppatasi nel secondo millennio, è stata preceduta da mille altre forme di ascesi che lo Spirito Santo ha suscitato tra i credenti fin dai primi secoli di storia cristiana come l’eremitismo, il monachesimo e il santo isolamento, tutti fondati sulla castità e la verginità come valore eccelso. Gli antichi padri del deserto che vivevano tutta la vita nelle grotte non entravano in un ordine esistente approvato dalla Chiesa, tuttavia decidevano di rinunciare il più possibile ai piaceri della carne, anche leciti, per piacere a Dio e fare penitenza. E questi padri sono certamente da lodare. D’altra parte sia la povertà che l’obbedienza, in forme e modalità diverse e senza uno specifico voto, esistono come virtù anche per i laici, e nessuno se vuol essere santo può essere “ricco” (cf. Mt 6,24) ovvero attaccato ai beni o disobbediente a Dio e ai suoi superiori (familiari, ecclesiali e civili). Ma anche la castità non può essere solo per i religiosi, ed è una virtù per tutti, anche per gli sposati. Se la povertà assoluta pare incongrua per chi ha famiglia (come sfamare i figli?); se l’obbedienza è limitata e condizionata (non si deve obbedire al comando ingiusto); la castità può essere un valore assoluto anche per chi ha contratto Matrimonio. E se si può parlare di castità per due coniugi che vivono castamente l’unione coniugale, ancora di più si deve farlo per coloro che vi rinunciano per meglio attendere alla preghiera, al raccoglimento e a quelle opere di misericordia spirituale e materiale che sono più facili senza le occupazioni della prole.

S. Tommaso nel suo ampio Trattato sul Matrimonio insegna che l’uso dello stesso è coonestato dalla prole che si spera di avere, ma anche che è molto difficile un atto matrimoniale completamente casto, e privo di peccato veniale. Per l’Angelico, che ribadisce il concetto in mille modi, “i matrimoni accompagnati dal voto concorde di castità sono più perfetti” (Suppl. q. 58, art. 1). D’altra parte quel S. Paolo che ha scritto (per i proficienti) “E’ meglio sposarsi che ardere” (1 Cor 7,9) è lo stesso che ha scritto (per i perfetti) “Quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero” (1 Cor 7,29). Ora se “come dice il testo [delle Sentenze di Pietro Lombardo], il matrimonio è più santo senza l’atto coniugale” (cit. in Suppl. q. 42, art. 4), ai migliori, seguendo Paolo e lo S. Santo che lo ha ispirato, è consigliato di mantenere una continenza o perpetua, o almeno periodica nell’uso (per sé legittimo) del Matrimonio.


SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA’: 1 e 2. E’ giusto dire che il Matrimonio è stato istituito per la procreazione e l’educazione dei figli, ed anche per il rimedio alla concupiscenza e la vita comune, ed è anche giusto dire che queste finalità siano buone e nobili. Ma è possibile immaginare qualcosa di più alto di queste finalità naturali, non richieste a tutti gli sposi, come la contemplazione e l’ascesi. D’altra parte, “nel paradiso terrestre esisteva il matrimonio. Eppure là non ci fu l’atto coniugale” (Suppl. q. 42, art. 4). Ragion per cui san Tommaso afferma che l’atto coniugale non è richiesto per l’integrità del Matrimonio. E se c’è obbligo stretto per i celibi di praticare il celibato, non c’è obbligo per gli sposati di usare del Matrimonio. D’altra parte i tre beni del Matrimonio, cioè il sacramento ricevuto, la fedeltà promessa e la prole, non sono di uguale valore e “il sacramento è il principale tra i beni del matrimonio” (Suppl. q. 49, art. 3). Infondo il sacramento è necessario al cattolico che vuole
sposarsi e mantenersi in grazia, e così pure la fedeltà al coniuge, ma non i figli.

3. La vita dei santi canonizzati è certamente di esempio e di edificazione, ma non è, sempre e in ogni punto, la migliore possibile in assoluto. Esiste anche una gerarchia di meriti tra i santi e la Madonna è la persona più santa di tutti (la quale per altro visse il Matrimonio con S. Giuseppe mantenendosi fedele al voto di verginità fatto in precedenza). D’altra parte i coniugati santi che hanno usato del Matrimonio non hanno fatto nulla di illecito o di immorale, e per la loro comprovata virtù neppure hanno corso il rischio di commettere quei peccati veniali che sono connessi facilmente colla ricerca del piacere, anche all’interno del matrimonio (Suppl. q. 49, art. 6).

4. Il “crescete e moltiplicatevi” è un precetto di ordine generale e non obbliga tutti i cristiani. Neppure obbliga tutti i cristiani sposati per le ragioni fin qui viste. Il numero degli eletti poi è già fissato da Dio e a Lui noto: non possiamo basare il dovere della procreazione su un numero a noi ignoto e ampliare al massimo possibile l’umanità. Altrimenti sarebbe sbagliato non procreare (come fanno i celibi e i consacrati) e tutti i coniugati dovrebbero fare di tutto per ottenere il massimo numero di figli, il che è palesemente falso.









Libertà e persona 


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