lunedì 2 febbraio 2015

L’interessata riesumazione del Père Dupuis. Prove generali del Vaticano III, contro la Dominus Jesus



Alberto Melloni con Enzo Bianchi


La Redazione di Disputationes Theologicae

Non è un caso che da qualche tempo, nell’attuale complesso quadro dottrinale ed ecclesiale, sia in atto - unitamente ad una vera e propria “liquidazione” organizzata della Dominus Jesus - un’opera di rivalutazione delle teorie del gesuita Jacques Dupuis, la cui condanna, sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, fu un evento di portata non secondaria. In nome del famoso “Spirito del Concilio” (ormai Vaticano III o IV) sono state anche avanzate delle aperte accuse all’allora Card. Ratzinger - Benedetto XVI -, affermando che l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede non sarebbe stato in sintonia con Giovanni Paolo II[1]. Quest’ultimo - non senza una buona dose di spregiudicatezza politica - viene dipinto in quest’operazione come vicino nientemeno che alle teorie (ereticali) del Dupuis. Si misconosce che Papa Giovanni Paolo II dedicò l’Angelus del 1 ottobre 2000 alla Dichiarazione Dominus Jesus, e già rispondeva: “che l’ho voluta io, che è perfettamente conforme al mio pensiero[2], come riportato anche nella testimonianza resa dal Card. Tarcisio Bertone, allora Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nella stessa sede (il libro “L’ultima veggente di Fatima”) il porporato testimonia anche l’interessante genesi del suddetto documento: al medesimo Pontefice erano pervenute numerose testimonianze da missionari di tutto il mondo, secondo le quali la marea ecumenista stava provocando un danno al vigore missionario[3].

I fautori del Vaticano Terzo infatti hanno in speciale antipatia la Dichiarazione Dominus Jesus, vista come un testo che volle porre, pur coi limiti dei testi di compromesso, un freno ai loro progetti di estrema dissoluzione dei contenuti della fede. Il dissenso non si limita a parti accidentali o a ciò che potrebbe in certa misura essere ancora una questione aperta, ma si scatena proprio sul contenuto di fondo, ovvero sull’unicità della salvezza in Gesù Cristo e per mezzo di Lui solo, diffondendo di fatto l’aperta eresia. Tale contestazione, che cova sommessamente sotto la cenere da anni (nel febbraio 2011 la nostra rivista scrisse L’Osservatore Romano attacca la “Dominus Jesus” e l’ “Ecclesia Dei”?), coinvolge anche l’altro testo connesso alla problematica e purtroppo noto quasi solo fra specialisti, la Notificazione sul libro del Père Dupuis[4]. Su quest’ultima ci soffermeremo, essa infatti - più concisa della Dominus Jesus, cui si riconnette, e forse più puntuale - usa delle espressioni che hanno la “colpa” di un certo coraggio dottrinale e di certa nettezza espressiva. Affermazioni che non a caso hanno attirato i violenti strali della “Scuola di Bologna” ed anche di chi - su famiglia e matrimonio - vorrebbe giustificare teologicamente il divorzio tra il Vangelo di Cristo e un nuovo “soffio dello Spirito”. Un disegno teologico (o meglio ideologico) piuttosto ampio.


Il Père Dupuis e la condanna delle dottrine eretiche

Il Padre Jacques Dupuis, gesuita, nasce in Belgio nel 1923. Il religioso passa una gran parte della sua attività in India, dove si interroga sulla questione della salvezza per coloro che si trovano fuori dalla Chiesa cattolica, nasce così un interesse per la cosiddetta “teologia (anche dove non c’è teologia) delle religioni non cristiane”. Nel 1984 viene chiamato ad insegnare in Gregoriana, ricevendo anche la nomina di consultore del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Complice il prestigio dell’insegnamento in tale Ateneo, il suo pensiero “teologico” acquista notorietà e consensi nell’Urbe e non solo, fino al 1997 quando pubblica il suo “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”. E’ il momento in cui il Padre Dupuis fa il “salto di qualità” a dire di tanti colleghi non certo ostili alla figura del gesuita; è infatti il momento in cui il passaggio verso le posizioni del “pluralismo inclusivo” o “inclusivismo pluralista” che dir si voglia si fa netto. Non impressionino tali termini, il cui contenuto - benché in continua evoluzione interpretativa - spiegheremo più avanti; per ora notiamo solo che essi, se da un lato sono utili ai teologi per catalogare le linee di pensiero (anche eterodosse), dall’altro servono anche a contrabbandare come “teoria sostenibile fra le tante” quel che invece è eresia pura e semplice[5].

Premettiamo che per la dottrina della Chiesa non è impossibile la salvezza al di fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, e - senza aspettare la scoperta delle Americhe, né gli odierni teorici dell’ “inclusivismo pluralista” - già San Tommaso ne parla[6], ma tale unione a Cristo Salvatore avviene “malgrado” l’appartenenza alle false religioni. Ovvero l’appartenenza ad esse non è assolutamente causa di salvezza, perché esse non sono strumento della grazia di Cristo, anzi in sé esse sono un ostacolo alla salvezza. E’ vero tuttavia che accidentalmente in esse possono essere presenti alcune verità in quanto derivate dalla Rivelazione primitiva, dalla legge naturale o anche da un non impossibile intervento soprannaturale (quoad modum) in singoli casi non riconducibili alla falsa religione in quanto tale, come nel caso tradizionalmente ammesso delle Sibille pagane, che su Cristo poterono profetizzare il vero. Mai però l’intervento divino accredita tali false religioni, ma solo permette che in esse permangano dei barlumi di verità, perché sia facilitato l’abbandono dell’errore e si entri - o almeno si abbia il desiderio anche solo implicito di entrare (cfr. Mystici Corporis) - nell’unica Arca di salvezza: la Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, ovvero l’unica società soprannaturale visibile che sia mediatrice di salvezza.

Cos’è dunque il cosiddetto “pluralismo inclusivo” o “inclusivismo pluralista” del Dupuis, che Enzo Bianchi - di fresco nominato Consultore al Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani - elogiò su Avvenire del 22 settembre 1997 : “preziosissimo contributo, quasi una guida, una bussola, che può orientare il cammino della teologia cristiana di fronte al terzo millennio entrante”? In cosa consiste tale dottrina che anche la “Scuola di Bologna” apprezza e propaganda con tanto entusiasmo?

Come sa bene chi conosce la tattica dei modernisti, essi raramente affermano in maniera chiara ciò che è apertamente condannato dalla Chiesa, insinuano piuttosto contenuti pericolosi per il dogma - anche ritrattandosi se necessario in altri contesti - per poi tornare all’attacco con una dose di veleno ancora maggiore. Spessissimo poi fanno uso del dato soggettivo-immanente, concentrando l’analisi più che sul significato delle parole o dei testi, sulle intenzioni interne (ed insondabili) degli autori, peraltro elasticamente (ed utilmente) interpretate.

Fatta questa premessa e venendo al Père Dupuis, siccome il suo cuore lo conosce solo Dio e siccome tante delle recenti esternazioni-interpretazioni in proposito di Alberto Melloni[7] non sono pienamente verificabili anche per la morte dell’autore, ci si deve attenere - come sempre in questi casi - al solo dato oggettivo. Tale è sempre stata l’attitudine del Sant’Uffizio, che condanna o approva il senso oggettivo delle frasi scritte o dette. Se poi l’autore aveva diverso intento o si è espresso male, meglio così, vorrà dire che la sua colpa è minore o anche nulla, ciò non toglie che un testo possa essere eretico e quindi dannoso per la fede, conseguentemente da sanzionare pubblicamente. Se poi l’autore è onesto, egli può ritrattarsi, accettare la dottrina cattolica nella sua chiara formulazione tradizionale e, se non ha mai voluto corromperla, sarebbe anche cosa buona che si scusasse umilmente con la Chiesa - Fenelon lo fece dal pulpito - per l’involontario danno arrecato alle anime. Aggiungiamo anche, se proprio si vuol restare su questo terreno soggettivo, l’affermazione che fece lo stesso Jacques Dupuis, il quale dopo l’accettazione della Notificazione del 2001, confermava la “sua volontà di rimanere fedele alla dottrina della Chiesa e all’insegnamento del Magistero[8].

Facendo ora astrazione dalle disposizioni interne del citato gesuita, il cui interesse - a dispetto della strumentalizzazioni che ne fa la fazione progressista -  è in sé alquanto relativo, notiamo che il “pluralismo inclusivo” del testo in questione non solo cerca di spiegare le vie misteriose di Dio, che non disdegna d’offrire una certa possibilità di salvezza anche ai non cattolici, ma addirittura apre la strada a vie di salvezza che non passerebbero da Gesù Cristo. Tali vie - non ultima quella dell’induismo, ben nota al Dupuis - sarebbero possibili in virtù di una strana opera universale del Verbo così come di quella dello Spirito. Le false religioni nemmeno sarebbero più strumenti da includere - con tesi in sé già degna di censure - nel progetto salvifico di Cristo che si servirebbe di esse in quanto tali per infondere la grazia, ma addirittura ci si avventura in una idea di “complementarietà” delle altre religioni rispetto al Cristianesimo. Sarebbe come se la salvezza, attraverso il Verbo e lo Spirito, si rendesse possibile anche nelle false religioni non solo “malgrado esse”, come dice la retta dottrina; non solo “servendosi di esse, benché non principalmente”, come dice certo “relativismo moderato” definito (eufemisticamente) “cristocentrismo inclusivo”; ma addirittura “attraverso esse” in quanto “vie complementari” - di fatto alternative - alla salvezza attraverso Gesù Cristo. Siamo di fronte alla ricerca di fondamento speculativo per una struttura che appare piuttosto una sorta di relativismo “inclusivo-panteistico”. Il père Dupuis - con una certa coerenza interna - giunge ad interrogarsi sul come e sul quando si realizzerà l’auspicata “convergenza universale” di tutte le religioni, ma usa anche espressioni sulla “complementarietà reciproca” e sull’effettivo “arricchimento e trasformazione reciproci” che tali religioni possono apportare al Cristianesimo e ciò non solo in un ordine meramente socio-culturale, ma addirittura nell’ordine soprannaturale della salvezza[9]


La condanna delle eresie connesse all’opera del Dupuis  

Il 24 gennaio 2001, dopo lunga analisi e con parole che non mancano di trovare scusanti soggettive per l’autore, per ordine di Papa Giovanni Paolo II, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede all’epoca Card. Ratzinger, “con l’intento di salvaguardare la dottrina della fede cattolica da errori, ambiguità o interpretazioni pericolose” - si legge nel Preambolo -, firma la Notificazione a proposito del libro del P. Jacques Dupuis, s.j., “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”.

La Notificazione con toni abbastanza chiari (i grassetti sono nostri) afferma dapprima che “Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, è l’unico e universale mediatore della salvezza di tutta l’umanità” (n. 1). In seguito - gli errori del père Dupuis alterando, più o meno indirettamente, anche la dottrina dell’unione ipostatica e della Divinità di Cristo - ribadisce: “Deve essere pure fermamente creduto che Gesù di Nazareth, Figlio di Maria e unico Salvatore del mondo, è il Figlio e il Verbo del Padre. Per l’unità del piano divino di salvezza incentrato in Gesù Cristo, va inoltre ritenuto che l’azione salvifica del Verbo sia attuata in e per Gesù Cristo, Figlio incarnato del Padre, quale mediatore della salvezza di tutta l’umanità. È quindi contrario alla fede cattolica non soltanto affermare una separazione tra il Verbo e Gesù o una separazione tra l’azione salvifica del Verbo e quella di Gesù, ma anche sostenere la tesi di un’azione salvifica del Verbo come tale nella sua divinità, indipendente dall’umanità del Verbo incarnato” (n. 2).

Si dichiara che non v’è nessuna complementarietà delle altre religioni nella via della salvezza poiché : “la rivelazione storica di Gesù Cristo offre tutto ciò che è necessario per la salvezza dell’uomo e non ha bisogno di essere completata da altre religioni” e che è “contrario alla fede della Chiesa sostenere che la rivelazione di/in Gesù Cristo sia limitata, incompleta e imperfetta” (n.3).

Come pure è anche “contrario alla fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla salvezza” (n.6). Né tantomeno “ha alcun fondamento nella teologia cattolica ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo (n. 8).

Né si può parlare di un “soffio dello Spirito Santo” che oltrepassa il Vangelo e va “oltre” Gesù Cristo e le Sue parole di vita eterna: “ La fede della Chiesa insegna che lo Spirito Santo operante dopo la risurrezione di Gesù Cristo è sempre lo Spirito di Cristo inviato dal Padre, che opera in modo salvifico sia nei cristiani sia nei non cristiani. È quindi contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarnato” (n.5).


Un testo ingombrante

E’ risaputo che i nemici della Notificazione sul libro del Dupuis non amano nemmeno la Dominus Jesus, ma la Notificazione, per alcune laconiche condanne di ciò che è “contrario alla fede cattolica” e per certe affermazioni circoscritte di ciò che “deve essere fermamente creduto”, rimane per essi il testo forse più odioso degli ultimi anni. E ciò ben aldilà delle mere disquisizioni teologiche sul pensiero del gesuita belga. La posta in gioco è molto più alta e al contempo più concreta. Basta rileggerla rapidamente - è anche corta - per rendersene immediatamente conto (qui il testo). 

L’odio recentemente riversato su tale testo, infatti, ha anche una ragione di più scottante attualità. Le note insostenibili tesi che si volevano imporre al recente Sinodo della famiglia, come è noto, sono state precedute anche da un lavorio “teologico” che permettesse di “oltrepassare” l’ostacolo delle troppo chiare parole di Cristo. Era necessario ipotizzare un “soffio dello Spirito” che salvasse gli uomini “aldilà” di quello che loro chiamano l’ “evento Cristo”, permettendo così di andare “oltre” le parole del Vangelo. Non a caso la “veste teologica” che si voleva dare a certe tesi sinodali sull’accesso indiscriminato all’Eucarestia -  coraggiosamente bocciate, almeno nel 2014 - era quella di fare un parallelismo con la “larghezza” delle vie di salvezza dei non cristiani. “Vie” che potrebbero andare in certo modo anche “oltre Cristo” (pur salvando la facciata di qualche eventuale riferimento a Lui)  e “oltre la Sua legge”... Tali discorsi sono stati apertamente tenuti in sede soprattutto pre-sinodale (si veda anche la presentazione del giugno 2014 del Documentum laboris) ed hanno la loro lontana radice dottrinale anche in quella nozione di salvezza e di grazia che la Notificazione condanna. In effetti il documento afferma che un vago “soffio dello Spirito” - non “Santo”, perché separato da Cristo e dal Suo Vangelo che non possono mai essere “oltrepassati” - non è e non sarà mai causa di universale salvezza. Ne consegue quindi almeno un ridimensionamento indiretto per le altre teorie derivate dallo “spiritualismo panteista”, tanto caro a certa letteratura tedesca (cfr. L’influsso di Lutero dietro la “tesi Kasper”?).

Quanto all’apparente successivo ritorno del père Dupuis agli errori che già aveva riprovato, pur non essendo il dato da escludere, è tuttavia da sfumare rispetto alla strumentalizzazione della pubblicistica attuale; tante affermazioni si fondano infatti su testi che l’autore non pubblicò in vita. Ricordiamo anche che la Notificazione, approvata dal Santo Padre [Giovanni Paolo II] nella Udienza del 24 novembre 2000, è stata presentata al P. Jacques Dupuis, e da lui è stata accettata. Con la firma del testo l’Autore si è impegnato ad assentire alle tesi enunciate e ad attenersi in futuro nella sua attività teologica e nelle sue pubblicazioni ai contenuti dottrinali indicati nella Notificazione[10].

In conclusione va sottolineato che il problema coinvolge tutta la Chiesa, ben aldilà delle personali vicende del complesso gesuita. A coloro che usano il defunto per manovre politico-ideologiche, rispondiamo: Iam parce sepulto. Va anche detto infatti che la pertinace ostinazione nell’errore e nell’eresia che di fatto gli si attribuisce può godere forse di eventuali attenuanti, mentre di tale benevolo privilegio non gode l’ostinazione di chi sfrontatamente continua oggi a difendere tesi anche severamente condannate, fino ad opporsi sulle pagine dei più importanti quotidiani ed anche in autorevole sede teologica - con perseveranza luciferina - all’evidenza della dottrina cattolica.


                                                           






[1] Cfr. A. Melloni, “La salvezza è di tutti, non sono eretico”, attacco a Dupuis per colpire Woytila, in Corriere della Sera, 4 gennaio 2015, p. 12.
[2] T. Bertone, L’ultima veggente di Fatima, Milano 2007, p. 113.
[3] Ibidem, p. 112.
[5] Si veda ad esempio l’impostazione generale di P.F. Knitter, Introduzione alle Teologie delle Religioni, Brescia 2005; cfr. anche F. Patsch, Metafisica e religioni: strutturazioni proficue, una teologia delle religioni sulla base dell’ermeneutica di Karl Rahner, Roma 2011, pp. 389 e ss.
[6] Sugli effetti del “Battesimo di desiderio” cfr. S. Th., IIIa, q. 68, a. 2 corpus; IIIa, q. 69, a. 4, ad secundum; Ia IIae, q. 106, a. 1, ad tertium.
[7] Cfr. nota 1.
[8] Notificazione, cit., Preambolo.
[9] Jacques Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Brescia, 1997, pp. 19, 439, 337-341, passim.
[10] Notificazione, cit., Preambolo. 








Nessun commento:

Posta un commento