mercoledì 15 ottobre 2014

La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato.


 




14-10-2014 - di Samuele Cecotti

 La collana Scienze umane e organizzazione sociale della giovane ma già benemerita casa editrice fondata e diretta dal filosofo mons. Antonio Livi si arricchisce d’un nuovo volume, il bel saggio che Giuseppe Brienza dedica al primo vescovo residenziale di Prato mons. Pietro Fiordelli.
L’A. non è nuovo a simili prove di valore tuttavia merita segnalato il coraggio intellettuale che sorregge questa pubblicazione  decisamente pugnace, nelle ragioni offerte e difese con e al seguito di mons. Fiordelli, di fronte all’a-nomismo morale e giuridico (giuridico in senso classico) che oggi pare dominare vasti campi tanto della cultura laica quanto di quella che si dice cattolica.
Brienza, elogiato dall’arcivescovo di Ferrara mons. Negri, individua in Fiordelli la figura di un grande vescovo la cui memoria ha da essere tenuta viva ma non solo, il pastore della Chiesa di Prato è riconosciuto nella sua esemplarità dunque quale maestro capace di indicare, oggi come ieri, la retta via, la via del diritto naturale e della fedeltà a Cristo nella difesa della vita e della sacralità del matrimonio.

Con precisione e agilità sono ricordati l’impegno di mons. Fiordelli al Concilio - merita però di essere per lo meno menzionata la “primogenitura” di Fiordelli nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen Gentium (21 novembre 1964), della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica o piccola Chiesa - e alla CEI dove il suo zelo ne fece il “padre” della pastorale familiare in Italia. Non manca l’attenzione al contributo teologico di Fiordelli in campo ecclesiologico, di Dottrina sociale e di spiritualità (laicale e familiare in particolare).

Ciò che costituisce, però, il cuore del saggio e anche il probabile oggetto di prevedibile polemica, ciò che rende il libro di Brienza non principalmente un esercizio biografico ma un valente contributo alla buona battaglia nel segno dell’apostolato intellettuale, è il Fiordelli del 1956 e, in generale, tutto l’impegno vigoroso del vescovo di Prato sui temi che oggi si chiamerebbero eticamente sensibili. In breve la lotta, condotta senza risparmio, di mons. Fiordelli in difesa del matrimonio, della famiglia, della vita. A questo aspetto santamente intransigente e paternamente rigoroso di mons. Fiordelli si richiama anche mons. Livi nella Postfazione suggerendone l’esemplare attualità in tempo di Sinodo sulla famiglia: Sarebbe certamente auspicabile che tutti i vescovi italiani facessero oggi tesoro di questo esempio, invece di farsi condizionare dalle forti pressioni esercitate da talune autorità ecclesiastiche e da taluni teologi che, in nome del “dialogo” e della “misericordia”, presentano come unica opzione veramente evangelica la resa senza condizioni alla mentalità individualistica, edonistica e secolarizzata di gran pare dei fedeli cattolici.

Innanzi alla diffusa inclinazione a battezzare l’imbattezzabile  onde adeguare la Chiesa al secolo sino a determinare ciò che il prof. Danilo Castellano, in riferimento alla relazione Kasper, ha definito “resa incondizionata al mondo”, proporre l’esemplarità di mons. Fiordelli è salutare richiamo e benefica provocazione.

Il vescovo Fiordelli seppe leggere la rivoluzione liberal-radicale in atto nell’Italia repubblicana proponendone una valutazione unitaria, dalla secolarizzazione degli anni ‘50 sino all’estremo esito dell’aborto come omicidio di stato. Emerge così una vera teologia della storia o, meglio, una lettura teologica del processo rivoluzionario liberal-radicale. Rileggere oggi L’aborto e la coscienza di Fiordelli, intelligentemente riproposto come appendice nel volume di Brienza, è quanto mai importante per comprendere il passato socio-politico di cui viviamo gli esiti e la natura delle sfide etico-giuridiche che oggi ci interpellano.

Dicevamo del 1956, l’anno in cui si colloca la vicenda dei “concubini di Prato”, vicenda che portò la stampa internazionale ad occuparsi del vescovo Fiordelli. I fatti sono narrati con precisione e imparzialità da Brienza nel capitolo dedicato e al quale rimandiamo.  In estrema sintesi si trattò del “matrimonio” civile di due battezzati pratesi e del conseguente intervento della Chiesa, intervento di chiarificazione e di correzione alla luce della Dottrina e del diritto canonico. Mons. Fiordelli, per questo suo pronunciamento, fu denunziato, processato e nel 1958 condannato, poi infine assolto in appello. La vicenda vide il coinvolgimento dei partiti politici (il PCI in particolare guidò l’attacco al vescovo), della stampa e delle gerarchie ecclesiastiche con Pio XII, Siri, Roncalli, Montini stretti attorno a Fiordelli.

Si dirà: storie d’un tempo andato, d’un Italia passata, d’un mondo in bianco e nero, vicenda che fa pensare alla penna di Guareschi e al mondo piccolo di don Camillo. In parte è vero ma la vicenda dei “pubblici peccatori e concubini” del ’56 porta con sé un nocciolo di verità perenni non consegnate né consegnabili alle contingenze storiche.  La pertinenza all’oggetto di dibattito dell’attuale Sinodo sulla famiglia è addirittura impressionante.

Il vescovo di Prato, affrontando lo scandalo dei due giovani “sposati” in comune, ricordò una grande verità patrimonio della Dottrina perenne della Chiesa e cioè che il matrimonio cosiddetto civile per due battezzati assolutamente non è matrimonio, ma soltanto l’inizio di uno scandaloso concubinato per il semplice motivo che il patto nuziale tra due battezzati è sempre sacramento e se si esclude il sacramento con ciò stesso si esclude anche il patto ovvero si esclude il matrimonio tout court.
La sacramentalità del matrimonio dei  battezzati è ontologica. Un battezzato può scegliere di sposarsi o non sposarsi e con chi sposarsi, non può invece scegliere se il proprio matrimonio sia o no sacramento, lo è necessariamente se è vero matrimonio. È lo statuto ontologico di figli di Dio, è il carattere ricevuto con il battesimo che fa sacramento ogni vero matrimonio tra battezzati.  Non esistono due matrimoni, quello naturale e quello sacramentale, esiste un solo matrimonio, patto indissolubile, monogamico, eterosessuale di diritto naturale elevato da Cristo all’ordine
sovrannaturale della grazia, alla dignità di sacramento.

Se dunque non si dà matrimonio tra battezzati che non sia sacramento, il così detto “matrimonio civile” tra battezzati altro non è che la pubblica certificazione di una convivenza more uxorio, ovvero di un concubinato legale. Una tale convivenza costituisce uno stato oggettivo di pubblico e permanente peccato incompatibile con la ricezione dei sacramenti, in primis dell’Eucaristia. E così agì mons. Fiordelli negando i sacramenti ai due pubblici concubini.

Ecco il più evidente aspetto d’attualità della vicenda rispetto al dibattito su stato di peccato (relativo a situazioni irregolari) ed Eucaristia. Il più evidente ma, a nostro avviso, non il più rilevante.
Le parole di Fiordelli sul caso dei due giovani “sposati civilmente” segnalano, ricordandocela, l’impossibilità assoluta di ammettere/legittimare tra i battezzati forme di unione (para)coniugale altre dal sacramento del matrimonio. Ovvero tra battezzati può darsi unicamente il matrimonio sacramento, ogni altra convivenza legale more uxorio sarà concubinato, mai vero matrimonio.
Ciò dice l’impossibilità di pensare la fede sovrannaturale dei nubendi quale condizione necessaria per la sacramentalità del matrimonio in quanto si creerebbe un doppio ordine di matrimonio tra battezzati, quello sovrannaturale accanto a quello naturale. Per la validità di quello naturale sarebbe sufficiente intendere i beni naturali del matrimonio, per quello sovrannaturale sarebbe necessaria, invece, una data maturità e saldezza di fede teologale. Secondo questa logica i due concubini di Prato sarebbero veri sposi, benché non sacramentalmente, e il loro vero matrimonio (naturale). Il vescovo Fiordelli ci ricorda che non è e non può essere così  perché tra battezzati il patto matrimoniale è sempre sacramento e se si esclude il sacramento si esclude il matrimonio.

Fiordelli non diversamente da san Giovanni Paolo II, il quale ci ricorda che La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali (Giovanni Paolo II, “Discorso ai Prelati Uditori, Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario”, 30 gennaio 2003; “Discorso alla Rota Romana”, 27 gennaio 1997). Il sacramento del matrimonio non è altro dal patto coniugale di diritto naturale, è lo stesso patto coniugale (naturale) tra battezzati elevato da Cristo a sacramento. È sacramento non in virtù della fede teologale soggettivamente posseduta dai nubendi, non in virtù di una opzione confessionale ma in virtù del battesimo, dello stato oggettivo, ontologico di battezzati.

Il Magistero del vescovo Pietro Fiordelli, come speriamo aver mostrato, continua ad illuminare e ad indicare la retta via. Confidiamo possa essere fonte d’ispirazione per i Padri sinodali e rinnoviamo l’elogio a Giuseppe Brienza per la meritoria pubblicazione.



G. Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato, Invito alla lettura di mons. Luigi Negri, Postfazione di mons. Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014.








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