lunedì 20 ottobre 2014

Don Spataro: «Studiare il latino aiuta la libertà e la capacità di critica dei giovani»



Bibbia in latino




In occasione del convegno che celebra il 50° anniversario del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, istituito da Paolo VI, Vatican Insider ha intervistato il segretario, don Roberto Spataro: «Era secondo il buon senso che la lingua del Sinodo fosse l'italiano, ma nei testi dottrinali il latino è più efficace»




ANDREA TORNIELLI Città del Vaticano

Il 7 e l'8 novembre a Roma, presso la Pontificia Università Salesiana, si riuniranno i migliori latinisti del mondo, per celebrare con un convegno il cinquantesimo anniversario della fondazione del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. Il convegno è intitolato: «Studia Latinitatis Provehenda. Vitalità del latino ed esperienze didattiche». Vatican Insider ha intervistato don Roberto Spataro, segretario dell'Istituto.

L'italiano, e non più il latino, è stato dichiarato lingua ufficiale del Sinodo dei vescovi, una decisione accolta positivamente dalla maggior parte dei padri. Che cosa ne pensa?

«Certamente è stata una decisione dettata dal buon senso per rendere più agevole e rapida la comprensione orale degli interventi (in realtà pochissimi), che nei precedenti Sinodi si tenevano in latino. Ciò significa che gli attuali padri, nei tempi della loro formazione, non hanno potuto apprendere bene la lingua latina. Un motivo, questo, per riprendere sul serio lo studio del latino nella formazione sacerdotale. Mi preme però sottolineare un punto: i più importanti documenti dottrinali della Chiesa, come un’Esortazione apostolica postsinodale, se la loro edizione ufficiale è scritta in latino, come è accaduto fino a oggi, ne ricevono un grande beneficio: il latino è una lingua sovranazionale, propria di un’istituzione universale come la Chiesa Cattolica; concisa e precisa, e dunque limita il conflitto delle interpretazioni; dispone, inoltre, di un vocabolario dogmatico, morale e pastorale molto ricco ed efficace».

Può fare un esempio di quanto ha appena affermato?

«Volentieri. Consideriamo questo testo: "Le persone con tendenze omosessuali vanno accolte con grande rispetto e comprensione nella comunità ecclesiale. Ogni forma di omofobia va evitata. Gli atti omosessuali non sono moralmente accettabili". In italiano, suona bene. In latino benissimo. Proviamo a immaginare un ipotetico testo ufficiale in lingua latina: "Qui propensione afficiuntur homosexuali, sunt valde excipiendi, iisque ab Ecclesia observantia debetur et benevolentia, nulla adhibita adversus personas homosexuales repugnatione. Actus autem homosexuales morali ratione nullo in casu probandi sunt". Il lessico latino riecheggia le espressioni del Catechismo della Chiesa Cattolica ed è dottrinalmente saldo, senza equivoci. La premura e la sollecitudine pastorale, “observantia et benevolentia”, evitano ogni interpretazione in senso lassista alla quale potrebbe dare adito la parola "comprensione" del testo italiano. E la condanna dell’omofobia, senza usare questa parola, per mezzo dell’ablativo assoluto è trasversale, cioè attraversa tutta l’operazione di discernimento e di accompagnamento ecclesiale».

Qual è lo scopo del prossimo convegno promosso dal Pontificium Institutum Altioris Latinitatis?

«Festeggiamo il suo 50° compleanno. Infatti, fu fondato dal beato Paolo VI, nel 1964. Eccellente latinista, Papa moderno, Papa del Concilio, Paolo VI sapeva bene che la Chiesa per parlare a tutto il mondo ha bisogno di conservare la tradizione di pensiero e di fede che si è espressa in lingua latina attraverso i secoli. Sulla scia di questa convinzione, vogliamo mostrare l’immortalità e la vitalità del latino, e allo stesso tempo proporre metodologie valide per l’apprendimento di questa lingua, tenendo conto della situazione attuale. Saranno presenti alcuni dei migliori latinisti al mondo, come Stroh, Smolak, Sacré, Miraglia».

Secondo lei qual è il futuro della lingua latina nella Chiesa? È necessario che si studi di più e meglio? E perché?

«Il futuro della lingua latina nella Chiesa dipende da molti fattori, soprattutto dalla serietà degli studi nella formazione sacerdotale. Non ci sarà mai una formazione di buona qualità se i candidati al sacerdozio, nello studio della filosofia, della teologia, del diritto, non saranno messi in grado di accedere personalmente e criticamente alle fonti. Senza accesso alle fonti, non vi è studio scientifico. Senza studio scientifico, non vi è integrale formazione sacerdotale. Senza integrale formazione, non vi potranno essere preti realmente competenti per svolgere il loro ministero di maestri, pastori, mistagoghi. Questo è richiesto insistentemente dai Sommi Pontefici e prescritto dal Codice di diritto canonico. Eppure basterebbero tre semestri, 180 ore di lezione, maestri entusiasti e sussidi ben organizzati! Dove questo si fa, i primi a essere soddisfatti sono proprio i seminaristi e i sacerdoti studenti».

Il recupero del latino è stato spesso associato, come idea, in questi ultimi anni, al recupero dell'antica liturgia preconciliare. Può spiegare quali nessi ci sono?

«La liturgia tridentina fa uso esclusivo della lingua latina in quanto essa accentua ed esprime bene la sacralità del rito, e dunque il senso del mistero di Dio e l’adorazione della Sua presenza. D’altra parte, è bene ricordare che di tutti i libri liturgici postconciliari l’editio typica è in latino e che il suo uso, soprattutto in celebrazioni internazionali, è raccomandato. Dove questo avviene, i fedeli, anche se di lingua-madre diversa, percepiscono meglio l’unità della Chiesa».

Elenchi brevemente, per favore, le ragioni per le quali non soltanto i sacerdoti, ma più in generale gli studenti dovrebbero conoscere almeno i rudimenti della lingua latina.

«Come sa, sono salesiano, e, dunque, penso spontaneamente ai giovani. Essi sono minacciati dall’invadenza aggressiva di un pensiero unico, veicolato potentemente dai social media. Occorre rendere le loro intelligenze pensose, critiche, perché anche la loro libertà sia autentica, nella ricerca e nella scelta del vero e del bene. Perché privarli della possibilità, di cui hanno goduto tante e tante generazioni nel passato, di confrontarsi con un modello “altro” di organizzazione della vita, rappresentato dalla civiltà greco-romana, e, dunque, di giudicare criticamente il presente? Per entrare in questo mondo antico e in un certo senso paradigmatico, è indispensabile avere anche la chiave di accesso che è la lingua, lingua in cui sono stati scritti grandi capolavori della storia dell’umanità, “classici”, perché lasciano sempre una traccia nell’anima. Possa la Chiesa cattolica, oggi come ieri, essere sempre promotrice della cultura umanistica che è pure un’espressione di quella sensibilità pastorale alla quale l’attuale Sommo Pontefice ci sta incessantemente educando».















Vatican Insider  19/10/2014



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