martedì 16 settembre 2014

Martino: «Il Sinodo non può tradire la dottrina»






di Riccardo Cascioli

«Al Sinodo ci saranno sicuramente espressioni e interventi che non collimeranno con la dottrina della Chiesa, ma alla fine non potrà che essere riaffermato ciò che la Chiesa ha sempre detto sulla famiglia». Il cardinale Renato Raffaele Martino, un “veterano” delle battaglie alle Nazioni Unite sulla famiglia, è tranquillo sull’esito del Sinodo straordinario che inizierà il prossimo 5 ottobre. Tranquillo e sicuro perché – dice - «la Chiesa non può cambiare ciò che ha sempre proclamato».

Il cardinale Martino, 82 anni, è stato recentemente nominato protodiacono - colui che annunzia il nuovo Papa -, dopo una vita passata a diffondere e difendere la dottrina sociale della Chiesa.
È stato infatti nunzio apostolico alle Nazioni Unite per ben 16 anni, dal 1986 al 2002, guidando la delegazione vaticana a tutte le Conferenze internazionali dell’Onu negli anni ’90, e poi è stato presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Per il suo ruolo ha girato tutto il mondo («Ho visitato 195 paesi sui 205 esistenti, non c’è cardinale che abbia fatto di più») ricevendo anche 34 onorificenze e 14 lauree honoris causa («14 come le operazioni chirurgiche che ho dovuto affrontare», dice ridendo). Negli anni passati alle Nazioni Unite ha dovuto ergersi a paladino per la difesa della famiglia e del diritto alla vita, oggetto di un attacco senza precedenti, che peraltro prosegue tutt’ora. E sicuramente la battaglia più grande, lo scontro più terribile lo ha vissuto al Cairo, alla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo che si chiudeva proprio in questi giorni venti anni fa. Allora il tema dominante era la sovrappopolazione e quindi Stati Uniti e Unione Europea spingevano per imporre qualsiasi mezzo per il controllo delle nascite, soprattutto rivendicavano il diritto all’aborto.

Cardinal Martino, l’opposizione decisa della Santa Sede diede vita a uno scontro furioso che per giorni occupò le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.

Solo io, aiutato dai delegati africani e latinoamericani, proponevo che l’aborto non fosse preso in considerazione come metodo di pianificazione familiare. Grazie a questo intervento nel Programma di Azione uscito dal Cairo si legge al paragrafo 8.25: «In nessun caso l’aborto può essere invocato come metodo di pianificazione familiare». Fu una vittoria strepitosa che gli europei, favorevoli all’aborto, non hanno mai digerito. Cosa importante, quella formulazione non è mai più stata revocata in nessun documento delle Nazioni Unite, malgrado ci provino in continuazione. Il primo tentativo di cancellare quel divieto fu a Pechino pochi mesi dopo, nel 1995, alla Conferenza dedicata alla donna. Tutti i paesi che erano stati sconfitti al Cairo si unirono a Pechino e tentarono ogni cosa per togliere questa affermazione, e invece non ci riuscirono.

Gli Stati Uniti – allora c’era l’amministrazione Clinton - erano particolarmente determinati a ottenere il diritto all’aborto. La battaglia fu senza esclusione di colpi, lei fu trattato duramente dal capo-delegazione statunitense, l’allora sottosegretario al Dipartimento di Stato Timothy Wirth. Cosa avvenne?

Fui convocato da Wirth, mi chiese seccamente «Perché hai fatto questo?». Io gli risposi che noi difendiamo la dignità dell’uomo, di ogni uomo. Allora replicò: «Tu sei solo Osservatore, non puoi fare questo», riferendosi anche al fatto che intorno alla Santa Sede si era coagulata una coalizione di paesi africani e latino-americani. Allora io gli ho ricordato che alle Nazioni Unite è vero che la Santa Sede è Osservatore ma quando si convocano queste conferenze la Santa Sede partecipa a eguale titolo di stato come tutti gli altri e quindi può intervenire come crede opportuno. Il colloquio finì lì.

Al Cairo fu respinto anche il tentativo di ridefinire il concetto di famiglia, lo si voleva sostituire con “famiglie”, aprendo all’identità di genere. Alla fine rimase al singolare.

Un’altra vittoria importante, anche su questo punto lottammo sempre con questa grande coalizione di paesi africani e latino-americani.

Perché questi paesi vi seguirono?

Perché erano le vittime designate di queste politiche di imperialismo contraccettivo, ma anche perché corrispondeva alle politiche vigenti in tutti questi paesi.

Nelle formulazioni avete sicuramente ottenuto qualche importante successo, ma non si può negare che dopo la Conferenza del Cairo i fondi a disposizione per politiche di controllo delle nascite nei paesi poveri si sono più che moltiplicate.

Ah sì, questo è vero purtroppo, perché i Paesi ricchi non hanno cessato di intervenire e di propagandare queste politiche.

Prima della Conferenza del Cairo Giovanni Paolo II è intervenuto molte volte proprio per evitare che passassero certe posizioni anti-famiglia e anti-vita. Scrisse anche a tutti i capi di governo, ma soprattutto per settimane all’Angelus fece una vera e propria catechesi su famiglia, vita, diritto naturale. Un diritto naturale che sembra dimenticato, anche nella Chiesa.

Giovanni Paolo II era informatissimo su tutto quel che succedeva all’Onu. Ogni volta che venivo a Roma lui mi invitava a pranzo in Vaticano e durante tutto il tempo che eravamo insieme si informava precisamente su tutto quello di cui si discuteva all’Onu e dei lavori preparatori delle varie Conferenze internazionali. C’era una grande consonanza fra ciò che lui diceva e ciò che io facevo a New York. Ecco perché nel 1992 si oppose al mio trasferimento dall’Onu.

Come andò?

La segreteria di Stato mi aveva proposto per la nunziatura in Brasile, ma Giovanni Paolo II bloccò tutto. Disse: “Martino resta alle Nazioni Unite". Ci sono rimasto altri dieci anni. Lui era al corrente di tutto, nel 1992 già si iniziava a preparare la Conferenza del Cairo, io stavo lavorando per questo, e quella dichiarazione sull’aborto era in fieri, e quindi il Papa disse “No. Resta”. Nel 2002 mi chiamò di nuovo e mi disse “Adesso basta all’Onu, vieni a Roma a fare il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace”. E così fu. E poi nel 2003 mi fece cardinale.

A Giustizia e Pace lei fu l’artefice della pubblicazione del Compendio di dottrina sociale della Chiesa.

Il Papa Giovanni Paolo II aveva ricevuto dai vescovi latinoamericani già nel 1998 la richiesta di un documento sulla dottrina sociale. Quando andai nel 2002 al Pontificio Consiglio Giustizia e Pace il Papa mi raccomandò di portare a termine questo Compendio. In quel momento c’era una bozza, ma non era finita; sull’ambiente ad esempio c’era solo un paragrafetto, io ne ho fatto un capitolo intero, il decimo. Ci misi due anni, poi nell’ottobre del 2004 fu pubblicato il Compendio. Subito dopo la conferenza di presentazione in Sala Stampa, andai a pranzo da Giovanni Paolo II con il libro in mano. Il papa disse una sola parola: “Finalmente”. Poi durante il pranzo non faceva altro che scorrere l’indice e quindi andare al paragrafo di riferimento. Il maggiordomo ogni tanto gli toglieva il libro di mano per mettergli davanti il piatto. Lui mangiava qualcosa, poi spostava il piatto e riprendeva il libro. Alla fine del pranzo quest’altra bella frase: “Ma è davvero un bel libro”. Sono cose che mi sono rimaste impresse.

Giovanni Paolo II insisteva moltissimo su famiglia e vita, aveva la coscienza chiarissima che su questi punti si giocava il futuro dell’umanità. Per questo li spiegava con il diritto naturale. Oggi sembra che questa pagina sia dimenticata…

Forse non se ne discute alla stessa maniera, ma questi restano i princìpi fondamentali che segue la Chiesa.

Con diverse modalità e con altri argomenti, ma l’attacco alla famiglia continua. Come può rispondere la Chiesa? Non ci sono conferenze internazionali…

Credo che il Sinodo sarà un’occasione per rilanciare la sfida, metterà in chiaro la dottrina tradizionale della Chiesa sulla famiglia. La discussione farà sì che ci saranno anche espressioni e interventi che non collimeranno con la dottrina della Chiesa, ma alla fine non potrà che essere riaffermato ciò che la Chiesa ha sempre detto sulla famiglia.

C’è chi sostiene apertamente che la dottrina è una cosa ma la pastorale è un’altra.

La pastorale deve tener conto di tutte le situazioni specifiche che si trovano nei vari paesi e nei diversi ambienti, ma la Chiesa non potrà cambiare ciò che ha sempre proclamato.

Lei conosce bene anche papa Francesco.

Lo conosco da quando era arcivescovo in Argentina, l’ho incontrato a Buenos Aires durante i miei viaggi, e poi anche a Roma dopo l’elezione a Papa.

Trova delle somiglianze con Giovanni Paolo II?

Ogni papa è a sé, ha le proprie caratteristiche. Però aldilà dell’aspetto esteriore, io credo che Francesco somigli molto a Giovanni Paolo II, nella fedeltà alla dottrina della Chiesa. Anche per Francesco la famiglia è una cosa fondamentale. Del resto un Papa non può fare cose nuove, mai sentite. È solo lo stile che cambia, ma la dottrina è quella che è e il Papa la deve proclamare.





La nuova Bussola Quotidiana  16-09-2014 


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