sabato 2 agosto 2014

Quando l'omelia conduce nel Mistero








La predicazione mistagogica di Papa Bendetto XVI



Nelle omelie che Benedetto XVI ha tenuto nella celebrazione eucaristica di inizio pontificato, il 24 aprile 2005, e in quella celebrata il7 maggio successivo nella Basilica di San Giovanni in Laterano per l’insediamento sulla Cattedra del Vescovo di Roma, ci viene offerto un metodo di predicazione omiletica radicato nella tradizione e forse oggi un po’ trascurato: si tratta del metodo mistagogico.

L’omelia mistagogica ha lo scopo di aiutare a vivere la celebrazione liturgica come comunione e partecipazione alla salvezza avvenuta nella storia una sola volta in Cristo. E’ aderente alla Parola proclamata non malgrado il rito celebrato, ma proprio a causa di questo. La mistagogia infatti è prima di tutto il compimento di un’azione sacramentale, perché è il sacramento in quanto celebrato a istituire il rapporto tra l’assemblea e il Mistero stesso di Dio.

Il carattere singolare delle omelie mistagogiche è dato da una reciproca interazione: da un lato in esse si fa riferimento alla Scrittura perché è questa che illumina il senso e la risorsa dell’azione sacramentale, dall’altro però l’attenzione è rivolta a quello che accade nella celebrazione perché è in essa che si attua in modo eminente la verità e la potenza della Scrittura. La domanda di partenza del mistagogo è questa: che cosa accade per noi nell’atto liturgico che stiamo compiendo? Questo metodo è particolarmente evidente nell’esperienza dei primi secoli della Chiesa, quando i padri applicavano alla liturgia la tipologia biblica, in modo da far emergere come e prché la celebrazione liturgica partecipi alla salvezza narrata.

Un’omelia mistagogica riesce cosi a rivelare che l’evento di salvezza proclamato nelle letture del giorno non rimane racchiuso nel passato, ma si attua nel presente in forza della stessa celebrazione liturgica. Si capisce allora l’importanza di prendere come punto di partenza dell’omelia le azioni della celebrazione che si sta compiendo. Il Papa, nelle due omelie tenute in occasione delle celebrazioni con le quali ha dato inizio al suo ministero pastorale al servizio della Chiesa, percorre questa via in modo magistrale.

Una delle preoccupazioni che maggiormente assilla il predicatore è quella di far percepire l’attualità dalla Parola proclamata. Per riuscire nell’intento si percorre generalmente la via breve dell’attualizzazione della Parola, facendo riferimento a fatti dell’attualità e fornendo esempi di applicazioni della Scrittura alla vita. Questa modalità raggiunge lo scopo in modo solo apparente e molto fragile, in quanto, non confidando nella forza della Parola stessa, rischia di renderla insignificante. Attribuisce infatti maggiore forza persuasiva ad espedienti che portano l’attenzione su ciò che non è veramente essenziale, invece di lasciar intendere che solo la Parola è degna di fede, sapiente e potente e perciò affidabile.

Nell’esperienza cristiana si parla di attualità sempre e solo a partire dalle azioni compiute da Dio nella storia, solo queste infatti inscrivono nel tempo una reale novità. Tali azioni sono giustamente qualificate come “eventi”. Tra le tante e diverse attività compiute dalla Chiesa, sono soprattutto le azioni liturgiche a meritare di essere chiamate “eventi”. Ogni volta che la Chiesa celebra un sacramento, infatti, accade un “nuovo evento”, si compie cioè l’opera di Dio per la salvezza dell’uomo. Nuovo evento non significa naturalmente che ci sia qualcosa di oltre e di più della salvezza realizzata in modo determinante e definitivo in Gesù Cristo, ma piuttosto che quell’unica salvezza, che ha valore escatologico, opera nel nostro oggi qualcosa di realmente nuovo. Il metodo mistagogico conferisce attualità all’omelia perché, pur essendo un atto di parola, fa sì che in essa tutto venga ricondotto e finalizzato alla relazione con l’evento cristologico e lo fa creando nell’assemblea la possibilità di porsi con fede davanti all’evento del donarsi di Dio in Cristo Gesù. […]

Nelle omelie dell’inizio del pontificato, risulta molto evidente che il conferimento dell’autorità alla persona del Papa è un atto di Dio e nello stesso tempo che la Chiesa è coinvolta in tale esperienza e vi partecipa proprio perché riunita come comunità orante, comunità che riceve e vive la sua profonda natura accettando di lasciarsi convocare per compiere l’atto della preghiera. Affermare che la percezione del senso del ministero petrino è esito del rito e forse dire troppo, ma non si può negare di rilevare che la celebrazione concorre in modo insostituibile alla riappropriazione della verità di quanto accade. Il rito non è perciò una semplice applicazione e rappresentazione di una verità già acquisita per altra via, ma, in quanto atto di preghiera, è verità in atto: non ha semplice valore espressivo ma ha forza impressiva.

Il riferimento al canto liturgico delle Litanie dei Santi, che il Papa richiama proprio all’inizio dell’omelia del 24 aprile, segnala la consapevolezza che “il compito inaudito”, che supera ogni capacità umana, e che il Papa è chiamato ad assumere, non può essere da lui compiuto con le sue sole forze. E’ il gesto rituale appena compiuto che porta il Papa ad affermare: “non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo”. L’intervento di Dio passa per la comunione dei Santi, che l’assemblea riunita sperimenta mentre compie l’atto di intercessione nel canto orante.[…]

Risulta evidente quanto una sequenza rituale, nel nostro caso il canto delle Laudes Regiae come rito di ingresso della Messa di inizio pontificato, concorra ad illuminare il senso del ministero petrino, che è appunto quello di non portare avanti un programma o idee personali, bensì di mettersi “in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore, e di lasciarsi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa”. Un altro elemento che dice il senso vero dell’attualità dell’omelia, e che è tipico delle omelie mistagogiche, consiste nel fare appello alla concreta assemblea riunita perché, insieme a colui che presiede, si ponga con fede davanti al mistero che nella celebrazione si fa dono per tutti. Proprio perché l’assemblea ha cantato le Litanie dei Santi, “voi tutti avete appena invocato l’intera schiera dei Santi”, ad essa si può ricordare: “Noi tutti siamo la comunità dei Santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di Cristo, per mezzo del quale Egli ci vuole trasformare”. Cosi facendo, l’omelia supera la tentazione di ridursi a semplice spiegazione, a pura illustrazione di un concetto, che può esimersi dal coinvolgimento dei soggetti. L’omelia mistagogica, invece, ha come prima finalità quella di coinvolgere i soggetti nell’atto di fede, nel quale atto consiste la sua vera attualità. L’esigenza vera di attualità è che la parola dell’omelia si riferisca a quell’atto che è la fede. Mentre l’insegnamento mira al sapere, la predicazione mira alla confessione della fede.

Nel metodo mistagogico, il punto di partenza sono le azioni liturgiche che si stanno compiendo. L’omelia mistagogica fa proprio questo metodo, il suo carattere singolare è appunto quello di lasciarsi informare e plasmare da tali azioni, e di assumerne quasi l’andamento: in tal modo diviene essa stessa azione liturgica. […] L’omelia, perciò, non può e non deve abbandonare l’azione celebrativa per sviluppare un discorso a proposito di qualsiasi cosa, ma appartiene alla sua natura di lasciarsi coinvolgere e trascinare nel movimento istituito dal rito stesso. L’omelia è una parola che ha la forma del rito. Nella sua omelia del 24 aprile il Papa Benedetto XVI, in perfetta sintonia con questo metodo, ci fa ripercorrere lo stesso cammino che si sviluppa nella celebrazione, la sua parola scorre al ritmo del rito, seguendone fedelmente la trama. […]

Risulta molto chiara la corrispondenza tra la sequenza rituale e il percorso dell’omelia papale. Il Papa Benedetto XVI attua esemplarmente quanto affermato dalla Costituzione conciliare sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium, la quale affermava che l’omelia è “pars actionis liturgicae…pars ipsius liturgiae”. Il Concilio richiamava la necessità di non pensare all’omelia come ad un elemento autonomo, quasi un contenuto di pensiero elaborato a monte e già in sé consistente, semplicemente da inserire dentro il contesto celebrativo, bensì come ad un elemento strutturale dell’atto liturgico stesso, partecipe della sua natura e delle sue caratteristiche. […] “L’omelia fa parte della liturgia, ed è vivamente raccomandata: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della messa del giorno, tenuto conto sia del Mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta”.

Questo testo è stato generalmente interpretato nel modo seguente: occorre ripercorrere le letture alla ricerca di una tema unificante, nel tentativo di offrire prima un insegnamento, per poi passare ad alcune applicazioni per la morale e per la vita. Quest’interpretazione rivela tutta la sua fragilità: da una parte induce a pensare alla Parola di Dio come a qualcosa che non è già in sé eloquente per la vita dell’uomo; dall’altra assolutizza il testo proclamato, dimenticando tutti gli altri elementi del contesto celebrativo. Si predica il testo, attraverso un’esegesi erudita, senza annunciare, attraverso il testo, la realtà del testo, cioè la presenza attuale di Dio nel mistero. Il contesto impedisce una codificazione del testo, e lo restituisce alla sua vera provenienza e destinazione: la Parola viene da Dio per attuare la nostra comunione con Lui. […]

Cosa emerge, dunque, nel modo di spiegare le Scritture praticato da Benedetto XVI? In fondo una cosa semplicissima: l’adesione ferma alle regole ermeneutiche che la tradizione patristica ci ha trasmesso. Le possiamo richiamare così: in primo luogo la percezione che tutta la Bibbia costituisce un unico messaggio per cui si può illuminare un testo con altri testi anche se non sono dello stesso autore o dello stesso tempo. In secondo luogo tutta la Bibbia viene letta in rapporto con la presenza viva di Gesù risorto: non si tratta di capire alcune idee, ma di vivere una comunione che il dialogo della fede e l’atto della preghiera rende personale e ricca. Tutto questo si collega con il cammino attuale dell’uomo per cui le Scritture illuminano quello che oggi la Chiesa vive, soffre e proclama. Unità della Bibbia; centralità del mistero di Cristo; attualità del messaggio. Il Papa si muove su questa linea chiarissima che conosce certo gli strumenti di un’esegesi storico critica, ma li usa all’interno di un’esperienza ecclesiale di fede di cui il contesto delle azioni liturgiche costituisce una sicura garanzia. […]

Chiare sono anche le finalità dell’omelia così come sono enucleate nei Praenotanda dell’Ordo lectionum Missae: “Con essa (colui che presiede) guida i fratelli a gustare la Sacra Scrittura, apre il cuore dei fedeli al rendimento di grazie per i fatti mirabili da Dio compiuti; alimenta la fede dei presenti per ciò che riguarda quella parola che nella celebrazione, sotto l’azione dello Spirito Santo, si fa sacramento; li prepara infine ad una fruttuosa comunione e li esorta ad assumersi gli impegni della vita cristiana”. Per far gustare la Parola, aprire il cuore alla lode e alimentare la fede, l’omelia non può limitarsi ad essere discorso intorno ad un tema da cui si traggono conseguenze per la vita. E’ difficile che per questa via si giunga allo “stupore eucaristico”, e sappiamo bene “solo lo stupore conosce”. […]

Il Papa ci ha restituito la pertinenza dello stupore anche in quell’atto celebrativo che e l’omelia, le ha permesso di parlare il linguaggio della sua casa natale. Non ha utilizzato la liturgia, neppure quella inaugurale del suo ministero, non si è servito di essa come di un mezzo, di un contenitore neutro, per presentare il proprio programma. Con decisa semplicità, si è voluto incamminare nel suo servizio petrino con il passo della liturgia, con le sue parole non ha mortificato né la forza del messaggio evangelico né la sua ispirazione. Piuttosto ha coinvolto i fedeli nell’avventura a cui il Signore lo ha chiamato. Un’avventura iniziata con il passo della liturgia, che è il passo della Chiesa. Un passo che ha condotto e sta conducendo la Chiesa a vivere un momento di grazia e di vitalità spirituale.



tratto da G. Busani, Le due omelie mistagogiche, in Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, Inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma Benedetto XVI, Città del Vaticano 2006, 443-457.

(31/0/2014)



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