mercoledì 11 giugno 2014

Recensioni. Un’illustre bocciatura della “Gaudium et spes”





di Sandro Magister (19/06/2013)

Il cardinale Giovanni Colombo fu arcivescovo di Milano dal 1963 al 1979. “È stato l’ultimo dei grandi ambrosiani”, ha scritto di lui il cardinale Giacomo Biffi, in implicita polemica con i successori Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi (su Angelo Scola il giudizio resta sospeso). E di Giovanni Colombo è appena uscito in libreria, edito da Jaca Book, il volume “Il Concilio Vaticano II. Discorsi e scritti”, che raccoglie i suoi testi, alcuni inediti, concomitanti e successivi alla grande assise.
Nella prefazione il teologo milanese Inos Biffi (nessuna parentela ma una grande amicizia con il cardinale omonimo) riporta dei giudizi interessanti sia di Giovanni Colombo che di Giacomo Biffi e di altri uomini di Chiesa su quello che anche Joseph Ratzinger riteneva il documento meno riuscito del Vaticano II: la costituzione “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo.
Ecco il brano “ad hoc” della prefazione:
“Tra i documenti approvati e promulgati nell’ultima sessione del concilio vi è la costituzione ‘Gaudium et spes’. Colombo ritiene che ‘il documento più che a una costituzione assomiglia a una lettera stesa a cuore aperto, a eloquio effuso’. Dunque, come si vede, un elogio della costituzione. Anche se, di fronte all’espressione ‘eloquio effuso’ della penna di Colombo, è legittimo qualche sospetto.
“Giacomo Biffi nelle sue memorie ricorda l’osservazione di Hubert Jedin: ‘Questa costituzione fu salutata con entusiasmo, ma la sua storia posteriore ha già dimostrato che allora il suo significato e la sua importanza erano stati largamente sopravvalutati e che non si era capito quanto profondamente quel ‘mondo’ che si voleva guadagnare a Cristo fosse penetrato nella Chiesa’.
“Anche Karl Barth, ricorda sempre Giacomo Biffi, aveva notato che il concetto di ‘mondo’ della ‘Gaudium et spes’ non era quello del Nuovo Testamento.
“Quanto al cardinale Colombo, Giacomo Biffi riferisce la risposta che l’arcivescovo, ‘acuto e libero come sempre’, aveva dato a monsignor Carlo Colombo, soddisfatto del risultato di tante discussioni: ‘Quel testo ha tutte le parole giuste; sono gli accenti a essere sbagliati’. ‘Purtroppo – conclude Biffi – il postconcilio è stato influenzato e ammaliato più dagli accenti che dalle parole’”.
Sempre nella prefazione al volume, Inos Biffi ricorda come Colombo mettesse in guardia i suoi fedeli contro i resoconti della stampa sulle discussioni conciliari.
In una delle sue lettere dal Concilio ai fedeli dell’arcidiocesi di Milano, Colombo scrisse:
“Una di queste sere, guardando da piazza San Pietro, scorgevo, bassa sul cielo in fondo a via della Conciliazione, una luna piena, così strana e buffa che simile non avevo mai vista: bislunga, di colore arancione fosco, sembrava un uovo enorme, ripieno di brace fumosa che trasparisse attraverso il guscio. Tanto al mio sguardo la luna appariva deformata dai densi vapori del tramonto d’ottobre. Così, pensavo non senza tristezza, il Concilio viene spesso sfigurato agli occhi degli uomini dalle nebbie della stampa…”.




© SETTIMO CIELO


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