domenica 22 giugno 2014

“Ad Gentes” chiude. E padre Gheddo spiega perché


di Sandro Magister

21 giu




A rischio di chiusura non c’è solo lo storico quotidiano “l’Unità” fondato da Antonio Gramsci. In campo missionario ha chiuso i battenti un’altra testata simbolo, la rivista “Ad Gentes“, non solo per il crollo verticale delle vendite, ma più ancora per la quasi scomparsa del genuino spirito missionario dall’orizzonte della Chiesa italiana, cioè dalle diocesi, dalle parrocchie, dai seminari, dalle vocazioni.

Questa, almeno, è la severa e drammatica diagnosi che ne fa un grande esperto di missioni, padre Piero Gheddo, decano del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano e principale estensore dell’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, la “Redemtoris missio” del 1990.

Ecco qui di seguito le riflessioni che ci ha inviato.

*

SE LA MISSIONE ALLE GENTI SCOMPARE DALL’ORIZZONTE

di Piero Gheddo

Per noi missionari “ad gentes” e per la Chiesa italiana non è una buona notizia. I superiori degli istituti missionari italiani hanno deciso la chiusura della rivista semestrale “Ad Gentes”, fondata nel 1997, l’unica in lingua italiana che espressamente tratta della “missio ad gentes”, oltre a quelle dei singoli istituti missionari. Perché chiude? A quanto è dato sapere, i motivi sono due:

1) Gli abbonati sono pochissimi, le copie stampate quasi tutte inviate in omaggio o in cambio a biblioteche, università, seminari, ecc.; e quindi gli istituti aderenti devono coprire il passivo economico;

2) La missione alle genti sta perdendo la sua identità e interessa sempre meno, almeno in Italia: parrocchie, diocesi, seminari e il popolo di Dio. I mass media ne parlano sempre meno, eccetto quando ci sono casi di martirio o di persecuzione che riguardano missionari italiani.

Padre Dino Doimo, missionario del PIME a Hong Kong dal 1959, mi dice: “Torno in missione col cuore amareggiato, perché vedo che l’ambiente italiano non è più favorevole per le missioni e noi missionari. Tutti dicono che la missione è qui in Italia. La conversione a Cristo del continente Cina interessa parenti e amici e pochi altri”.

Dal 1958 gli istituti missionari italiani, attraverso la pontificia unione missionaria del clero, mandano i loro animatori missionari nei seminari diocesani, minori e maggiori. Ciascuno è incaricato dei seminari di una regione da visitare nel corso dell’anno, e così visita tutti i seminari italiani, che ricevono ogni anno un animatore diverso. Adesso, mi dice un giovane animatore, “si sta chiudendo questo periodo perché è difficile trovare un seminario che accolga volentieri un missionario e lo faccia parlare. I seminaristi sono pochi, molto impegnati e le missioni interessano sempre meno”.

Tutto questo segnala quanto ormai tutti sanno, che la Chiesa italiana, con la crisi di fede e di vocazioni sacerdotali e religiose, si chiude in se stessa e gli istituti missionari sono intesi soprattutto per il contributo che le loro case, chiese e sacerdoti danno in aiuto alle comunità parrocchiali con scarso clero. Mi chiedo se gli istituti missionari, come il mio PIME e tanti altri, religiosi o di clero secolare, si interrogano sulla decadenza e la svalutazione del nostro carisma specifico, il primo annunzio ai non cristiani, che sono ancora circa l’80 per cento dell’umanità. E ricordo che il nostro carisma di missionari “ad gentes” è stato ampiamente confermato dal Vaticano II e dal magistero ecclesiastico seguente fino ad oggi. Dato che da 61 anni sono sacerdote missionario in Italia (prete dal 1953), mi permetto di indicare i due errori fondamentali che un po’ tutti abbiamo compiuto, senza alcuno spirito polemico, ma per aiutare a riflettere.

1) Dopo la “Fidei donum” (1957) e il Vaticano II (1962-1965) si è incominciato a dire che tutta la Chiesa è missionaria e gli istituti missionari non hanno più senso. Ma sia il decreto conciliare “Ad gentes” (n. 6) che l’enciclica “Redemptoris missio” (nn. 33-34) affermano con chiarezza che la missione alle genti non va confusa con l’attività pastorale che si rivolge ai battezzati e quindi che “questi istituti restano assolutamente necessari” (Ad gentes, 27). Nella “Redemptoris missio” (n. 66) si legge: “La vocazione speciale dei missionari ‘ad gentes’ e ‘ad vitam’ conserva tutta la sua validità. Al riguardo s’impone una approfondita riflessione, anzitutto per i missionari stessi, che dai cambiamenti della missione possono essere indotti a non capire più il senso della loro vocazione, a non saper più che cosa precisamente la Chiesa si attenda da loro”.

Questa riflessione forse è mancata e anche gli istituti missionari rischiano di non credere più nel loro carisma originario, mentre le giovani Chiese del mondo non cristiano hanno assoluto bisogno di loro anche oggi, lo dicono tutti vescovi.

Lo stesso è avvenuto per le pontificie opere missionarie. Fin che erano pontificie e non dipendenti dai vescovi italiani, svolgevano il loro compito primario: ricordare la missione alle genti, universale, aiutarla con preghiere, vocazioni, aiuti materiali. Da quando sono opere diocesane, la missione alle genti è diventata il gemellaggio di una diocesi italiana con una delle missioni. Si è chiuso l’orizzonte, i missionari sono quelli della diocesi, quasi sempre in America Latina e in Africa. Adesso, con la crisi delle diocesi italiane, è facile immaginare cosa succede.

2) Il secondo sbaglio fondamentale è stato di politicizzare la missione alle genti ed è una vita che condanno (inutilmente) questa tendenza suicida degli istituti missionari, che ha cambiato la nostra immagine nell’opinione pubblica italiana. In “Missione senza se e senza ma” (EMI 2013, pag. 250) racconto in un capitolo (”La crisi dell’ideale missionario”) la storia di questo suicidio. Fino al concilio Vaticano II c’era la chiara affermazione della nostra identità: andare ai popoli non cristiani, dove ci mandava la Santa Sede, annunziare e testimoniare Cristo e il suo Vangelo, di cui tutti hanno bisogno. Certo si parlava anche delle opere di carità, di istruzione, di sanità, di promozione, di diritti e opere di giustizia per i poveri e gli sfruttati. Ma su tutto emergeva l’entusiasmo di essere stati chiamati da Gesù per portarlo a popoli che vivono senza conoscere il Dio dell’amore e del perdono. C’era l’entusiasmo della vocazione missionaria gioiosamente manifestato e quindi si parlava spesso di catechesi, catecumenato, conversioni a Cristo, preghiere e sofferenze per le missioni, del perché i popoli hanno bisogno di Cristo, ecc. Soprattutto si parlava di vocazioni missionarie, perché il missionario è un privilegiato che va fino agli estremi confini della terra per realizzare il testamento di Gesù quando sale al cielo.

Ma oggi, ditemi voi: chi manifesta entusiasmo per la vocazione missionaria e dove è finito l’appello per le vocazioni missionarie “ad gentes”? Oggi noi missionari facciamo le campagne nazionali per il debito estero, contro la produzione di armi, contro i farmaci contraffatti e per l’acqua pubblica; oggi non si parla più di missione alle genti ma di mondialità e di opere sociali o ecologiche. Mi sapete dire quanti giovani e ragazze si entusiasmano e si fanno missionari dopo una manifestazione di protesta contro la produzione di armi? Nessuno. Infatti gli istituti missionari non hanno quasi più vocazioni italiane. Non lamentiamoci perché si chiude la rivista “Ad Gentes”. Nel quadro di tutto quel che ho detto, ha un suo logico significato.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa

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