lunedì 19 maggio 2014

I Francescani dell’Immacolata, Paolo VI e la liturgia





di Fra Malaspina

Il 6 maggio la Congregazione per le Cause dei Santi ha riconosciuto all’unanimità il miracolo attribuito all’intercessione di Papa Montini e a breve assisteremo anche alla sua beatificazione, prevista per il 19 ottobre di quest’anno. Così i francescani dell’Immacolata avranno un altro intercessore in Cielo. Difatti, contrariamente a quanto si vuole affermare, Paolo VI fu molto addolorato della piega che gli ordini religiosi stavano prendendo ai tempi del suo pontificato e in modo particolare intorno all’abbandono della liturgia latina e del canto gregoriano.

Nella lettera apostolica del 15 agosto 1966 indirizzata agli ordini religiosi, Paolo VI così scriveva: “Dalle lettere di alcuni di voi e   parecchie missive giunteci da varie parti siamo venuti a conoscenza che i cenobi o le province da voi dipendenti – parliamo solo di quelle di rito Latino – hanno adottato differenti modi di celebrare la divina Liturgia: alcuni sono molto attaccati alla lingua Latina, altri nell’Ufficio corale vanno chiedendo l’uso delle lingue nazionali e vogliono inoltre che il canto cosiddetto Gregoriano sia sostituito qua e là con canti oggi in voga; altri addirittura reclamano l’abolizione della lingua latina stessa. Dobbiamo confessare che tali richieste Ci hanno non lievemente colpiti e non poco rattristati; e vien da chiedersi da dove sia sorta e, perché si sia diffusa questa mentalità e questa insofferenza in passato sconosciuta.

Nella medesima il papa poi richiamava i religiosi tenuti all’obbligo del coro all’obbedienza ai decreti emanati in precedenza, invitandoli a custodire la lingua latina “essendo nella Chiesa Latina sorgente fecondissima di cristiana civiltà e ricchissimo tesoro di pietà” e “di custodire indenni la qualità, la bellezza e l’originario vigore di tali preghiere e di tali canti … che i vostri fondatori e maestri e Santi del Cielo, luminari delle vostre famiglie religiose, vi hanno tramandato”. E il papa continuava: “Non vanno sottovalutate le tradizioni degli antenati che lungo i secoli costruivano la vostra gloria. Questa maniera di recitare l’Ufficio divino in coro fu una delle principali ragioni della solidità e del felice sviluppo delle vostre Famiglie. Suscita quindi meraviglia che, al sorgere di un improvviso turbamento, ad alcuni sembri già di dover trascurare queste motivazioni.

Il papa profeticamente poi annunciava ciò che sarebbe avvenuto in caso di abbandono di tale ricchezza e cioè il calo delle vocazioni e lo svuotamento delle chiese da parte dei fedeli. Così infatti scriveva: “gli uomini desiderosi di sentire le sacre preci entreranno ancora così numerosi nei vostri templi, se non vi risuonerà più l’antica e nativa lingua di quelle preghiere, unita al canto pieno di gravità e bellezza?”; “quelle preghiere permeate di antica grandezza e nobile maestosità continuano ad attrarre a voi i giovani chiamati all’eredità del Signore; in caso contrario, una volta eliminato il coro in questione, che supera i confini delle Nazioni ed è dotato di mirabile forza spirituale, e la melodia che scaturisce dal profondo dell’animo, dove risiede la fede e arde la carità, il canto gregoriano cioè, sarà come un cero spento che non illumina più, non attrae più a sé gli occhi e le menti degli uomini”.

Questo P. Stefano M. Manelli, fondatore ed ex superiore generale dei Francescani dell’Immacolata, l’aveva capito da tempo. All’uscita del Motu Proprio di Benedetto XVI, infatti, egli aveva immediatamente, sebbene gradualmente, ripreso per l’Istituto la celebrazione della Messa e del breviario secondo la forma straordinaria del Rito Romano, portando l’Istituto in breve tempo ad un incremento delle vocazioni. I frati di vecchia data, però, incapaci di comprendere i segni dei tempi e piuttosto chiusi di mente ai vasti orizzonti del loro padre fondatore, non sono stati all’altezza di adeguarsi a tale disposizioni, chiedendo e ottenendo un intervento straordinario della Santa Sede. Chiediamo al futuro Beato della Chiesa di intercedere dal Cielo per questi religiosi che tanto facevano per mettere in atto quelle disposizioni emanate nella sua lettera apostolica “Sacrificium laudis” e che, ahimè, gli ordini religiosi del suo tempo non avevano saputo assecondare.








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