sabato 8 marzo 2014

Francesco e i predecessori. I segreti della popolarità di un papa






di Sandro Magister

A un anno dalla sua elezione a papa, per Francesco gli indici di popolarità continuano a essere alti, molto alti. In un paese come gli Stati Uniti, il Pew Research Center ha riscontrato che già nel marzo del 2013 l’84 per cento dei cattolici erano molto o abbastanza favorevoli al nuovo papa e altrettanti lo sono adesso, per l’esattezza nella misura dell’85 per cento, con i molto favorevoli addirittura sopra la metà del totale.
Ma il Pew Research ha la memoria lunga. E fa notare che a questi stessi livelli di popolarità era arrivato anche Benedetto XVI nel 2008, con il 49 per cento di molto favorevoli e il 34 per cento di abbastanza favorevoli, che sommati facevano l’83 per cento dei cattolici americani.

Livelli che papa Joseph Ratzinger si era conquistati passo passo, dopo esser partito nel 2005 da un modesto 17 per cento di molto favorevoli e da un tiepido 50 per cento di abbastanza favorevoli.
Non parliamo poi di papa Karol Wojtyla, che all’apogeo del suo pontificato, negli anni Novanta, riscuoteva ripetutamente un fantastico 93 per cento di consensi.

Le indagini del Pew Research hanno anche registrato, da molti anni, una diffusa e crescente domanda tra i cattolici americani di riforme tipo la libertà di contraccezione, il matrimonio per i preti, il sacerdozio per le donne e persino, sia pure con un sostegno minore, il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ma dall’insieme di questi dati non risulta affatto che il favore dato a un papa dipenda dalle sue “aperture” su simili materie. La popolarità non è sinonimo di facilità e di cedevolezza. Anzi.

Prendiamo Giovanni Paolo II. Quando è all’apogeo della sua popolarità egli pubblica l’enciclica “Veritatis splendor” (1993) inflessibile sulle più controverse questioni della morale e l’altra enciclica “Evangelium vitae” (1995) con pagine tremende contro l’aborto e l’eutanasia. Combatte una battaglia campale contro l’universo mondo con decine di interventi a raffica in difesa della vita, prima, durante e dopo la conferenza dell’ONU sulla popolazione tenuta al Cairo nel 1994. Pronuncia l’anatema contro le donne sacerdote con la lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis” dello stesso 1994. E ancora nel 1994 indìce l’anno della famiglia e scrive ai vescovi una lettera per ribadire il divieto della comunione ai divorziati risposati.

Quanto a Benedetto XVI, è del 2008, all’apice delle sue “fortune”, l’istruzione “Dignitatis personae” sulle questioni scottanti della bioetica. È del 2007 il motu proprio “Summorum pontificum” che ha liberalizzato la messa in rito romano antico. È dello stesso anno l’enciclica “Spe salvi” che ha rinverdito la fede nei “novissimi”. E ancora nel 2008, col viaggio negli Stati Uniti ha conquistato una popolarità superiore a qualsiasi attesa, nel paese più ostico sul terreno minato della pedofilia, e col viaggio in Francia ha fatto ascoltare all’intellighenzia più pregiudizialmente ostile alla Chiesa, ottenendone il rispetto, il più raffinato manifesto del suo pontificato, la lezione al Collège des Bernardins.

Anche il cosiddetto “effetto Francesco” sulla pratica religiosa esce ridimensionato dalle indagini del Pew Research. Da un anno a questa parte la frequenza alla messa domenicale dei cattolici degli Stati Uniti – che è del 40 per cento – non ha registrato alcuna variazione né in più né in meno, mentre la frequenza alla confessione è andata ulteriormente calando. L’unica novità è stata un risveglio di “fervore” tra i cattolici già praticanti.




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