domenica 30 marzo 2014

Eresia e ortodossia nella Liturgia






da Traditio Liturgica

Questo è un argomento spinoso, poiché la mentalità odierna rifugge dall'idea che, nelle questioni religiose, ci possano essere delle eresie: il pluralismo religioso comporta in sé un implicito egualitarismo e, alla fine, un inconfessato indifferentismo.


Invece è bene mettere le cose al loro posto, non per lanciare anatemi verso chicchessia, ma per mostrare una "logica interna" nella realtà religiosa. Quest'ultima, infatti, anche se si fonda sulla Rivelazione del Dio ineffabile, che sorpassa ogni logica e conoscenza umana, è ordinata, da disposizioni pratiche, in un senso strettamente logico.


Anche la liturgia obbedisce a quest'ordine e non è né può essere il campo dell'arbitrio umano ma il solo dominio dei "tecnici" dello Spirito, ossia di chi ha una solida formazione spirituale.


In qualche commento del post precedente [1] accennavo al fatto che il cammino indicato al credente nella liturgia è volto all'esperienza di qualcosa di sopra sensibile, pur servendosi di realtà che, in questo mondo, non possono che essere sensibili.


Lo stesso narratore dei fatti del post indica che, nella liturgia pasquale, aveva provato determinate percezioni. Sì, la liturgia diventa il luogo in cui si svela realmente qualcosa che supera questo mondo. È qui in effetti la sua ortodossia, ossia la sua espressione corretta, ciò che fa in modo che essa dia una "retta gloria".


Per giungere a qualcosa che supera questo mondo, il culto deve avere tutto un insieme di caratteristiche: i testi devono esprimere una corretta disposizione verso Dio, non riflettere semplici attese e speranze umane, né, tanto meno, esprimere disposizioni psicologiche.


Un testo corretto è ad esempio: "O Dio dei vivi e dei morti, accogli quest'anima nella tua gloria...". Il centro e gli occhi di tutti, in questa breve preghiera, è inequivocabilmente Dio.


Un testo errato (quindi eretico) è: "Dio, tu sai come in questo momento soffriamo per l'assenza del nostro caro defunto....". Qui il centro non è più Dio, per quanto venga formalmente espresso. Il centro siamo noi stessi e, quel che è peggio, si appiattisce le persone nella considerazione del loro dolore umano con il rischio di farle chiudere in quello in modo che possano essere impedite ad aprirsi ad altro....


Il primo è un testo tradizionale, il secondo è un testo di recente composizione (che cito a memoria avendolo sentito in una messa di esequie).


Se si inizia ad osservare le liturgie di recente composizione con quest'attenzione, si noteranno molte problematiche di questo tipo: sono testi di taglio molto antropocentrico!


Mentre i testi antichi tagliavano corto, non dando il minimo spago a riflessioni psicologistiche o a distrazioni di altro genere - erano liturgie ascetiche! - i testi attuali hanno totalmente appannato tutto ciò. Per questo se mi capita estemporaneamente di andare ad una messa (dopo che provengo da contesti liturgici tradizionali) mi sembra di sentire chiacchiere quasi da osteria...


La cesura tra liturgia e spiritualità è, alla fine, la responsabile di questo glissamento.


È come se, invece di scoccare una freccia per colpire il centro di un bersaglio, si finisca sempre per lanciare la freccia ben lontano dal centro!


Chi tiene un arco sa che esiste una tecnica, sa che l'arco deve avere certe caratteristiche e non altre. Se ne prescinde anche di poco compromette il risultato.


La spiritualità, ossia il metodo per incarnare il cristianesimo, non può non informare in modo coerente la stessa liturgia. Nel momento in cui non lo fa (ed emergono istanze puramente umane) il risultato è compromesso, la liturgia non giunge al suo scopo, ossia alla percezione di un mondo ultraterreno.



Parrocchia di Weiz: predica di padre Hannes Biber nell'ultima domenica di Carnevale.



In mancanza di questo scopo, la liturgia perde totalmente il suo senso originale e, pur di non annoiare le persone, la si trasforma in puro intrattenimento.
Questo è evidentissimo in certe comunità protestanti in cui il ministro deve saper far ridere l'assemblea, essere mondanamente affascinante e brillante, come un presentatore televisivo.
Le stesse istanze da mondo dello spettacolo oramai sembrano permeare molte liturgie del mondo cattolico e ciò è inevitabile, dal momento che la liturgia ha perso il suo fine originale.


Come diceva l'anziano Paisios (del monte Athos) questi ministri "giocano" sull'altare. Solo che mentre lui si riferiva a ministri che conservavano almeno le apparenze di una realtà sacra (in Oriente i libri liturgici non sono stati cambiati), in Occidente oramai pure l'apparenza è stata persa, com'era logicamente conseguente che accadesse. La conclusione è inevitabile: siamo in piena eresia poiché qui la freccia si lancia ben lontano dal suo bersaglio.


Che efficacia può avere una liturgia del genere? Nessuna, assolutamente nessuna...


Viceversa una realtà tradizionale che ha coscienza che nella liturgia c'è una vera e propria "palestra dello spirito" apre tutto un altro mondo di percezioni. Ma per questa, ci vogliono ministri ben formati, preparati, coscienti che la liturgia non è un semplice intrattenimento dove si propina una qualche istruzione religiosa e si aspira a semplici "valori cristiani" (quando va "bene").
Ci vuole una preparazione spirituale "a tutto tondo" e bisogna crederci.
Ora, tutto questo da noi è quasi totalmente inesistente.
Le frecce scoccate da un arco ben poco teso, finiranno tutte fuori bersaglio...



[1]Ecco il post a cui si fa riferimento:

"Mai con lo sguardo!" 



Un momento del rito della Protesi in cui avvengono le commemorazioni
 dei nomi di santi, di persone vive e defunte




Ebbi modo di discutere con l’atonita ieromonaco D. D. Sapevo che frequentava spesso l’anziano Paisios e, dopo il mio insistente invito a raccontarmi qualcosa, mi rivelò una grande, ammirevole e utile storia che sto per citare, significativa soprattutto per noi sacerdoti.
Lo ieromonaco mi disse:

“Nel 1982, passai la mia prima Pasqua come diacono nel monastero di san Dionisio, sul Monte Athos.
Ebbi la fortuna di partecipare alla Divina Liturgia pasquale, celebrata dal vecchio e devotissimo igumeno, Charalambos Dionysiatis.
Non ti racconterò – continuò il monaco –, i sentimenti spirituali e le divine trasformazioni avvenute in me durante la partecipazione al culto divino, tenendo pure conto della preparazione precedente nel corso dell’intera Quaresima. Mi concentrerò su un solo episodio di grande importanza per qualsiasi celebrante del Dio Trino.
Mentre la Divina Liturgia procedeva, l’anziano Charalampos, di sua iniziativa, ricordava un gran numero di persone delle quali faceva commemorazione.
Si stava avvicinando il momento d’iniziare la Divina Liturgia ma egli proseguiva le commemorazioni assieme ad altri sacerdoti. Allora io, anche se diacono ma con il coraggio proveniente dal mio grande amore per l’anziano Charalambos, gli dissi: “Gheron, i nomi sono molti. Si è fatto giorno. Non ce la faremo a terminare in tempo. Dobbiamo coprire la pròtesis per iniziare la Divina Liturgia. Durante tutta la settimana del Rinnovamento avremo tempo per leggerli così da finirli tutti…”. Egli mi guardò un po’ severamente e mi disse: “Oggi è Pasqua, diacono, e queste anime aspettano un aiuto da noi, benedetto uomo”!
Così mi rivolsi ai concelebranti, p. Panteleimon e p. Saba, e dissi loro: “Pare che l’anziano non abbia voglia di finire oggi! Prendete i fogli con i nomi, dobbiamo finire [di leggere] questo lungo elenco…”. Inoltre, nel discorso aggiunsi un termine particolare, una parola chiave: “Padri, leggete i nomi con lo sguardo”.
Purtroppo feci così… Presi il foglio con i nomi da commemorare e lo guardai come se lo stessi fotografando, senza leggere realmente i nomi uno ad uno.

Il terzo giorno di Pasqua, in vista della mia ordinazione sacerdotale, andai a fare visita al vecchio Paisios.
Il gheron appena mi vide disse: “Oh, ragazzo mio! Da quanto tempo non ci vediamo?” Risposi: “Come facevo a venire prima, gheron? Con tanti uffici liturgici da compiere in monastero non c’è stato tempo!”. Dopo aver discusso un bel po’, dissi al gheron Paisios: “Può darmi pure un consiglio quale regalo per la mia ordinazione?”. Egli rispose: “Diacono, ora va’. Abbiamo parlato tante volte. Considera un regalo quanto ti dico sempre con le cose di oggi”.
Io, invece, insistetti dicendo che volevo un regalo particolare per la mia ordinazione, qualcosa di speciale. Il gheron mi diede delle pacche sulle spalle mentre mi accompagnava fino al recinto della sua kalìvi. Dinanzi alla mia insistenza aggiunse: “Non so cosa fare per liberarmi di te! Dai, va bene, ti dirò qualcosa. Ti farò questo regalo. Ascolta, diacono: Quando leggi i nomi per farne commemorazione non devi annoiarti. Inoltre, non devi mai ‘leggere con lo sguardo’! Ma sempre con la tua anima”.

La cosa meravigliosa è che l’anziano Paisios mi rispose usando le parole che dissi agli altri: “Leggete i nomi con lo sguardo”.

“Mai con lo sguardo, – disse l’anziano –, invece cerca di guardare l’anima di cui fai memoria: i tormenti, le tentazioni e le prove vissute e allora, figlio mio, vedrai dei miracoli sull’Altare.
In caso contrario, – continuò l’anziano Paisios –, Dio trova più valore in me, quando, lustrando le scarpe (e l’anziano fece gesto di farlo) dico la preghiera ‘Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me’, che in voi quando fingete di ricordare i nomi delle persone giocando sull’altare…”.




P. Nektarios Savvidis

Romfea.gr





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