venerdì 14 marzo 2014

Comunione ai risposati. Tre interventi dall’Italia e dagli Stati Uniti


adultera



di Sandro Magister

La soluzione proposta il 13 marzo su Settimo Cielo da Giovanni Onofrio Zagloba per l’ammissione alla comunione di alcuni divorziati risposati ha suscitato immediate e argomentate reazioni in Italia e all’estero.
Ecco qui di seguito tre interventi critici. Il magistrato romano Francesco Arzillo obietta sul metodo, mentre il professor Robert Fastiggi di Detroit e l’avvocato Giovanni Formicola di Napoli contestano nel merito le posizioni di Zagloba.

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FRANCESCO ARZILLO

(Magistrato amministrativo a Roma. Il suo ultimo libro: “Esperienza giuridica e senso comune. Sul fondamento ontologico del diritto”


Lo scritto di Giovanni Onofrio Zagloba si segnala per un approccio pacato al tema dei divorziati risposati, che oggi è all’’attenzione dell’’opinione pubblica ecclesiale: approccio accompagnato dalla sua manifestazione di disponibilità – in spirito autenticamente cattolico, oltre gli opposti integralismi dei tradizionalisti e dei progressisti – a recepire le decisioni che saranno adottate in merito dalla suprema autorità ecclesiale.
Non intendo qui soffermarmi sulla particolare declinazione che la nota di Zagloba offre in ordine alla prima delle ipotesi prospettate dal cardinale Kasper, la quale rimane ancorata al classico profilo della nullità del primo matrimonio.

Voglio piuttosto segnalare una carenza del dibattito pubblico corrente in merito alla seconda ipotesi avanzata da Kasper, la quale attiene alla possibilità di un cammino penitenziale che conduca alla riammissione all’eucarestia di un divorziato risposato in casi particolari, anche in assenza della dichiarazione di nullità del primo matrimonio.

Il dibattito tende a concentrarsi sui profili pastorali, letti in relazione a quelli storici, intendendo per tali soprattutto quelli concernenti la prassi e la dottrina della Chiesa antica.

In parallelo si accenna spesso ai profili morali.  Su questo punto – che  attiene principalmente al foro interno – ci sarebbe molto da dire. I riferimenti all’equiprobabilismo e all’’epicheia andrebbero seriamente approfonditi, dato che   non si tratta  di chiavi che possano aprire tutte le porte. Per fare un esempio un po’’ forte ma chiaro, è evidente a tutti che nessun criterio tratto dai sistemi morali classici o dall’’epicheia potrà mai legittimare un aborto volontario, come tutti sanno e come risulta chiaramente dai principi enunciati – tra l’’altro – dall’’enciclica “Veritatis splendor”.

Non è però su questo che vorrei richiamare l’’attenzione.

Mi preme piuttosto ricordare che alla base di tutto ci sono problemi dogmatici gravissimi, che risultano dalla pura e semplice lettura dei canoni tratti dal Concilio di Trento, e in particolare di due di essi:

- ““Se qualcuno dirà che per motivo di eresia o a causa di una convivenza molesta o per l’’assenza esagerata dal coniuge si può sciogliere il vincolo matrimoniale, sia anatema””.

- “Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato ed insegna che secondo la dottrina evangelica ed apostolica (cfr. Mt 5, 32; 19,9; Mc 10, 11 – 12; Lc 16, 18; 1 Cor 7,11) non si può sciogliere il vincolo del matrimonio per l’’adulterio di uno dei coniugi, e che l’’uno e l’’altro (perfino l’’innocente, che non ha dato motivo all’’adulterio) non possono, mentre vive l’’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio, e che, quindi, commette adulterio colui che, lasciata l’’adultera, ne sposa un’’altra, e colei che, scacciato l’’adultero, si sposa con un altro, sia anatema””.

Non occorre essere teologi di professione per comprendere che l’’attuale  posizione ufficiale della Chiesa ha un retroterra che attinge in ultima analisi alla sfera del dogma.

E non potrebbe essere altrimenti, dato che il matrimonio cristiano è un sacramento. Come del resto lo è anche l’’eucarestia, per la quale vigono parimenti dei precisi pronunciamenti – anch’essi di natura dogmatica e non meramente disciplinare – che ne riservano, sulla scia di San Paolo, la ricezione ai soli fedeli che non si trovino in peccato mortale.

Ogni ipotesi di superamento della disciplina attuale deve confrontarsi con questi dati.

Certamente i teologi potranno approfondire ulteriormente l’’interpretazione di questi come di altri testi rilevanti, fornendo materiali di riflessione utile per gli ulteriori pronunciamenti vincolanti del magistero.
Si tratta peraltro di un lavoro eccezionalmente complesso, che non può essere banalizzato nella sede del dibattito pubblico e giornalistico, dando l’’erronea impressione che tutto sia disponibile e modificabile a piacere. O che  si tratti di comprendere oggi, come se fosse  la prima volta, questioni studiate e approfondite da secoli, in contesti  e in epoche molto difficili.

In  questo modo non si renderebbe un buon servizio né alla verità né alla carità, sempre indissolubilmente congiunte nell’’azione pastorale della Chiesa.

A quest’’ultimo riguardo, infine, non bisogna  fraintendere il  ruolo dell’’opinione pubblica ecclesiale, in ordine al quale occorre ricordare due punti fondamentali.

Anzitutto, è noto che la dottrina classica sul matrimonio riscuote una diffusa adesione in Africa e in Asia. E non è corretto preferire metodologicamente le inquietudini europee e americane, come se solo queste e non le prime costituissero espressione dei cosiddetti “segni dei tempi”.

Inoltre, e da ultimo, va ricordato il documento “Donum veritatis”, nel quale si censura  quella “argomentazione sociologica secondo la quale l’’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe un’’espressione diretta ed adeguata del “senso soprannaturale della fede”.

In effetti le opinioni dei fedeli non possono essere puramente e semplicemente identificate con il “sensus fidei”. Quest’’ultimo è una proprietà della fede teologale la quale, essendo un dono di Dio che fa aderire personalmente alla verità, non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, poiché Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della Parola di Dio e, di conseguenza, ciò che il fedele crede è ciò che crede la Chiesa. Il “sensus fidei” implica pertanto, di sua natura, l’accordo profondo dello spirito e del cuore con la Chiesa, il “sentire cum Ecclesia”. Se quindi la fede teologale in quanto tale non può ingannarsi, il credente può invece avere delle opinioni erronee, perché tutti i suoi pensieri non procedono dalla fede. Le idee che circolano nel Popolo di Dio non sono tutte in coerenza con la fede, tanto più che possono facilmente subire l’’influenza di una opinione pubblica veicolata dai moderni mezzi di comunicazione”.


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ROBERT FASTIGGI

(Professor of Systematic Theology, Sacred Heart Major Seminary, Detroit, USA)


Giovanni Onofrio Zagloba has written a proposal that would allow divorced and remarried Catholics to receive Holy Communion without a formal declaration of nullity of their prior marriage by an ecclesiastical tribunal and without the need to abstain from sexual intercourse.

His proposal resembles in many ways some suggestions offered by Cardinal Walter Kasper in his address of February 20, 2014 to a special consistory on the family. Both Cardinal Kasper and Mr. Zagloba believe that divorced Catholics who have entered into a civil marriage might be admitted to Holy Communion by their pastor or another episcopal delegate who determines that their prior marriage was null and void. The divorced and remarried couple would need to declare – in a suitable and convincing way and with sworn testimony – the nullity of their prior marriage. After inviting the couple to a period of prayer, and after being convinced in conscience of their sincerity, the priest could admit the couple back to Holy Communion. This simplified process would avoid the need to have an ecclesiastical tribunal decide the nullity of the prior bond. It would also avoid a juridical process that usually takes at least two years.

Zagloba believes that his proposal in no way challenges the indissolubility of matrimony. As he writes: “It does not concern the essence of matrimony but only the procedures for ascertaining the validity of the bond, namely a juridical and pastoral question that is at the disposition of the synod and the Holy Father”.
With regard to the possible objection that this procedure could lead more easily to deception, Zagloba replies: 1. Deception cannot be entirely excluded even with an actual canonical procedure; 2. Because this procedure would, in all likelihood, apply only to believers, there is little disposition to swear falsely; 3. The patrimonial agreements would be put in order prior to the sentence of divorce and, therefore, there would be less material incentive toward deception.

Zagloba does not believe this procedure would weaken conviction in the indissolubility of matrimony in the popular conscience. On the contrary, he believes it could encourage a return to  the faith of many people today who feel abandoned and misunderstood in their difficulty.

Zagloba, I believe, is making this proposal in good faith with a sincere desire to help divorced and remarried Catholics. Nevertheless, I believe his “solution” is likely to create many problems, including an erosion of belief in the indissolubility of matrimony. I say this for the following reasons:

1) The proposal lends itself to subjective rather than objective standards for determining the invalidity of a prior matrimonial bond. It’s not clear at all what criteria will be used by the couple and the priest to decide that the prior bond was not a valid marriage. The criteria could vary from place to place and from priest to priest. In 1994, the Congregation for the Doctrine of the Faith published a letter to the bishops of the Catholic Church concerning the reception of Holy Communion by divorced and remarried members of the faithful. In this letter, the CDF noted that matrimony is both a public reality and a sacrament of the Church. As such, questions pertaining to validity “must be discerned with certainty by means of the external forum established by the Church” (n. 9). Such an external forum helps to insure that decisions pertaining to marital validity are made according to the objective standards of canon law and not the subjective perceptions of the couple in consultation with a priest.

2) In spite of Zagloba’s claim that this procedure would not weaken belief in the indissolubility of marriage, there are many reasons to believe it would.  It could give the impression that divorced and remarried couples only need to meet with a priest who then gives them permission to receive Holy Communion. The lack of a juridical decision by an ecclesiastical tribunal and the (likely) absence of a Church celebration of the wedding would lead to a belief that a civil wedding ceremony is perfectly fine as long as a priest gives the couple his subsequent blessing to continue living as husband and wife receiving the Eucharist. This might give an incentive to Catholic couples who have never been married to enter into civil marriages without the canonical form required by the Church. After all, if divorced Catholics who had married civilly can receive the blessing of a priest why not couples who have only been married civilly?

3) Zagloba’s proposal would undercut the heroic witness given by many divorced Catholics who refuse to enter into another “marriage” while their separated spouse is still living. Such Catholics give a vivid testimony to the indissolubility of matrimony by their abstinence from unions that involve sexual intimacy. If such divorced Catholics fall in love, they realize they are not free to marry again until the Church has declared their prior bond null and void. Zagloba’s proposal, however, would provide little incentive for such heroic witness. Divorced couples would be given the impression that it’s perfectly fine to marry again because they could later meet with a priest who will give them permission to receive the Eucharist.

4) For divorced Catholics who fall in love, we need to ask whether the two years of waiting for the decision of the Church tribunal is all that excessive. Indeed, they might need this time to heal from the wounds of their prior failed relationship. If they abstain from sexual relations and maintain a deep spiritual friendship, there is no reason why they could not receive Holy Communion. A gift as wonderful as the Eucharist is a great incentive for them to abstain from sexual relations and postpone their wedding until the Church, through appropriate juridical means, determines that they are free to join themselves in matrimony. If they choose not to wait for the decision of the tribunal and they enter into a civil union, by not receiving the Eucharist they provide a vivid and public witness to the indissolubility of matrimony. If and when the declaration of nullity is finally received, then there will be reason for celebration. God, I believe, will bless such couples who, in fidelity to the Church’s doctrine and discipline, chose to refrain from receiving the Eucharist during the time when their union was merely civil and not sacramental.

While I respect the good intentions of Mr. Zagloba’s proposal, I fear his proposal will give the impression that the Church has surrendered to the prevailing culture of easy divorce. It will seem that the Catholic Church, like other Christian groups, now blesses those who divorce and remarry. The witness to the indissolubility of marriage, so much needed in the world today, will be eroded. Yes, the Church must show pastoral care for divorced and remarried couples, but she must do so in the manner that gives the most serious witness to the words of Christ: “What God has joined together, let no man put asunder” (Mk 10:9).


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GIOVANNI FORMICOLA

(Avvocato penalista a Napoli. Socio fondatore di Alleanza Cattolica)


1. Faccio presente a Giovanni Onofrio Zagloba che il beato Giovanni Paolo II, con il discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota romana del 28 gennaio 2002, ha “preventivamente” stroncato le sue fantasie giuridico-teologiche (per non parlare di tutto quello che ha detto Benedetto XVI nei suoi otto discorsi pronunciati nella medesima occasione). Non sarebbe inutile che lo leggesse o lo rileggesse, così come non sarebbe inutile che anche il cardinale Kasper e il papa lo leggessero o lo rileggessero. Si tratta di dottrina definita: sarebbe difficile iscrivere nella linea della continuità con essa quanto proposto insieme dal cardinale Kasper e da Zagloba.

2. È difficile capire quale certezza possa assistere il giudizio di validità di un secondo matrimonio reso da chi contemporaneamente asserisce che in occasione del primo non faceva sul serio o non aveva capito. D’altra parte, posto che il rapporto coniugale è lecito solo all’interno d’un giusto matrimonio, rimane illecito quello consumato in uno pseudo-matrimonio (tal è quello eventualmente riconosciuto nullo) e non si capisce come possano essere i protagonisti dell’uno e poi dell’altro giudici della validità e conformità del loro rapporto coniugale alla realtà del matrimonio, che precede ogni singolo matrimonio, e quindi della liceità morale della loro unione, senza la quale liceità, come per chiunque non sia in grazia di Dio, è meglio non prendere la Comunione per non incorrere nell’anatema paolino.

“Durus est hic sermo”? Temo di sì, ma lo stesso Signore non ha esitato ad essere duro. E non si tratta di “casistica” e neppure di casuidicismo. Come dice il papa beato nel discorso citato: senza l’oggettività della norma rimaniamo senza orientamento, come il navigatore spaziale che separato dalla navicella non ha nulla che l’orienti e quindi vaga nel vuoto e a vuoto.





Settimo cielo

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