mercoledì 12 febbraio 2014

Messori: vi racconto papa Benedetto







  Lo scrittore, unico autore italiano citato nei libri del Papa su Gesù, ha conosciuto bene sia il cardinale Ratzinger sia il pontefice Benedetto XVI. Ecco il suo ricordo


Francesco Anfossi


Il bilancio dei best seller di Messori è davvero impressionante :  “Ho scritto tanto ma, in fondo, per cercare di rispondere a una sola domanda: è vero o non è vero? E’ davvero risorto? La nuova evangelizzazione per me significa riscoprire la fede  cominciando dalle radici, dai fondamentali, da Gesù di Nazareth. Nella prospettiva cristiana prima viene la fede e poi la morale. Ma in fondo, se ci pensi, buona parte della predicazione ecclesiale, nel post Concilio  è stata una predicazione su temi etico-sociali. Temi importanti, ma che appartengono a un cristianesimo secondario. Il cristianesimo primario è credere in ciò su cui tutto si basa: l’annuncio della resurrezione di Cristo. Il resto segue di conseguenza. Non puoi annunciare la morale cristiana se non credi in Gesù come Figlio di Dio. Occorre, ancora e sempre,  confrontarsi con la storicità di questo predicatore errante ebraico. E’ esistito? Era davvero il Cristo?”.

In fondo è quello che ha cercato di fare papa Ratzinger con la sua trilogia su Gesù. Libri in cui Messori è l’unico autore italiano vivente citato (e raccomandato ) almeno nei primi due . “Ho conosciuto il Vangelo quando avevo 24 anni e facevo la tesi con Alessandro Galante Garrone, il massimo del laicismo sabaudo. Feci un’inchiesta storica, rigorosamente storica. Ho cercato di ripartire da zero. Ho sempre detto: mettiamoci di fronte a questo problema con le armi della storiografia. Il cuore del Vangelo è quello che la liturgia chiama il mistero pasquale, il mistero della passione, morte e resurrezione di Gesù. Tutto il Cristianesimo sta in bilico sulla verità di passione, morte e resurrezione”.

Varcare la soglia della speranza è il titolo del libro che Messori scrisse intervistando Giovanni Paolo II. Un successo planetario: vendette 23 milioni di copie in pochi mesi e fu tradotto in 53 lingue. “Quel libro, mi si creda , ho cercato di non farlo. Santità, gli dissi,  abbiamo bisogno di un maestro e di una guida sicura, non abbiamo bisogno di un opinionista in più. Accettando il genere giornalistico della intervista si entra nel mondo del “secondo me”. Ne discutemmo a tavola, nel suo alloggio privato (una copia di quelli polacchi) a Castelgandolfo. Ottenni almeno che non fosse un’intervista televisiva, come era stato programmato, ma un libro. Ha risposto alle mie domande scrivendo a mano, in polacco, allo schema di domande che gli avevo  mandato.  Invece ho cercato con tenacia, anche se tutti mi davano del matto, di fare un libro intervista con l’allora cardinale Ratzinger. Il Sant’Uffizio, battezzato con il nome politicamente corretto di Congregazione per la Dottrina della fede, era noto per il suo silenzio e per il suo riserbo. Tanto che i suoi archivi erano ancora sotto chiave e inaccessibili. Quando dicevo che volevo intervistare  il prefetto dell’ex Sant’uffizio tutti mi prendevano per un folle. Il cardinale Ratzinger, già arcivescovo di Monaco, era a Roma solo da un paio d’anni, e sapevo bene che diceva delle cose importanti, assolutamente coraggiose allora, ma le diceva in un modo un po’ troppo complesso. Aveva bisogno di un divulgatore, tipo un cronista come me. Per una serie non solo di mie insistenze ma di casi fortunati, alla fine nacque Rapporto sulla fede. Fu un saggio di importanza storica, ovviamente non per le mie domande, ma per le sue risposte, chiare, nette, non conformiste. In fondo è un manifesto del cattolicesimo postconciliare, quello autentico, non quello fazioso. Secondo gli storici la fine del postconcilio selvaggio coincide con l’uscita di Rapporto sulla fede. Ratzinger è un grande  teologo sul  serio, io sono solo un divulgatore. Bisogna rispettare il suo carisma".

Come nacque, concretamente, quel libro?

"Quando ci cimentammo in quell’impresa, nella frescura estiva  del seminario di Bressanone, Ratzinger non aveva un piano preciso. Io invece ce l’avevo. Gli ho sempre voluto bene, sentendo una istintiva sintonia. Avevo, ed ho, un grande affetto per lui come persona oltre che una grande stima come studioso. Quello che chiamavano il Panzer Kardinal, il grande inquisitore,  dicevano che sembrava un Torquemada redivivo. Stando con lui per tre giorni e tre notti nel seminario deserto compresi a fondo la sua personalità e la sua umiltà. Ricordo che alle dieci di sera veniva a bussare alla  mia stanza per precisare delle cose. Non c’è persona più diversa dalla leggenda nera che hanno creato su di lui. E’ una persona affettuosa, calda, dialogante, lontanissima da ogni dogmatismo. Mi disse: sa qual è la mia sofferenza maggiore? Dovere giudicare e magari mettere sul chi va là i miei colleghi teologi. Sono colleghi che spesso sono anche  amici, eppur il mio dovere è quello di metterli in guardia da certe loro affermazioni. Quello che mi ero  proposto era demolire la leggenda nera su di lui. Lui si è fidato. E io, da parte, mia ho fatto del mio meglio”.   

Si è parlato a lungo delle  "dimissioni" di Benedetto XVI, avvolte ancora oggi da molte ipotesi . Nell’interpretazione di Messori c’è poco di misterioso.

“Il pontefice  ha chiarito quello che c’è stato dietro quella decisione che ha sorpreso  la Chiesa e il mondo intero. Mi sono dimesso, ha spiegato, perché Dio mi ha fatto capire, perché nella preghiera mi ha parlato.  Ha precisato che non è stata ovviamente  un’apparizione ma è stata un mozione interiore  basata  soprattutto  sulla sua età avanzata e sulla sua consapevolezza di non avere le forze adeguate per portare il peso della Chiesa e dei suoi presenti e sempre crescenti problemi. Io ho sempre sorriso dei dietrologi e dei complottardi perché so per esperienza che la realtà è molto più semplice di quanto non vogliano. Non ho mai accettato l’idea che lui se ne sia andato per protestare contro la Curia, oppure per fuggire mostrando fino a che punto è giunta la decadenza della Catholica.  Il marchio fondamentale dell’uomo Ratzinger è una serietà tutta tedesca. In lui c’è la serietà con cui guarda la vita e con cui guarda la fede e la Chiesa. Molto più semplicemente papa Ratzinger ha dato un’occhiata al calendario. Nella sua agenda c’era il fatto che c’era in programma la GMG, per giunta nel clima tropicale del Brasile. Da persona serissima qual è si è reso conto che le sue forze non gli permettevano più di assicurare alla Chiesa una guida lucida, ferma e quotidiana per affrontare un’impresa simile. Per cui si è arreso all’età. Questo alla base della sua motivazione interiore. Ogni papa ha il suo carisma e il suo stile. Wojtyla era sostanzialmente un grande mistico slavo, basta vedere come pregava. Si buttava in terra con le braccia in croce davanti all’altare e stava in quella posizione in preghiera per delle ore. I suoi collaboratori, a una certa ora della notte, dovevano portarlo a letto tirandolo per i piedi. Ratzinger è un grande teologo mitteleuropeo, un bavarese metodico. Possiede un altro tipo di carisma, è un grande realista, con uno stile e un temperamento diverso dai suoi predecessori. Wojtyla aveva deciso di dare “spettacolo al mondo” (l’espressione è paolina )  della sua agonia. E io credo che abbia fatto bene. Ci vuole coraggio. Ha scelto di agonizzare in pubblico. Questo non rientra nel carisma di Ratzinger, che è una persona riservata. Entrambi hanno pensato al bene della Chiesa. Se Wojtyla ha pensato che rimanere sulla croce in pubblico avrebbe giovato alla Chiesa, Ratzinger ha pensato che il bene della Chiesa fosse quello di avere una guida più salda, più sicura. Grazie a Dio il Vangelo sa far posto a tutti i carismi”.

Messori e Benedetto si erano visti poco prima che il pontefice desse le dimissioni, papa Raztinger aveva voluto vederlo in occasione del suo libro Bernadette non ci ha ingannati.

“Mi guardo bene dal disturbarlo ora ”, precisa Messori . “Rispetto il suo isolamento. Ha annunciato di volere sparire per il mondo, e io pensavo che fosse una sistemazione provvisoria, ero pronto a scommettere che si sarebbe ritirato  nel monastero benedettino di Le Barroux . Quand’era ancora cardinale, ai tempi del Sant’Uffizio, ogni tanto staccava, prendeva un aereo per Nizza e si recava in Provenza, sotto il Mont Ventoux, in questo bellissimo monastero. Per una persona dalla salute delicata è un toccasana. Ha il clima del Sud, un’abbazia circondata da grandi campi di lavanda. Conosco l’abate del luogo. Una volta mi disse sottovoce  che l’allora cardinal Ratzinger sperava di andare in pensione per terminare finalmente i suoi libri e di rifugiarsi proprio lì,  con tutta la sua biblioteca”.

E invece Benedetto ha scelto di rimanere in Vaticano.

“Confesso che mi  ha sorpreso. Ma avrà certamente le sue ragioni che non tocca di sicuro a noi sindacare: non è persona che affidi nulla al caso, tutto ha sempre fatto dopo averci pensato e, soprattutto, pregato molto”.

“Questa è una strana scristianizzazione”, ci dice Vittorio Messori nella penombra del suo studio, pieno fino al soffitto  di libri, ricavato nell’abbazia già benedettina di Maguzzano, non lontano dal lago di Garda, dove approfondisce e scava sulle ragioni della fede, in una sorta di ricerca infinita che lo appassiona insaziabilmente. “Nella nuova evangelizzazione il problema da porsi per primo  è riscoprire e riaggiornare  l’apologetica.  Non a caso ho incoraggiato e aiutato come ho potuto un gruppo di amici e colleghi, capitanati dall'ottimo Gianpaolo Barra, a fondare il primo mensile italiano di apologetica, Il Timone, sul quale scrivo ogni mese un lungo articolo”.   

Spiega l’autore di Ipotesi su Gesù: “L’apologetica serve a far capire che la fede non è razionale come un teorema di geometria, ma è ragionevole. Il Viandante sotto mentite spoglie sulla via di Emmaus spiega ai discepoli in tutte le scritture ciò che lo riguardava, ci dice il Vangelo di Luca: inizia così l’apologetica. Questa benemerita ossessione di Ratzinger di unire fede e ragione è il desiderio ritrovare quelle ragioni per credere che una volta era, appunto, affidata all’apologetica e che adesso è stata buttata via, come fosse cosa anacronistica mentre è  indispensabile. Così in Vivaio, la rubrica che ho tenuto per anni su Avvenire – e che ora continuo ogni mese su Il Timone - svolgevo un tentativo di scoprire l’apologetica e di mostrare che ancora oggi funziona. Del resto Ratzinger non ha mai scritto nulla se non per mostrare la ragionevolezza della fede. Le grandi questioni etiche non sono affrontabili  se non se prima non ti poni il problema della credibilità della fede : se questa non è salda, la morale non ha un appiglio, resta sospesa nel vuoto”.
Messori è scrittore cattolico di best seller di argomento religioso dalle tirature sorprendenti . “Avendo constatato  l’eco straordinaria, nel mondo intero, delle dimissioni di Benedetto (che in fondo erano un atto interno della Chiesa cattolica) e del Conclave, e misurando l’interesse che c’è, nel bene come nel male,  intorno alle cose vaticane , devo dire che se davvero il cristianesimo è morto, beh … è uno strano cadavere”. E in effetti è un cadavere molto vitale, vitalissimo, che ha un impatto mondiale e attira l’interesse addirittura spasmodico dei media. Basta entrare in una libreria. O leggere un quotidiano”.
“ L’informazione religiosa”,  prosegue lo scrittore , “è ormai una specializzazione imprescindibile, anche nei giornali on line”. Ma non è stato sempre così.  Messori torna agli anni della sua giovinezza a Torino, quando, sfogliava La Stampa diretta dall’ebreo agnostico Giulio De Benedetti, “lettura indispensabile, allora , per ogni subalpino. Non  ricordo di aver mai letto notizie riguardanti la Chiesa cattolica o la religione, né in positivo né in negativo. Niente anticlericalismo ma anche nessun interesse per temi simili. Come sappiamo, le cose sono molto cambiate da allora “.   

Per questo oggi siamo di fronte a una sorta di paradosso: “Assistiamo da decenni  a una caduta della pratica religiosa, a comportamenti morali di massa che divergono dalla prospettiva cattolica. Eppure pensiamo cosa capita quando, per esempio,  la Chiesa nega i funerali religiosi a un suicida. Succede un pandemonio, uno scandalo. Anche se non era un praticante, guai se la Chiesa non gli assicura i funerali religiosi. In realtà io vedo una scristianizzazione soprattutto nel costume sociale e individuale, nelle questioni etiche. Però devo dire che quello che sta succedendo oggi non è la fine del cristianesimo, ma è la fine di una certa cristianità”.

Che tipo di cristianità? 

“È finita la cristianità di massa”, risponde lo scrittore, “è finita la prepotenza clericale, è finito il parroco che esigeva dal sindaco che facesse chiudere le osterie alla domenica all’ora della messa grande. Una cristianità di cui non sono affatto nostalgico. Perché non ho nessuna nostalgia della Chiesa preconciliare. Sta finendo una certa cristianità e ne sta arrivando un’altra dove la fede è una scelta. Una volta, soprattutto in provincia, l’anticonformista era quello che non andava a messa. Oggi l’anticonformista è quello che va a messa, non c’è dubbio. La fede è ritornata come deve essere, come la propone il Vangelo, che non impone, ma propone. Una proposta accettata da una minoranza”.
  

Questo però non spiega il boom di rinnovato interesse per le cose di Chiesa. 

“In realtà la maggioranza del mondo intero non accetta la fede, la religione, la Chiesa, ma  ne ha una grande nostalgia. Wojtyla è andato in giro per 102 Paesi del mondo. Ovunque ha trovato folle immense. Erano solo cristiani? Anche oggi, davvero crediamo che il mezzo milione di persone che affolla piazza San Pietro sia fatto tutto di cristiani praticanti? Anche i non credenti ne sono attratti”.

Per Messori c’è un bisogno assoluto di annunciare il cristianesimo soprattutto per quello che è. “Oggi tanta gente si ritrova nelle condizioni in cui mi trovavo io fino   agli anni  di università. Avevo letto molte cose, ma mai i Vangeli. Facevo parte di quelli che li rifiutavano senza conoscerli. La rievangelizzazione vuole dire soprattutto questo. Significa cercare di spiegare che cosa è veramente il cristianesimo, che cos’è il cattolicesimo. Perché moltissimi, anche a causa di tanti scandali della Chiesa istituzionale, ne hanno una visione distorta. Si tratta di spiegare che cosa Gesù Cristo dice e vuole nel senso autentico. Per questo, lo ripeto,  sono convinto che per spiegare davvero che cos’è la Chiesa e la proposta evangelica sia necessario riscoprire e rilanciare una sana onesta , rigorosa apologetica. Venendo da lontano, dal fondo dell’anticlericalismo e del laicismo emiliano e torinese, mi sono reso conto che bisognava lavorare su questo".







Famiglia Cristiana   12/02/2014


Nessun commento:

Posta un commento