mercoledì 26 febbraio 2014

Che cosa devo pensare, io fuori della comunione, dell’ostia ai peccatori?








di Giuliano Ferrara

Per me contano i segni. E in questo sono cristiano, i segni dei tempi, i presagi di fonte evangelica. La comunione ai divorziati risposati è un segno di aggiornamento molto disinvolto della chiesa, un poderoso mutamento di prassi se non anche di dottrina. Non ho niente di conservatore e di retrogrado da affermare, è da una vita che vivo senza scandalo in mezzo ai divorziati e alle famiglie spaiate in ogni modo, e il mio senso laico del peccato prevede atti peggiori, l’abbandono, il tradimento, il dolore comunque procurato, di un’ordinaria separazione seguita da divorzio e nuovo matrimonio, ma un’obiezione segnica ovvero logica ce l’ho.

La conseguenza dell’ostia ai peccatori incalliti, fuori dalla grazia di Dio, è che nessuno penserà più alle conseguenze delle sue azioni, perché non ci sarà più alcuna linea di resistenza. Penitenza, misericordia, perdono, riconciliazione, eucaristia come viatico, pastoralità e comunionalità non assertiva né escludente: sono concetti bellissimi, linee di vita importanti per una Chiesa, lo capisco. Devono potersi sperimentare arditamente anche nel cuore del peccato moderno e postmoderno. Lo capisco.
Il problema per me non è la parola del Messia messa tra parentesi, vissuta forse fino in fondo ma non rispettata nella sua letteralità, perché la lettera uccide e lo spirito solleva e libera; né appartengo alla congregazione per la Dottrina della fede, le questioni teologiche e canoniche mi interessano, ma appunto solo come segni di come gira il mondo, che da due millenni gira anche intorno al cuore cristiano della civiltà. Al divorzio, visto come si sono messe le cose, seguirà tutto il resto: il divorzio in Chiesa è già tanto, ma il resto è troppo o rischia di essere troppo.

Infatti parallelamente alle istruzioni pastorali sui divorziati risposati le conferenze episcopali franco-tedesche muovono contro la Humanae vitae, bestia nera del cattolicesimo post-conciliare. Pincus, Freud e Lacan, Beaulieu con la sua Ru486, e la sessuologia, sono destinati a conquistare, tra mistica e sorriso mondano, gli ultimi bastioni della contraddizione etica nella storia. Sotto apparato spirituale, e di riforma canonica, passa quel che c’è. Passerà anche l’eutanasia, è appena ovvio, perché non si vede dove ci si possa fermare. Se i figli della Chiesa disdicono l’appuntamento con il rumore della loro stessa battaglia, chi sarà per me? E se non ora, quando?

I gesuiti hanno il senso della Chiesa come istituzione, e sanno sottomettere le regole generali alle occasioni della casistica. Possono negarlo con sottigliezza e generosità di cultura, ma quella è la loro specialità. Ora accettano l’intimazione di chiedere scusa ai divorziati risposati che sono rimasti fuori da un atto liturgico eucaristico di particolare significato. Domani, perdono e misericordia a parte, riformuleranno dottrina e criteri sulla scorta dei diversi casi, che si moltiplicano, di manipolazione della vita, di corruzione dell’esistenza. Allora tanto valeva mollare i sacramenti quando lo chiedevano Lutero e Calvino e Zwingli. O no?





© - FOGLIO QUOTIDIANO  26 febbraio 2014




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