sabato 23 novembre 2013

Lateranense ai piedi di Napolitano. Noi ci dissociamo




Non ci scandalizzano le cortesie istituzionali che la Chiesa riserva ai capi di Stato, anche i più discussi: giustamente si tiene la porta aperta al dialogo con tutti, se possibile si trova anche il modo di collaborare per migliorare la condizione degli uomini. Né ci scandalizza un rapporto di amicizia personale tra il papa o un cardinale e un capo di Stato lontano dalla fede. Molte volte è proprio l’amicizia con un uomo di profonda fede che fa breccia nel cuore dell’uomo, anche il più duro. Ne abbiamo avuto un esempio anche questa settimana ripercorrendo la straordinaria conversione – grazie all’amicizia con Tolkien - dello scrittore C.S.Lewis, di cui ricorreva il 22 novembre il 50esimo anniversario della morte.

E però quando si comincia a fare confusione tra bene e male, quando le cose cambiano nome allora non capiamo più. Oppure c’è qualcosa che ci sfugge nell’onorificenza concessa al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dalla Pontificia Università Lateranense. Giovedì 21 novembre infatti Napolitano si è recato in visita alla Lateranense, «l’Università del Papa», accolto dal vicario di Roma cardinale Agostino Vallini e dal rettore dell’Ateneo monsignor Enrico dal Covolo. Grande cordialità - e va bene - ma poi ecco il conferimento della Medaglia d’onore dell’Università. E già qui il primo colpo – un conto è accogliere, un altro è premiare -, poi ecco la motivazione:

«Per il generoso impegno nella promozione dei diritti della persona; per la passione educativa nei confronti delle nuove generazioni, speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici incardinati nella Costituzione della Repubblica Italiana; per la coerente testimonianza di vita, che invita gli studenti all'impegno quotidiano e alle competenze indispensabili per valorizzare, nel dialogo sincero, le differenze di cultura, di nazionalità, di razza, di religione».

E allora qui, escludendo la possibilità di un caso di omonimia, proprio non capiamo.
“Generoso impegno nella promozione dei diritti della persona”, dice la Lateranense: ma non stiamo parlando di quel Napolitano che, come dirigente del Partito Comunista, ha per decenni apertamente sostenuto la repressione di tanti popoli sotto il regime sovietico? Che ha teorizzato la necessità dell’intervento dei carri armati sovietici in Ungheria nel 1956, senza aver mai fatto cenno a una qualsiasi forma di pentimento? E ancora: non è lo stesso Napolitano che dal caso Welby (2006) in poi non ha perso occasione per fare pressioni a favore di una legge pro-eutanasia? Il cui intervento – fuori dai binari concessigli dalla Costituzione - è stato decisivo per uccidere Eluana Englaro?  In quella drammatica occasione, siamo nel 2009, un missionario italiano in Uruguay, padre Aldo Trento, restituì l’onorificenza ricevuta dal presidente della Repubblica l’anno precedente, con queste parole rivolte a Napolitano: «…Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà, quando Lei, con il suo intervento permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica Italiana? Sono sdegnato e ripeto il mio rifiuto al titolo che Lei mi concesse». Non ci risulta che Napolitano si sia mai pentito di quella decisione, né ci risulta che la Chiesa abbia cambiato il suo insegnamento sul valore sacro della vita, sul primato della persona e sulla libertà.

Andiamo avanti: «Passione educativa nei confronti delle nuove generazioni». Non c’è dubbio che abbia passione educativa, ma bisogna vedere i contenuti di questa educazione. Se guardiamo all’esempio personale c’è da imparare il trasformismo e l’opportunismo, se guardiamo a ciò che afferma è un maestro di relativismo. Aperto a tutto ciò che va nella “giusta” direzione, verso cui guida il Parlamento. Non a caso ha sostenuto apertamente il varo di una legge contro l’omofobia, né è un caso che l’elezione per il secondo mandato sia stata salutata con grande soddisfazione anche dalle associazioni Lgbt, che lo ricordano come «il primo presidente della Repubblica ad aver aperto le porte del Quirinale alle associazioni gay, lesbiche e trans il 17 maggio 2010».

«Speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici». Ma come? Sarà pure la nostra classe politica ridotta male, ma come si fa a indicare come garante della democrazia uno che ha costruito la sua carriera politica a servizio del più grande impero totalitario, e contro gli interessi dell’Italia? Fino al crollo del Muro di Berlino ha giustificato il soffocamento di tutti i popoli che anelavano alla democrazia, e ora – senza neanche un cenno di autocritica (tra i comunisti non si usa la parola pentimento) – dobbiamo acclamarlo come speranza e garanzia della democrazia?

«Coerente testimonianza di vita»: su questo in effetti si può anche concordare. Napolitano è sempre stato un coerente uomo di potere, sempre in sella: stalinista con Stalin, brezneviano con Breznev, riformista con Gorbaciov,  poi si è messo in proprio. La caduta del Muro di Berlino gli ha aperto le porte: presidente della Camera nel 1992, ministro dell’Interno con Prodi, senatore a vita con Ciampi e infine presidente della Repubblica dal 2006, carica che ha interpretato da coerente comunista interventista. Un bell’insegnamento sicuro per le nuove generazioni.

Ma il vero punto è: perché una Università pontificia, addirittura l’Università del Papa, sente l’irrefrenabile bisogno di dare la massima onorificenza a siffatto personaggio?

Noi siamo semplici fedeli, magari un po’ ingenui, ma non riusciamo proprio a mettere insieme ciò che la Chiesa insegna a proposito del valore della persona, della libertà, dello sviluppo dei popoli, della sussidiarietà con una onorificenza a un personaggio che ha sempre incarnato l’esatto contrario. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse, perché tanti fedeli si sentono giustamente confusi davanti a questa disinvoltura nell’indicare “maestri” ed “esempi”.

In ogni caso, per noi Napolitano non sarà mai una “speranza” né “un testimone di vita”. E’ solo il simbolo di una politica malata e di un potere che sta conducendo l’Italia lontano dalla democrazia.





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