giovedì 3 ottobre 2013

Per capire l'intervista a Papa Francesco






di don Alfredo M. Morselli


Le recenti dichiarazioni di Papa Francesco, nell’ultima intervista concessa a Eugenio Scalfari, hanno suscitato un certo scalpore: le affermazioni che più controverse sono le seguenti: «il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso», e l’insistenza sul concetto già espresso nella precedente lettera allo stesso Scalfari, sul dovere per ciascuno di seguire la sua coscienza, «quello che lui pensa sia il Bene».

Con le presenti riflessioni intendo semplicemente mettere in pratica, e applicare alle affermazioni di Papa Francesco, il Presupposto che S. Ignazio antepone ai suoi Esercizi Spirituali:
Perché tanto chi dà gli esercizi spirituali quanto chi li riceve maggiormente si aiutino e traggano profitto, occorre presupporre che ogni buon cristiano deve essere più propenso a salvare l'affermazione del prossimo che a condannarla: se non può giustificarla, indaghi come è intesa, e se è intesa male, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi convenienti perché, intesa bene, si salvi (Esercizi Spirituali, § 22).
Ciò che il santo di Loyola presuppone per il buon andamento degli esercizi, va bene per tutta la vita cristiana, e si deve applicare soprattutto a quanto afferma il Romano Pontefice. Le mie riflessioni, di fronte a tanto sconcerto, non sono altro che un doveroso indagare di come alcune espressioni controverse siano intese, propenso più a salvare le affermazioni del Papa che a condannarle, in modo che, intese bene, si salvino.
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Prima di entrare in medias res, vorrei far notare che le recenti affermazioni di Papa Francesco sono inquadrabili come argomentazioni ad hominem, ovvero nient’altro che l’esercizio della carità cristiana nel presentare al prossimo le verità prendendolo per il suo verso, accarezzando il gatto arrabbiato per il verso del suo pelo. Papa Francesco non si rivolge qui solo a Scalfari, ma a tutti i massoni e relativisti di vario grado e specie: chi ha discusso con loro, sa che questi ritengono la fede incompatibile con la ragione, pensando erroneamente che ogni affermazione di una verità assolutamente certa non sia conforme alla natura razionale dell’uomo, quanto piuttosto lesiva della coscienza.
Il Papa cerca di sfatare i pregiudizi relativisti nei confronti della fede:

a) Nessuno ti obbliga ad andare contro coscienza (certo non viene enunciata - ma neppure negata o contraddetta - l’esplicita distinzione tra il concetto di coscienza secondo una corretta antropologia - abito della ragione che stabilisce se un atto in particolare è conforme o meno alla legge eterna di Dio -, e la coscienza secondo il relativista, ovvero il secondo me assunto come assoluto; ma questa è la differenza tra un trattato di teologia e un argomento ad hominem: nel primo caso è necessario dire tutta la verità in modo sintetico e globale; nel secondo si tratta di aiutare un ammalato grave a compiere i primi passi verso la guarigione. Un caro amico aveva formulato questo paradosso: la verità è come il salame; va fatta mangiare una fetta alla volta. Se volgiamo infilare in gola un salame intero al nostro prossimo, va a finire che questi muore soffocato)

b) Nessuno ti vuole adescare o mettere il sale sulla coda, ma ti dobbiamo aiutare compiere un cammino dove il protagonista sei tu: non c’è un cacciatore e una preda, ma uno che ti aiuta ad andare con le tue gambe. In questo senso si deve comprendere il bando al proselitismo.
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Dopo questa introduzione, vediamo ora che cosa si intende con proselitismo: il significato di un nome è dato dall’etimologia e dall’uso: Omettendo la prima parte, non decisiva per i fini della nostra indagine, vediamo l’uso del termine nella Scrittura e nella Tradizione.

A) Nelle S. Scrittura il termine prosèlito compare sette volte, ed indica, nei testi più antichi, un non ebreo che dimora insieme al popolo eletto, e, ai tempi di Gesù, un non ebreo che aderisce in qualche modo all’ebraismo. Il termine ha sempre una connotazione positiva: nel nuovo testamento compare l’espressione “fare prosèliti”, ovvero proprio l’attività di proselitismo. Gesù stigmatizza il modo non corretto - in questo caso non coerente - di fare una cosa giusta.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. (Mt 23,5)
B) Nel magistero il termine viene usato per indicare l’attività delle sette: “È estremamente importante dare una solida formazione ai fedeli, per proteggerli dal proselitismo e dall'influenza di altre religioni” (Giovanni Paolo II alla conferenza episcopale del Sudan, 27-2-2006); “sètte fondamentaliste e nuovi gruppi religiosi portano avanti, in Guatemala,una aggressiva campagna di proselitismo” (Giovanni Paolo II ai Vescovi del Guatemala, 7-4-2006) etc. ; soprattutto si prende atto che il termine ha assunto il significato di modo non corretto di evangelizzazione.

La nota 49 della Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione (C. D.F., 3-12-2007) così suona:
Originalmente il termine «proselitismo» nasce in ambito ebraico, ove «proselito» indicava colui che, proveniente dalle «genti», era passato a far parte del «popolo eletto». Così anche in ambito cristiano il termine proselitismo spesso è stato utilizzato come sinonimo dell’attività missionaria. Recentemente il termine ha preso una connotazione negativa come pubblicità per la propria religione con mezzi e motivi contrari allo spirito del vangelo e che non salvaguardano la libertà e la dignità della persona. In tale senso, il termine «proselitismo» viene compreso nel contesto del movimento ecumenico: cf. The Joint Working Group between the Catholic Church and the World Council of Churches, “The Challenge of Proselytism and the Calling to Common Witness” (1995).
Anche Benedetto XVI afferma:
La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. (…) Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore (…) la miglior difesa di Dio e dell'uomo consiste proprio nell'amore. È compito delle Organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri, in modo che attraverso il loro agire — come attraverso il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio — diventino testimoni credibili di Cristo” (Lettera Enciclica Deus carita est, § 31 c). 
E Papa Francesco ha recentemente affermato, proprio in continuità con Bendetto XVI:
Ma Paolo è anche «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione». Infine «Paolo agisce così perché era sicuro, sicuro di Gesù Cristo. Non dubitava del suo Signore. I cristiani che hanno paura di fare i ponti e preferiscono costruire muri, sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo. E si difendono» erigendo dei muri.
Paolo insegna quale debba essere il cammino dell’evangelizzazione, da seguire con coraggio. E «quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole». E se a frenare è la paura di sbagliare bisogna pensare che ci si può rialzare e continuare ad andare avanti. «Quelli che non camminano per non sbagliare — ha concluso Papa Francesco — fanno uno sbaglio più grave» (Meditazione mattutina 8-5-2013).

Ancora Papa Francesco:
Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile.  Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?”
Anche Paolo VI aveva usato il termine proselitismo in accezione negativa, senza negare la necessità della predicazione della verità e la necessità della conversione:
Diciamo conversione non già nel senso desueto ed improprio di un’estrinseca e trionfalistica conquista o di un superficiale proselitismo, ma in quello autenticamente evangelico dell’orientamento dell’anima verso Dio, sotto la spinta della fede che in lui vede il vertice di tutta la realtà e l’autore dell’ordine morale e, più ancora, per la forza della carità che lo riconosce Padre amoroso e misericordioso. (Paolo VI, Messaggio per la giornata missionaria mondiale del 1973, 26-6-1973)
Non si deve dunque accusare il Papa di non volere più convertire nessuno perché stigmatizza il termine proselitismo, ma di voler favorire un annunzio dato prima di tutto con la testimonianza di fede, con la carità, senza omettere la dottrina e la predicazione, con Cristo al primissimo posto, rivolgendosi a “tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole”.

Paradossalmente tanto le affermazioni di Benedetto XVI, quanto quelle di Papa Francesco, servono anche a rintuzzare la missionologia e l’ecumenismo neo-modernista, secondo i quali l’annuncio della fede diventa proselitismo tout-court. Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II avevano denunciato questo equivoco:

Nel 1973, Paolo VI affermava:
Ma è opportuno oggi, qualcuno si chiede, il proselitismo missionario? Non conviene lasciare a ciascuno la libertà di pensare in buona fede come vuole? Libertà, sì, lasceremo a tutti e adesso più che mai; ma non dobbiamo vincolare l’annuncio della Parola di Dio con la nostra ignavia, o per l’altrui sordità, se tale Parola è la vera Verità e la sola sorgente autentica della beatitudine e della vita. Essa sola ha il vero carisma della pace. (Paolo VI; Angelus 21-10-1973)
Anche Giovanni Paolo II condanna un uso improprio del termine proselitismo:
Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà (Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, 49)
Per quanto riguarda l’ecumenismo, la già citata nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede così recita:
Al riguardo va notato che se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione. In questo caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo attribuito a questo termine (Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, § 12)
Non è proselitismo annunciare il Vangelo, non si può connotare negativamente con proselitismo l’annuncio missionario tout-court, come accogliere un fratello separato che vuole rimuovere tutto ciò che lo separa dalla piena Comunione con la Chiesa Cattolica.

In base a quanto detto ritengo che non ci si debba stracciare le vesti per l’intervista concessa da Papa Francesco a Scalfari, anzi: l’aver parlato con un relativista, che cos’è, se non un’attività missionaria? E nessuno può dire che Papa Francesco abbia inteso lasciar riposare Scalfari nei suoi errori, quanto piuttosto mettergli qualche pulce nell’orecchio, e non solo a lui.

E ricordiamoci quanto diceva l’allora Card. Ratzinger: “non hanno più senso quegli schemi (conservatore-progressista; destra-sinistra) che vengono dalle ideologie politiche e non sono, dunque, applicabili alla visione religiosa (…) Il Concilio voleva segnare il passaggio da un atteggiamento di conservazione ad un atteggiamento missionario. Molti dimenticano che il concetto conciliare opposto a “conservatore” non è “progressista”, ma “missionario”” (Rapporto sulla fede, 1985, pp. 8-9).





MiL  03/10/13



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