lunedì 21 ottobre 2013

Ognissanti, quei frati nel mirino



lanzetta


Tra pochi giorni se ne andrà da Firenze padre Serafino Lanzetta F.I., parroco di S. Salvatore d’Ognissanti




Tra pochi giorni su disposizione del «commissario» a tempo indeterminato che governa la congregazione dei Francescani dell’Immacolata se ne andrà da Firenze padre Serafino Lanzetta f.i., parroco di S. Salvatore d’Ognissanti, dotto teologo, che i lettori del Corriere Fiorentino conoscono. Nelle «piazze» o «chiostri» on line della cattolicità italiana, più che sulla stampa, il commissariamento della congregazione è stato subito commentato; si vedano il sito del vaticanista Sandro Magister, www.chiesa.espressonline.it, 17 settembre 2013, e www.messainlatino.it.

La congregazione nasce sulla fine degli anni Sessanta dal carisma di due fondatori, il primo dei quali, il padre Stefano M. Manelli, è anche il Ministro generale recentemente rimosso. Vi si persegue una vita francescana di dura povertà ma anche di rigore dottrinale e liturgico; non il «francescanesimo» diffuso in cui il Santo è pretesto per una semplificazione sentimentale della fede e per mode ambientalistiche o pacifistiche. La dinamica stessa della congregazione, nella profonda consentaneità alla Chiesa e alla Tradizione, la conduce ad aderire di slancio al motu proprio Summorum pontificum (2007) con cui Benedetto XVI restituiva alla messa latina tridentina — «riformata» da Giovanni XXIII nel 1962 — una condizione di parità rispetto a quella profondamente rimodellata sotto Paolo VI, che è la celebrazione in lingua corrente che conosciamo. Sostenni nel 2007 (e di nuovo, in un confronto col liturgista Andrea Grillo, Ecclesia universa o introversa? pubblicato dall’ed. San Paolo) che la viva compresenza delle due forme del rito, l’una segnata dall’aggiornamento voluto da papa Roncalli, l’altra radicata nella vicenda millenaria della liturgia cristiana, ci è necessaria.

L’istruzione Universae ecclesiae del 2011 e la riflessione più avvertita, a partire da Benedetto XVI stesso, considerano il rito antico un patrimonio prezioso cui devono attingere presente e futuro cristiano. In effetti la messa postconciliare, anch’essa intangibilmente sacrificio di Cristo, è, come prassi, a costante rischio di errori (del genere «la Messa siamo noi»), di banalizzazioni e desacralizzazioni, di sproloqui dall’altare o dall’assemblea. Solo l’esperienza periodica del paradigma liturgico romano ricorda al fedele e al sacerdote cos’è rito; non è poca cosa. In tale prospettiva, anche, la messa latina celebrata ad Ognissanti è un dono. Un punto essenziale, questo. Infatti è nelle facoltà e nei doveri, se si dà il caso, della Congregazione romana per gli Istituti di vita consacrata, già Congregazione per i religiosi, porre sotto indagine un ordine religioso e provvedere di conseguenza. Vi sono però riserve sul metodo con cui «visitatore» (che non ha visitato) avrebbe verificato l’esistenza di interne fratture tra i francescani dell’Immacolata e abusi di governo. Il dispositivo di commissariamento, poi, per la sua drasticità e genericità, è stato giudicato molto severamente (rinvio al «parere» di De Mattei, Palmaro, Sandri e Turco).

Ma se l’atto formale è tema di confronto tra specialisti, lo smembramento delle comunità (per questo il padre Lanzetta viene inviato altrove), il divieto di celebrare secondo il rito antico se non dopo averne nuovamente fatto richiesta a istanza estranea all’istituto — contro lettera e spirito della decisione di papa Ratzinger —, il rifiuto della messa latina agli ambienti di formazione (quasi che i giovani della Congregazione potessero essere contagiati dalla messa latina come da cosa pericolosa!), tutto fa pensare che le ragioni dichiarate siano quelle tecnicamente necessarie al commissariamento, non quelle vere. E si intravede la volontà di umiliare e disarmare una comunità non grande ma robustamente ortodossa, positivamente diversa dall’asfittico e irritabile conformismo «conciliare» (il Vaticano II è altra cosa) che predomina. Qualcuno a Roma suppone — credo a torto — che l’attuale pontificato sia il momento favorevole per questo genere di iniziative repressive. Lo stile dei francescani dell’Immacolata è l’obbedienza; un provvedimento punitivo, anche considerato ingiusto, anzi proprio per questo, è «perfetta letizia». Ma il corpo ecclesiale come tale sussiste sotto la Verità. Colpire comunità o personalità alla ricerca del rigore personale e di fede; colpirle in nome di una sub-ortodossia, lo «spirito del Concilio» nato ai margini del lavoro e delle intenzioni dei Padri conciliari e cristallizzato oggi in forme impoverite e spesso pericolose, è un discutibile servizio reso a papa Bergoglio e ai bisogni dei comuni fedeli.









Nessun commento:

Posta un commento