mercoledì 11 settembre 2013

Mirabile la creazione, più mirabile la redenzione





Nella preghiera che il sacerdote recita quando versa l’acqua nel calice è stata tolta l’espressione che indicava la distinzione tra creazione e redenzione nell’unica storia di salvezza. Nella confusione teologica di questi decenni, poteva essere un aiuto a stare alla semplicità della Tradizione


di Lorenzo Bianchi

La riforma operata dopo il Concilio Vaticano II ha modificato, tra le altre cose, anche alcune parti dell’Ordo Missae, la parte più sacra della celebrazione liturgica, e tra esse le tre formule pronunciate dal celebrante durante l’offertorio. Di queste, la prima e la terza, che accompagnano la deposizione del pane e del vino sull’altare, sono completamente mutate (ciò avvenne perché i riformatori vollero evitare che fosse anticipata la vera offerta del sacrificio, propria del Canone); la seconda, cioè quella pronunciata dal sacerdote mentre versa nel calice il vino e l’acqua, è stata invece privata della sua parte iniziale (cfr. Tabella).

La formula originaria dell’infusione dell’acqua era infatti: «Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti, da nobis per huius aquae et vini mysterium eius divinitatis esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps, Iesus Christus Filius tuus Dominus noster, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen».

Fu stabilita in questa forma e in questo luogo da san Pio V nel Messale promulgato il 19 luglio 1570, ma è testimoniata nell’uso già nei testi dei Messali medioevali: ad esempio, quelli che si trovano a Firenze, Biblioteca Riccardiana, codice 300, dell’XI secolo; a Montecassino, codice CXXVII (XI, 5), datato tra XI e XII secolo; a Roma, Biblioteca Casanatense, codice 614 (B III, 7), datato tra XI e XII secolo; a Napoli, Biblioteca Nazionale, codice VI, G, 38, del XIII secolo.

Nelle celebrazioni medioevali si alterna con altre due formule: «Ex latere Christi sanguis et aqua exisse perhibetur et ideo pariter commiscimus, ut misericors Deus utrumque ad medelam animarum nostrarum sanctificare dignetur»; e: «De latere Domini nostri Iesu Christi exivit sanguis pro redemptione mundi tempore passionis, id est mysterium Sanctae Trinitatis et Iohannes evangelista vidit et testimonium perhibuit et scimus, quia verum est testimonium eius».

La formula è però ben più antica. Deriva, con l’aggiunta dell’espressione «per huius aquae et vini mysterium», da un’orazione la cui composizione si attribuisce a san Leone Magno, papa dal 440 al 461. Questo testo compare, con varianti minime, in tutte le più antiche raccolte di testi liturgici pervenute fino a noi: nel cosiddetto Sacramentario Leoniano, custodito a Verona nella Biblioteca Capitolare, codice LXXXV (80), scritto probabilmente tra la fine del VI e la prima metà del VII secolo ma che risalirebbe appunto a san Leone Magno; nel Sacramentario Gelasiano, attribuito a san Gelasio I, papa dal 492 al 496, il cui esemplare più antico si trova in un codice ora a Roma, nella Biblioteca Apostolica Vaticana (codice Vaticano Reginensis latino 316), e fu scritto materialmente nella Francia del nord poco prima della metà del secolo VIII; nel Sacramentario Gregoriano, attribuito a san Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, il cui manoscritto più antico (Cambrai, Francia, Bibliothèque Municipale, ms. 164 ex Cathédrale 159) risale agli anni 811-812.

Nel Messale promulgato da Paolo VI nel 1970 (e poi anche nella seconda edizione del 1975) la formula appare semplificata in: «Per huius aquae et vini mysterium eius efficiamur divinitatis consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps», mentre l’intero testo di san Leone Magno è stato spostato all’orazione colletta della terza messa del giorno di Natale: ora, dunque, non è recitato più tutti i giorni ma solo una volta l’anno.

La storia di questa trasformazione segue naturalmente quella della revisione dell’Ordo Missae nella sua intera struttura, che fu effettuata dal gruppo di studio n. 10 del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, in attuazione dell’articolo 50 della costituzione stessa (che dice: «L’ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli. Per questo, i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano resi più semplici, si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati o meno utilmente aggiunti; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria»). Questa fu la prima composizione del gruppo (aprile 1964): relatore: Johannes Wagner, direttore dell’Istituto Liturgico di Treviri (Germania); segretario: Anton Hänggi; membri: Mario Righetti, Theodor Schnitzler, Pierre Jounel, Cipriano Vagaggini, Adalberto Franquesa, Pierre-Marie Gy, Joseph A. Jungmann.

Alla VI adunanza del Consilium, dal 19 al 26 ottobre 1965, il relatore monsignor Wagner presentò lo schema completo di un nuovo Ordo Missae, che venne discusso e votato. Il 25 ottobre il cardinale Gaetano Cicognani, segretario di Stato, scriveva però al presidente del Consilium, il cardinale Giacomo Lercaro: «Compio il venerato incarico di significarLe che, essendo in esame presso codesto Consilium tutto l’Ordo Missae, Sua Santità ha espresso l’augusto desiderio – attesa la ben nota delicatezza dell’argomento – di conoscere quale revisione si stia preparando; se si tratti, cioè, di semplici ritocchi o di sostanziali riforme, per poter, eventualmente, dare direttive prima che le conclusioni di detto studio, destinate alla stampa, siano sottoposte alla Sua sovrana considerazione».

Analoghe richieste del Papa avvennero il 10 dicembre 1965 e il 7 marzo 1966; finché il 15 novembre 1966 la Segreteria di Stato comunicò che il Papa aveva deciso che gli schemi più importanti della riforma liturgica fossero portati al sinodo dei vescovi dell’ottobre 1967. Il 18 maggio 1967 fu pubblicato un volumetto contenente le variazioni apportate fino ad allora al rito della messa (Variationes in Ordinem Missae inducendae ad normam Instructionis S.R.C. diei 4 maii 1967, Typis Polyglottis Vaticanis, 1967): le orazioni dell’offertorio erano ancora quelle del Messale di san Pio V.

Il nuovo schema riformato elaborato dal Consilium, contenente anche i nuovi formulari per l’offertorio, fu invece sottoposto, come previsto, al sinodo dei vescovi del 1967, che il 26 ottobre si pronunciò, oltre che su altri quesiti, in particolare su quello relativo al gradimento della nuova messa, anche su questo. Furono favorevoli 71 vescovi, contrari 43, mentre 62 chiedevano variazioni.

Per la liturgia eucaristica la principale contestazione fu a proposito della povertà dell’offertorio: si richiedeva che si conservassero le preghiere e i riti in uso, e specialmente l’infusione dell’acqua nel vino con la preghiera che l’accompagna. Nel gennaio 1968 fu eseguita in presenza del Papa una messa sperimentale in cui furono utilizzate le nuove formule offertoriali, proposte in base ad una ricerca fatta dal professor Jounel per incarico della segreteria del Consilium (Annibale Bugnini); la prima e la terza cambieranno ancora nell’aprile del 1968, mentre quella dell’infusione dell’acqua era già nella forma odierna: «Per huius aquae et vini mysterium eius efficiamur, Domine, divinitatis consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps, Iesus Christus, Filius tuus Dominus noster». Nella successiva X adunanza generale del Consilium (23-30 aprile 1968) le nuove formule dell’offertorio, corrispondenti, esclusi alcuni particolari, a quelle attuali, furono approvate.

Tutto il nuovo Ordo Missae fu inviato al Papa il 10 maggio 1968, a firma del relatore del gruppo di studio n. 10 Wagner; fu poi inviato anche ai 14 cardinali prefetti dei Dicasteri della Curia. Le loro osservazioni pervennero al Papa, che le fece esaminare da due periti, monsignor Carlo Colombo, teologo, e monsignor Carlo Manziana, vescovo di Crema. Nonostante le obiezioni dei cardinali riguardo alle formule dell’offertorio, monsignor Manziana ribadì al Papa che le nuove dovessero considerarsi felici, in quanto toglievano l’equivoco del “piccolo Canone” (cioè la ripetizione di espressioni presenti nel Canone). In particolare, per la formula dell’infusione dell’acqua, ne faceva notare la natura di “oremus” natalizio, nell’ampiezza non adatto, a suo giudizio, all’azione compiuta: di qui il taglio della parte iniziale.

Tuttavia Paolo VI, in una comunicazione al Consilium del 22 settembre 1968, fatta pervenire con la nota «si prega di tener conto, con libero e ponderato giudizio, di queste osservazioni», ribadì esplicitamente il suo dubbio (assieme a numerosissimi altri su altre questioni) sul taglio della formula: «È necessario abbreviare mutilando la formula “Deus, qui humanae substantiae etc.”?»; ma il Consilium, nell’XI adunanza generale (8-17 ottobre 1968), facendo proprie le giustificazioni di monsignor Manziana, non ritenne di dover seguire su questo punto la richiesta del Papa, e il testo rimase così come è ora. L’Ordo Missae fu approvato dal Papa il 2 novembre 1968, e reso pubblico (dopo ancora altre correzioni che Paolo VI richiese di fare inserire) il 2 maggio 1969, per entrare in vigore il 30 novembre dello stesso anno.

Il taglio della formula dell’infusione dell’acqua è stato dunque compiuto, come sembra di capire, per motivi di ampiezza, o anche di presunta erronea collocazione. Come se fosse, per usare le parole della costituzione conciliare, uno degli «elementi […] col passare dei secoli […] meno utilmente aggiunti». Eppure, «Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti» contiene, in una sola espressione, tutta la dinamica reale della storia della salvezza. Mirabile infatti è la creazione dell’uomo, ma più mirabile è la sua redenzione. Ripetere ogni giorno questa preghiera poteva aiutare vescovi e sacerdoti a rimanere nella semplicità della Tradizione della Chiesa, davanti alla confusione teologica di questi decenni, che ha origine anche nella confusione tra natura e grazia.



Tabella comparativa

Orazione che recita il celebrante mentre versa l’acqua nel calice

Messale di san Pio V (1570):

«Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti: da nobis per huius aquae et vini mysterium, eius divinitatis esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps, Iesus Christus Filius tuus Dominus noster: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus: per omnia saecula saeculorum. Amen».

Messale di Paolo VI (1970):

«Per huius aquae et vini mysterium eius efficiamur divinitatis consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps».


Traduzione italiana:

«L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana».





http://www.30giorni.it/articoli_id_14320_l1.htm



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