giovedì 4 luglio 2013

UNA ENCICLICA SCRITTA A QUATTRO MANI

di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

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Abbiamo già tutti notato l’attitudine di Papa Francesco ad uscite di carattere bonario e spiritose, che ce lo rendono simpatico, assai insolite nello stile dei Papi precedenti. Esse non compromettono la dignità del suo altissimo ufficio, ma rendono il Papa amorevolmente vicino e benefico a tutti per la sua universale apprezzata umanità.

Una di queste recentissime uscite è il modo col quale il Pontefice ha voluto designare un prossimo evento di somma importanza, mai accaduto in tutta la storia della Chiesa e che probabilmente non accadrà mai più: la preparazione, fatta assieme con Benedetto XVI, di un’enciclica sulla fede: quale argomento si addice maggiormente al Successore di quel Pietro, al quale Cristo dette il famoso comando: “Confirma fratres tuos”?

L’accenno alle “quattro mani” sembrerebbe un’allusione alla passione di Papa Benedetto per il pianoforte, che prevede appunto sonate a quattro mani. Ho di ciò il dolce ricordo dei miei cari genitori entrambi pianisti.

Da chi del resto noi cattolici e tutti gli uomini di buona volontà ci aspettiamo di essere maggiormente e decisivamente istruiti, confortati, guidati, rafforzati e corretti nella fede, se non dal “dolce Cristo in terra”? Da quale Maestro in questo mondo riceviamo maggiormente e con maggior sicurezza la verità salvifica della Parola di Dio, la “spada dello Spirito”, con la quale possiamo scovare le insidie del “padre della menzogna” e respingere i “dardi infuocati del maligno”? Dove maggiormente attingere e da quale maggiore autorità su questa terra accogliere in maggior pienezza quel Vangelo che Cristo ci ha comandato di trasmettere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli?

Tante volte ho sentito sulla bocca di mio padre questo saggio proverbio: “A mali estremi, estremi rimedi”. Uno dei compiti principali per noi cattolici, inculcatoci dagli ultimi Papi a cominciare da Paolo VI, una consegna, una consapevolezza che ci rende adatti a svolgere oggi la nostra missione, è quella di renderci conto con lucidità, oggettività, senso di responsabilità, ma anche serenità e fiducia, dellagravissima crisi di fede oggi diffusa nella Chiesa in tutti gli ambienti e a tutti i livelli, escluso, s’intende, il Papa insieme col Magistero della Chiesa, i quali fruiscono, come è noto, del carisma dell’infallibilità. Ma, come dice il Concilio Vaticano II, lo stesso popolo di Dio, in quanto nel credere è unito ai suoi pastori, gode di questo infallibile carisma di verità.

Naturalmente questa presa di coscienza va congiunta con la serena certezza soprannaturale che portae inferi non prevalebunt. Ciò ci preserva da quella stolta allegria della quale soffrono oggi, quasi a nascondere un oscuro disagio interiore, tanti cattolici convinti di esprimere così la gioia della fede. In realtà essa ha l’aspetto della baldoria del ricco epulone che sfacciatamente non bada al povero Lazzaro sofferente per i mali della Chiesa e la mancanza di verità.

Ormai è noto come si configura questa crisi mai avvenuta in tutta la storia della Chiesa: come scomparsa della comune, fedele, completa ed indiscussa adesione da parte di chi si dice cattolico a tutti i dogmi della fede così come essi ci vengono insegnati dal Magistero della Chiesa e sono riassunti e spiegati nel Catechismo della Chiesa. Il credere, la fede non sono più concepiti come adesione di tutti a un patrimonio oggettivo, universale e comune di verità, ma ognuno, come singolo ma soprattutto come gruppo, si sente autorizzato sotto i pretesti più vari – il “dialogo”, lo “ecumenismo”, il “pluralismo”, l’“esigenza pastorale”, la “libertà”, la “modernità”, lo “spirito del Concilio”, il prestigio internazionale di quel dato teologo, il contatto con lo Spirito Santo, ecc. -.

Non c’è più la Chiesa, ma le chiese, e la propria chiesa è la Chiesa. Non c’è più lafede, ma fedi. Quindi chi se ne importa delle altre? La propria è la migliore. E l’importante è, per questi pseudocredenti, appartenere a quella che si ritiene la Chiesa moderna e avanzata. Si tratta, come già osservò Paolo VI, di un’opera di autodemolizione della Chiesa da parte di sé stessa.

Il Papa? Sì certo c’è anche il Papa. Preghiamo per lui nella Messa. Ogni tanto ha qualche buona uscita. Ma egli non può impormi le sue idee, spesso superate. Certo, è libero di esprimere le sue opinioni. Se mi va, le accolgo. Ma oggi la guida della Chiesa si trova solo in quei dati pubblicisti, media, riviste, teologi, profeti, vescovi e cardinali, di fama internazionale. E’ quello che Paolo VI chiamava “magistero parallelo”. Il Papa dovrebbe adeguarsi ed approvarlo. Finchè bacia i ragazzini va bene, ma per favore non ci parli del peccato originale o del demonio o di etica sessuale o di giustizia sociale.

Un aspetto dell’attuale crisi di fede è dato dal fatto che non si sa più che cosa è la fede. Si parla spesso, certo, di “fede”, ma con quanta adesione a ciò che la Chiesa intende con questa parola? Una definizione fondamentale della fede è contenuta nel Concilio Vaticano I: ma quanti ricordano questo insegnamento e ad esso si rifanno?

Indubbiamente dai tempi di quel Concilio la nozione di fede è stata ulteriormente approfondita, tenendo conto anche del progresso degli studi biblici, della riflessione teologica, della stessa esperienza liturgica, del dialogo ecumenico, nonché della vita di fede del popolo di Dio, sino alla nozione di fede che si può ricavare dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il quale, se non dà una definizione esplicita della fede, giacchè suppone quella del Vaticano I, tuttavia, mostrandoci nella Dei Verbum una nozione più approfondita della Rivelazione, implicitamente suggerisce un concetto di fede più elevato. Tale concetto è stato ripreso dall’enciclica del Beato Giovanni Paolo II Fides et ratio.

Si tratta sempre naturalmente di quella virtù soprannaturale per la quale fidando sull’autorità divina che ci parla, noi fiduciosamente e docilmente accogliamo per vero quanto ci è rivelato da Nostro Signore Gesù Cristo per il tramite della Chiesa; ma la nozione moderna di fede propostaci dal Magistero, salvi tutti questi presupposti irrinunciabili, sottolinea maggiormente la necessità che la fede non resti una semplice adesione intellettuale ad un insieme di verità, ma che tale adesione comporti nel contempo una maggiore attenzione alla stessa Persona del Rivelatore, che si rivela come verità divina con la sua stessa Persona, Egli che ha detto di sé: “Io sono la Verità”.

Dunque nessuna disistima nei confronti delle nozioni di fede, i dogmi, che restano, come insegnò S.Pio X contro il modernismo, come luce indefettibile di salvezza per la nostra mente, ma proprio sulla base del dogma e della dottrina, la fede dev’essere apertura del cuore e di tutto il nostro essere a Cristo stesso che si rivela non solo con la parola ma con ogni gesto ed evento della sua vita e in special modo nella croce e nella risurrezione.

Volendo rifarci alla tradizione, si tratta in fondo di un richiamo a quella che in passato si chiamava la “fede viva”, animata dalla carità, per ricordarci che vera fede salvifica non è semplice fede teoretica, che senza la carità sarebbe fede “morta” ed infruttuosa, ma quella fede che, come esorta S.Giacomo, sfocia nelle opere.

Il che naturalmente non deve portarci a confondere la fede con la carità e per di più una “carità” emozionale e torbida non basata sulla verità, perché questa sarebbe falsa carità. Ed è però questo il rischio attuale di tanti nostri ambienti ecclesiali. Per questo, ritengo che la prossima enciclica “a quattro mani” dovrà ricordare l’essenziale legame della fede con la verità e che solo la verità è principio della carità e della libertà, anche se è vero che è solo in un clima di libertà e di carità che si trova veramente Cristo e quindi la salvezza.

La crisi di fede odierna sorge soprattutto da un fraintendimento circa questo modo della Chiesa contemporanea di intendere la fede, modo che non è affatto in rotta - e come potrebbe esserlo? - col concetto di fede del Vaticano I o degli insegnamenti di S.Pio X o Pio XII, ma che al contrario è in perfetta continuità con essi, con la sola differenza che oggi la Chiesa sa meglio del passato che cosa è la fede. E ciò è del tutto normale e conforme al cammino stesso della Chiesa nella storia, per il fatto che essa non fa che progredire nella conoscenza della Parola di Dio sotto l’assistenza dello Spirito Santo.

L’attuale grave e diffuso fraintendimento della nozione di fede non è altro in sostanza che una ripresa di quel falso concetto di fede che fu condannato da S.Pio X nella Pascendi. Come mai accade oggi questo?

Bisogna dire in verità che già i modernisti avevano intuito la necessità di dare alla fede un aspetto più personalistico ed esperienziale oltre che dottrinale e dogmatico. Questa istanza in sé stessa, non assente dallo stesso concetto luterano di fede, non era sbagliata. Lo sbaglio dei modernisti, come fu già quello di Lutero, fu di relativizzare l’aspetto di mediazione dottrinale offerto dal Magistero della Chiesa, risolvendo lo stesso atto di fede in una “esperienza” o “sentimento preconscio” immediato della presenza interiore di Dio nella coscienza, prima ancora di qualunque formulazione concettuale, la quale pertanto perdeva la sua funzione di essere il canale normale della conoscenza della verità rivelata.

I modernisti poi, in base a questa loro esperienza preconcettuale meramente soggettiva pretendevano di erigersi a giudici degli insegnamenti dogmatici della Chiesa scegliendo solo quelli che erano conformi a questa loro “esperienza” e cadendo quindi inevitabilmente nell’eresia e nella perdita della vera fede.

Ma oggi non c’è solo fraintendimento circa l’atto di fede. Manca anche la disciplina circa i contenuti della fede. Non si intendono più questi contenuti come valori universali ed immutabili, base necessaria dell’unità della Chiesa e della comunione fraterna e con Dio. Presso molti si dà un’interpretazione della verità di fede in un senso dissonante da quello inteso dal Magistero della Chiesa. Alcuni negano il valore dogmatico di contenuti che invece la Chiesa presenta come dottrina di fede. Altri pensano che ciò che un tempo la Chiesa riteneva esser di fede, oggi non lo sia più o che essa sbagli nel determinare questi contenuti. Altri ritengono che non si sappia quali e quanti sono i dogmi della fede. Altri ritengono che non si possa stabilire con certezza se un contenuto sia o non sia di fede. Altri pensano che la possibilità di interpretazione di un pronunciamento della Chiesa sia talmente ampia da ammettere l’esistenza parimenti legittima di interpretazioni contradditorie fra di loro. Altri pensano che la Chiesa non possa distinguere nettamente ed assolutamente ciò che è vero da ciò che è falso, sicchè si potrebbe restare cattolici aderendo sia all’una che all’altra tesi. Altri pensano che la fede sia inscindibilmente connessa col dubbio o addirittura con l’incredulità. Altri pensano che la fede non sia altro che lo sviluppo supremo della ragione. Altri credono che la fede sia “scandalo” per la ragione.

Credo che in questa situazione di caos l’enciclica potrà essere una luce potente e decisiva per tutti gli uomini di buona volontà in cerca della verità, non solo cattolici ma anche non cattolici, non cristiani e non credenti. A tal riguardo credo che potrà essere utile mostrare a tutti, facendo appello al valore universale della ragione e della spinta al bene che tutti naturalmente possiedono, il valore umano e morale della fede cattolica, la sua ragionevolezza ed onestà, i benefìci immensi che essa, applicata alla vita, ha donato e dona alla storia dell’umanità, valorizzando tutto ciò che c’è di vero e di buono, ed eliminando il falso e il male.

Sarà importante mostrare la natura e la pericolosità di quella falsità che si oppone alla fede e la distrugge: l’eresia. E’ impossibile promuovere la vera fede senza combattere e vincere l’eresia, così come è impossibile promuovere la salute senza combattere le malattie. Come nell’umanità ferita dal peccato la salute è insidiata dalla malattia, così la vita di fede in ogni tempo è falsata dall’eresia.

Come è dannoso l’allarmismo nel campo della salute, così lo è a proposito delle eresie. Ma è altrettanto e forse anche peggio sottovalutare il pericolo delle eresie, così come è da sconsiderati trascurare i problemi della salute. Come occorrono buoni medici, così anche oggi occorrono teologi preparati che aiutino il Magistero nella confutazione delle eresie.

Non sempre l’eretico difende con arroganza il suo errore, ma capita anche che ci sia chi erra senza volerlo, soprattutto in questi tempi di ignoranza religiosa. La lotta contro l’eresia va intesa più come una difesa dei fedeli dal pericolo dell’errore che non una difesa della verità, giacchè è meglio dire che è la verità che difende il fedele, così come si pubblicizza un vaccino contro un’epidemia non tanto per sostenerne il valore quanto piuttosto per preservare la gente dal contagio.

E’ bene quindi che il Magistero torni ad affrontare il problema delle eresie più spesso e con maggior precisione, come fa il medico premuroso che non si accontenta di cure generiche, ma si premura diligentemente e con competenza di offrire cure specifiche, le sole veramente efficaci per la guarigione dei malati. Non si tratta più certo di tornare ad una certa esagerata severità del passato, ma di correggere fraternamente gli erranti promovendo le loro qualità positive[1].

Per ovviare a questo grave compito si tenga conto inoltre che Papa Benedetto ha avuto una lunga esperienza come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per cui è altamente qualificato a trattare questo delicato argomento con quella carità ma anche con quella forza che ha caratterizzato il suo straordinario operato pastorale.

Come una crisi di fede delle attuali proporzioni non è mai avvenuta nella Chiesa, altrettanto oggi assistiamo a un fatto meraviglioso ed inaudito, vero dono straordinario dello Spirito Santo che sbaraglia le forze nemiche, rinnova la faccia della terra e non si ripete mai nelle sue potenti creazioni per la salvezza dell’uomo: due Papi che assieme illuminano la Chiesa sul valore inestimabile della fede, entrambi forti del carisma dell’infallibilità: un colpo terribile contro il potere delle tenebre che sembra da tempo avere invaso la Chiesa, un potentissimo detersivo atto a spazzar via quella sporcizia che si trova nella Chiesa e che già fu denunciata da Papa Ratzinger nella famosa meditazione del Venerdì Santo del 2005.

Naturalmente dobbiamo pensare che Papa Benedetto, benchè Papa, sarà sottomesso come ogni buon fedele all’attuale Vicario di Cristo che gli succede alla guida della Chiesa. Ma nel contempo è altrettanto evidente che di fatto, salva restando questa sua condizione di comune fedele, in forza del suo pontificato emerito e dell’altissimo prestigio della sua personalità di teologo, non potrà non dare alla preparazione dell’enciclica un contributo specialissimo, del quale il nuovo Papa certamente non potrà non tener conto.

Una della maggiori urgenze della Chiesa di oggi è che l’episcopato riprenda in mano la sua sacra missione di magistero dottrinale a fianco e sotto il Papa, cum Petro et sub Petro, senza lasciarlo solo nella buona battaglia. I vescovi, salvo qualche eccezione, sono dalla fine del Concilio troppo condizionati dai teologi modernisti, i quali, sull’esempio dei teologi protestanti che non hanno da obbedire ad un episcopato, si atteggiano ad avanguardia della Chiesa privi di quell’assistenza infallibile dello Spirito Santo che invece Cristo ha garantito solo ai successori degli apostoli sotto la presidenza del Papa.

Quante bellissime encicliche i Papi hanno scritto dai tempi di Paolo VI! Ma ben poco essi possono ottenere dal popolo cristiano senza una stretta collaborazione da parte dell’episcopato, degli organi educativi ed accademici e degli istituti religiosi. La commovente presenza di due Papi che lo Spirito Santo ci ha donato sciolga i cuori induriti nel sonno, nella presunzione e nella disobbedienza e li volga a vero spirito di servizio e al compimento del vero bene della Chiesa e delle anime.





[1] Ho cercato di affrontare questa questione nel mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Vivere In, Monopoli (Bari), 2008.


http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2556:una-enciclica-scritta-a-quattro-mani-di-p-giovanni-cavalcoli-op&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123

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