giovedì 30 maggio 2013

La fede della Chiesa nel Corpo e nel Sangue di Cristo: non solo un simbolo







di Inos Biffi

Ogni messa è la festa del Corpo e del Sangue del Signore; ne è la presenza reale e necessaria, poiché la Chiesa non può fare a meno del Corpo di Cristo, ossia della sua passione e dell'amore che in quel Corpo ritrova e assume. Oggi viene esaltata soprattutto la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia: la solennità è nata per proclamarla e farne oggetto di adorazione, quando sorse il rischio che nella coscienza cristiana tale presenza si obnubilasse.


La vigilia della sua passione Gesù non ha lasciato un semplice simbolo di se stesso, o una sua memoria affidata solo al desiderio o all'intensità del loro affetto: egli ha lasciato la sua persona nella forma del suo sacrificio; ha consegnato la sua vita (il suo sangue) non trattenuta per sé, ma offerta per la liberazione dell'uomo. Il simbolo religioso, commemorativo, non è la novità cristiana: questa novità consiste nel fatto sorprendente che nel modo e nell'indicazione del segno del pane e del vino e quindi di una convivialità umana, Cristo ha dato se stesso; così, il segno eucaristico non è indice di lontananza, rimando a un'assenza, ma tramite di vera presenza. Del resto con il Signore Gesù i simboli non contano più; alla loro ombra si è sostituita la Sua verità; alla loro attesa la Sua venuta, nell'Eucaristia Gesù ha reso disponibile se stesso, poiché l'uomo non ha bisogno di altri che di lui e dello Spirito che viene da lui. Professare la presenza di Gesù nell'Eucaristia, nella verità del suo Corpo e del suo Sangue, vuol dire riconoscere che da lui viene la nostra salvezza: dalla comunione personale e insostituibile che con lui si stabilisce.


Il segno eucaristico è il convito: Gesù offre il suo Corpo e il suo Sangue perché siano cibo e bevanda dei suoi discepoli, creando una condivisione di vita e di destino. La teologia e la poesia cristiana lo proclamano dal tempo della festa del Corpus Domini: «O sacro convito, dove Cristo è ricevuto come cibo».


Non è certamente la Chiesa con la sua fede a trasformare il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo: nella fede della Chiesa agisce la volontà e la forza di Gesù Cristo, mediante il dono dello Spirito. Noi non possiamo disporre del Corpo del Signore: soltanto lo possiamo ricevere come dono, che viene dall'intervento di Gesù Cristo che trasforma il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue. Come per virtù dello Spirito Santo Gesù è stato concepito nel grembo di Maria, così per lo stesso Spirito è presente nella Chiesa - nel sacramento dell'Eucaristia - il Corpo del Signore.


Cristo stesso, con il suo Spirito, è l'autore della “transustanziazione”, di quella trasformazione, per cui tutta l'identità del pane e del vino è mutata nell'identità del Corpo e del Sangue del Signore, permanendo unicamente l'apparenza o meglio il segno. Come spiega sant'Ambrogio: «Quando si viene a compiere il venerabile sacramento, il sacerdote usa le parole di Cristo. È dunque la parola di Cristo a compiere questo sacramento. Il pane, prima di essere consacrato, è pane; quando sono pronunziate le parole di Cristo, è corpo di Cristo; prima delle parole di Cristo il calice è un calice pieno di vino e di acqua; quando le parole di Cristo hanno operato, nel calice si forma il sangue che ha redento il popolo. La parola di Cristo ha il potere di trasformare tutte le cose» (De sacramentis, iv, 4, 14; 5, 23). Il ministero sacerdotale è un servizio alla signoria di Gesù.


Per parte loro, le nuove preghiere di consacrazione hanno perspicuamente messo in luce l'azione transustanziante dello Spirito: «Manda il tuo Spirito - prega il celebrante - a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri».


Ancora sant'Ambrogio esclamerà: «Da te il nostro ministero riceve il valore di sacramento. Non è della potenza umana comunicare i beni divini, ma è dono tuo, o Signore» (cfr. De Spiritu Sancto, 1, Prol., 17). Ossia: sei tu a conferire ai nostri gesti esteriori un intimo valore sacramentale, efficace di grazia. E questa è la ragione profonda dell'umiltà del servizio sacerdotale. Da secoli la Chiesa, per indicare la mutazione eucaristica, usa il termine “transustanziazione”; se la sua origine è filosofica, esso è ritenuto dalla Chiesa termine prezioso e particolarmente adatto per dire che il pane e il vino non ricevono nell'Eucaristia soltanto un significato e una finalità nuova, ma sono radicalmente trasformati, per coincidere «veramente, realmente, sostanzialmente» (come dice il concilio di Trento, Decretum de Sanctissimo Eucharistiae Sacramento, can. 1; Denz. 1651) col Corpo e col Sangue del Signore.


Se c'è un tempo in cui ci appare soprattutto necessaria la conservazione di questo linguaggio è il nostro, segnato dalla tentazione di una pura simbolicità eucaristica. Anche dopo la celebrazione Cristo rimane presente nell'Eucaristia con il suo Corpo e il suo Sangue, con la sua persona; per questo continua il suo culto di adorazione da parte della Chiesa: il culto che la festa del Corpo e del Sangue del Signore intende specialmente esaltare. L'Eucaristia nel tabernacolo è come lo spazio della presenza del Signore nella nostra storia. Il sacramento non distanzia e non separa, ma inclina e dispone all'incontro, in prosieguo con la comunione. La centralità della messa non deve mettere in ombra quella Presenza eucaristica fuori di essa, che così felicemente e intensamente suscita la preghiera come relazione viva con la persona di Cristo, “abitualmente” incontrabile nel segno della sua stabile dimora sacramentale con la sua Chiesa. L'adorazione eucaristica è stata uno dei più forti stimoli alla diffusione e all'approfondimento dello spirito di orazione. Sarebbe un deplorevole impoverimento se dovesse declinare per una male intesa riforma liturgica. E va detto al riguardo che l'aver talora rarefatto e immiserito, se non contestato, i segni della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia non è stata una pastorale avveduta, se pur addirittura un occultarsi dei segni non sia stato in qualche caso persino l'indice di un affievolirsi della fede nella stessa Presenza reale.


«O Gesù che ora cerco di contemplare velato nel segno - pregava appassionatamente il teologo dell'Eucaristia, san Tommaso - appaga il mio bruciante desiderio di poter un giorno ammirare il tuo volto e di essere beato nella visione della tua gloria» (Adoro te, devote): l'adorazione eucaristica sollecita e nutre il desiderio di un incontro con Cristo, oltre la fede, in un appuntamento e in un incontro faccia a faccia, che duri per l'eternità.




©L'Osservatore Romano 30 maggio 2013

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