giovedì 9 maggio 2013

CHI È ARTISTA E CHI È ARTISTA CRISTIANO.





Autoritratto 2010

di Rodolfo Papa

Cosa vuol dire “essere artisti”? Chi è artista? Nella contemporaneità si è affermata l’opinione che essere artista non sia una condizione particolare, ma che ciascuno sia un artista, in quanto non servirebbero talenti e formazione, ma l’unico ingrediente necessario sarebbe la creatività libera da ogni schema. Nelle biografie di molti artisti del Novecento, emergono inoltre abitudini disordinate, atteggiamenti eccentrici, comportamenti autodistruttivi, tanto che sembrerebbe che tale tipo di vita sia un ingrediente necessario per riconoscere il vero artista, sia esso un pittore, uno scultore, un musicista, un poeta. Ma al di là di queste posizioni, evidentemente poco consistenti, rimane la domanda: chi è l’artista? cui possiamo aggiungere una domanda ulteriore, fondamentale per le nostre riflessioni: chi è l’artista cristiano? Nell'arte cristiana, ovvero nell’arte che è al servizio della Chiesa e che nei secoli è stata capace di annunciare Cristo e alzare un inno di lode a Dio attraverso inestimabili opere, ci sono regole o principi che individuano l’identità professionale, morale e spirituale dell’artista?

Possiamo trovare un aiuto per la nostra riflessione, nel Libro di pittura scritto da Cennino Cennini alla fine del XIV secolo; egli innesta la storia della nascita dell’arte sugli eventi della creazione narrati nel libro della Genesi, e pone a fondamento della pratica artistica una riflessione di tipo morale: all'arte non si perviene con sete di guadagno, né per vanagloria, ma con un’umiltà e una perseveranza tali da sopportare ogni sacrificio necessario per impararne tutte le regole e praticarne tutti i principi.

Ulteriore aiuto alla riflessione può essere trovato nel Libro di pittura di Leonardo da Vinci, ovvero nella raccolta dei suoi appunti e dei suoi studi composta postuma dall’allievo Francesco Melzi e di cui abbiamo copia nel Codice Urbinate 1270 conservato nella Biblioteca Vaticana, di cui Carlo Pedretti ha fornito un’edizione critica nel 1995. Leonardo indica all’artista un cammino di formazione tecnico e morale, in cui hanno un ruolo fondamentale le regole e i principi praticati fino a diventare virtù, fino a proporre il superamento dei maestri in una gara di abilità e sapienza: “tristo l’allievo che non supera il maestro”.

Le certezze di Cennini e di Leonardo poggiavano su una solida tradizione, che non poneva in discussione l’importanza delle regole di formazione. Nell’antichità, possiamo trovarne esempi noti in Vitruvio e Plinio, ma anche in Columella per quanto riguarda l’arte dell’agricoltura. Si tratta di una tradizione che, con innovazioni e ripensamenti, arriva fino al XX secolo, testimoniata dagli innumerevoli trattati.
Da questa tradizione possiamo trarre l’importanza del binomio arte e regole, e soprattutto possiamo comprendere come tale impostazione sia realmente liberatoria per la creatività dell’artista. Nella lunga storia delle arti, le regole hanno giocato l’importante ruolo di formare gli artisti, di far crescere senza opprimere, di spronare senza imprigionare, di sciogliere senza legare. Le regole tracciano un percorso, rendendo accessibile una tecnica che può diventare il fondamento dell’azione, la condizione di possibilità per la crescita.

Oggi, riusciamo a comprendere l’importanza della tecnica e delle sue regole soltanto in campi molti ristretti; un esempio molto divulgativo riguarda il mondo dello sport: nell’atletica, nei tuffi, nello sci, nel calcio … la bella esecuzione è tale perché è anche gesto tecnico. Infatti, senza una adeguata preparazione tecnica, nessuno sport può essere praticato.

Nel campo delle arti gli esempi diventano più difficili. Nella musica rimane più evidente la necessità di possedere il linguaggio e la sua tecnica; nel campo della pittura, invece, le regole del mercato hanno preso sopravvento, aiutate dai critici che teorizzano che l’arte non deve avere vincoli e principi, se non appunto quelli -imperanti ma non esplicitati- dello stesso mercato. Così come la tanto reclamata libertà dell’artista da ogni regola spesso si traduce paradossalmente in dipendenze di tipo non-artistico, come l’alcool, le droghe o altri vincoli che coartano radicalmente la libertà della persona, ottundendo la ragione. Del resto, le teorie artistiche che sottolineano con una certa ossessiva ricorrenza che l’artista è un essere disadattato e solitario, finiscono quasi per prescrivere il malessere psichico ed esistenziale come un prerequisito fondamentale. Così l’arte che dovrebbe donare la felicità diventa un labirinto di dolore, interamente attraversato dall’ansia di successo. Cosicché alla figura dell’artista si sovrappone quella di Faust disposto a fare patti con il Diavolo, o quella di Prometeo, che sfida gli dei per rubargli il fuoco.

Il centro del percorso creativo dell’artista, in un siffatto contesto, è l’artista stesso. In un totale egotismo, l’arte esprime l’io dell’artista e null’altro.
Se riflettiamo bene, invece, comprendiamo che l’artista per essere tale dovrebbe possedere le regole del suo mestiere, e che il presupposto per violarle e superarle è appunto conoscerle. Inoltre il malessere e la perversione non sono richiesti all’artista in quanto tale, ma solo all’artista così come è teorizzato da certi critici e da certi mercanti contemporanei.
Se questo osservazioni valgono per l’artista in generale, a fortiori acquistano ragione nei confronti dell’artista cristiano.
Si può parlare di Cristo a partire da queste posizioni teoriche e raggiungere le alte vette dell’arte sacra cristiana? L’artista che lavora per la Chiesa può essere identificato dalla dissolutezza, dall’ignoranza del mestiere, dal narcisismo?

Non stiamo parlando di un giudizio sulla vita dell’artista, perché questo non dovrebbe interessare allo storico e al teorico dell’arte, ma stiamo riflettendo proprio sulle opere d’arte, sulla possibilità che senza una formazione tecnica e artistica, e senza virtù umane, si possano produrre opere belle adatte alla preghiera e alla liturgia. Inoltre, aggiungo una considerazione più importante, e cioè che per lavorare per Cristo, ad ogni livello e in ogni campo, c’è bisogno di una adesione a Cristo stesso. Con molta chiarezza Joseph Ratzinger spiega che la sacralità dell’immagine implica la vita interiore dell’artista, il suo incontro con il Signore: «La sacralità dell’immagine consiste proprio nel fatto che essa deriva da un vedere interiore e così conduce a un vedere interiore. Deve essere frutto di una contemplazione interiore, di un incontro credente con la nuova realtà del Risorto e, in questo modo, deve introdurre nuovamente ad uno sguardo interiore, nell’incontro orante con il Signore» (Joseph Ratzinger, Teologia della liturgia, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 131). Aggiunge anche che «la dimensione ecclesiale è essenziale all’arte sacra» (ibid.), mettendo all’attenzione che l’artista cristiano non può vivere al di fuori della Chiesa stessa.

Gesù nel Vangelo di Luca ci avverte: “là dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34) . Se il nostro tesoro non è Cristo, ma siamo noi stessi, i nostri vizi, il successo, allora non si ha il cuore adatto alla produzione di opere di arte sacra. Ancora ci insegna Gesù che “non servitore può servire due padroni [...] non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16,13) . Dunque l’artista cristiano deve fare la scelta radicale di porre Cristo come unico Signore della sua vita e della sua arte. Ciò implica anche l’umiltà di un percorso di formazione, artistica, morale e spirituale, nella convinzione che il lavoro artistico è una vocazione: “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1Pt 4,10-11).




Zenit 20/9/2010



Nessun commento:

Posta un commento