lunedì 8 aprile 2013

Riflessioni sull’accidia




di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

Ho l’impressione che nella predicazione corrente si parli poco dell’accidia, che pur sarebbe, secondo la tradizione cattolica, uno dei cosiddetti “vizi capitali”, ossia di quelle tendenze viziose, conseguenze del peccato originale, che maggiormente fanno ostacolo al nostro cammino di salvezza e che quindi maggiormente vanno combattute. Indubbiamente non tutti noi pecchiamo ugualmente in tutti e sette i vizi capitali[1], tanti essi sono secondo la detta tradizione, ma ognuno di noi deve comunque fare i conti in modo più accentuato almeno con uno di questi vizi.

Quello sul quale vorrei meditare brevemente perché appunto mi pare un po’ dimenticato, è, come ho detto, quello dell’accidia. Il nome stesso “accidia” non si sente mai pronunciare, eppure esso ha una lunga storia nell’ascetica cristiana e sono dell’idea che oggi esso sia molto diffuso, da come si potrà notare dalla descrizione che intendo darne, alla quale farò seguire naturalmente il suggerimento degli opportuni rimedi.
La parola accidia viene dal greco akedìa, con alfa privativo e kedìa che viene dal verbo kèdomai che significa “mi prendo cura di”. Quindi l’accidia è un non prendersi cura, una trascuratezza, una negligenza di che cosa? Dei nostri principali interessi che sono quelli morali e spirituali e, per noi cristiani, i valori che si fondano sulla fede, a cominciare dalla stessa fede.

Essa è una specie di miopia, di grossolanità, di volgarità, di tiepidezza, di malavoglia, di ristrettezza di vedute, di insensibilità, di sordità, di durezza di cuore, di meschinità, di indifferenza, di pigrizia che riguarda il nostro sacrosanto dovere di impegnarci con tutte le forze nella ricerca di Dio, nell’amore del prossimo e nella pratica di tutte le virtù, soprattutto la carità.

Nel campo del pensiero corrisponde ad un modo ristretto e terreno di esprimere i nostri giudizi e valutazioni, tutto ispirato a misure terrestremente umane e secolaresche, senza tener conto o senza commisurarsi a criteri di fede o a una visuale soprannaturale così come essa è insegnata dal Vangelo, dalla Chiesa e dalla tradizione dei Santi.

Nel campo della volontà è una forma di debolezza e lentezza colpevoli, un batter la fiacca, un girare a vuoto, un tentennare, tergiversare e dubitare inconcludenti o pretestuosi, un menare il can per l’aia, un trovare sempre scuse, un lasciarsi trascinare come pesi morti, un continuo interrogarsi su chi ce lo fa fare, un lavorare al minimo senza convinzione e senza perseveranza, una ripugnanza nei confronti dello sforzo, del sacrificio e della rinuncia, una ricerca esagerata delle comodità, un arrendersi sconfortati alla minima difficoltà, sempre intenti a guardare il negativo e incapaci di vedere il positivo.

Indubbiamente possono esistere forme di debolezza e assenza di convincimento che hanno cause meramente psicologiche indipendenti dalla nostra volontà, come possono essere forti frustrazioni, gravi traumi, scandali o delusioni ricevuti, difficoltà oggettive o ambientali di vario genere o stati depressivi. Chiaramente qui la saldezza delle convinzioni e lo sforzo della volontà non danno risultati apprezzabili e servirà invece una buona cura psicologica o psichiatrica.

Mi riferisco invece a uno stato spirituale colpevole, causato da una volontaria indocilità e ingratitudine verso i maestri – qui gioca la superbia – , disattenzione ai massimi valori dell’esistenza, ignoranza colpevole dei doni ricevuti, pigrizia nel coltivare la ricerca spirituale, nell’aderire umilmente e saggiamente alla verità salvifica e nell’ascolto della Parola di Dio, che non fanno da vera guida alla nostra vita ma tutt’al più vivacchiano o intristiscono miseramente tra altre cose di questo mondo, che si fanno più strada nel nostro cuore col luccichìo ingannevole della loro seduzione e falsa apparenza. Il demonio è specialista per indurci all’accidia.
L’accidia può assumere l’apparenza della virtù ed esser quindi in tal senso lodata, promossa e praticata. Le virtù contrarie, rimedi all’accidia, che sono lo zelo, la saldezza della fede, la nobiltà d’animo, l’elevatezza dei pensieri, la laboriosità, l’alacrità, la magnanimità, l’entusiasmo, lo spirito di sacrificio e il fervore per le cose dello spirito e soprattutto per la vita soprannaturale, possono apparire esagerazione, astrattezza, utopia, fanatismo, bigotteria, “fondamentalismo”, mentre l’accidia può assumere la maschera della moderazione, del buon senso, della concretezza, del “senso pratico”, della prudenza, della ragionevolezza, addirittura della carità, dell’attenzione agli altri e del sano rapporto umano e con Dio.

Lo zelo può sembrare un fanatismo o un pietismo medioevale e l’accidia assume la veste di un spiritualità moderna, umanistica, in dialogo col mondo, un’attuazione della spiritualità promossa dal Concilio Vaticano II. La fede incoerente, gelatinosa, equivoca, traballante, doppiogiochista, voltagabbana, incerta e dubbiosa causata dall’accidia può apparire come fede matura, “critica”, che s’interroga, che “sa mettersi in discussione”, aperta al dialogo con tutti, specialmente con i non-credenti.

Le cause dell’accidia possono essere o innate o indotte. Esistono naturali disposizioni all’accidia, derivanti dal peccato originale, come una certa limitatezza dell’intelligenza, che non favorisce quindi la virtù della fede e una naturale debolezza della volontà, che non favorisce la virtù della carità, si aggiunga in certi casi un’esuberante impulsività delle forze psicoemotive che soffocano gli interessi spirituali e spingono il soggetto ad un eccessivo attaccamento alle cose e agli interessi di questo mondo, col simultaneo illanguidirsi degli interessi morali, spirituali, intellettuali e religiosi.

Le disposizioni naturali all’accidia, poi, se volontariamente favorite, aggravano naturalmente la situazione del soggetto, l’accidia aumenta e in certi casi essa trova una parvenza di giustificazione anche in ideologie o filosofie che teorizzano come legittime e normali le manifestazioni dell’accidia, vedi per esempio le filosofie di tendenza evoluzionista, freudiana, empiristica, materialistica o edonistica. Ma siccome l’accidia è facilmente legata all’egocentrismo, anche visioni di tipo falsamente spiritualistico come certe filosofie immanentiste o idealiste, possono coonestare l’accidia in quanto favoriscono con altisonanti concetti filosofici (l’“Io assoluto”, l’“autotrascendenza” o cose del genere) l’egoismo o l’autoreferenzialità del soggetto.

In particolare questi soggetti trovano un’enorme fatica ad apprezzare e ad amare il mistero cristiano della croce e a capire e a cercare, come dice S.Paolo, “le cose di lassù”, le realtà metafisiche, invisibili, liturgiche, soprannaturali, celesti ed escatologiche. A loro queste cose non interessano, non procurano alcun gusto, li annoiano, non ci capiscono niente, sembrano chimere, miti o vuote astrazioni, per cui non ne fanno punto di riferimento o criterio di valutazione per i loro giudizi, oggetto dei loro discorsi, dei loro pensieri o dei loro supremi desideri ed interessi, della loro ricerca o della loro contemplazione, non costituiscono il fine ultimo della loro azione e della loro vita, non sono disposti a sacrificare per questi valori le cose di questo mondo.
Il rimedio all’accidia resta sempre una buona educazione o rieducazione morale e religiosa, la correzione di false concezioni che presentano l’accidia come cosa buona, nonché la forza di esempi convincenti e trascinanti, il mostrare all’accidioso da una parte la bruttezza dell’accidia e dall’altra illustrare concretamente e sensibilmente la bellezza, l’attrattiva, l’utilità e la forza dell’ideale cristiano vissuto con convinzione, rimuovendo gli ostacoli alla liberazione del loro spirito, così come si tolgono gli intoppi allo scorrere di un fiume o si toglie la terra franosa che ha invaso un fondo stradale.

Bisogna accontentarsi all’inizio di qualche piccolo passo nell’attesa di un’accelerazione del cammino, sopportare gli insuccessi iniziali, comprendere per ogni singolo caso quali sono state le cause della tendenza accidiosa e rimuoverle, promovendo le particolari risorse positive del soggetto. A volte è bene accompagnare una cura psicologica ad un accompagnamento spirituale.

Un potente rimedio soprannaturale all’accidia è l’invocazione insistente allo Spirito Santo, il Quale scuote energicamente dal sonno e dona una forte vitalità sotto l’impulso dei doni gerarchici e carismatici. L’accidioso deve darsi da fare per vincere la pigrizia e la tiepidezza, ma deve soprattutto confidare nel fervore infuso che viene dallo Spirito.

Per rendersi tuttavia più disponibile alla discesa dello Spirito, gli conviene tenere pulita la coscienza con una frequente confessione dei peccati, non necessariamente sacramentale, se si tratta di soli peccati veniali, che del resto sono frequenti ed inevitabili anche nei santi. Tutta la vita spirituale diventa più agile e maneggevole, un po’ come una macchina lubrificata offre un migliore servizio. L’accidia dipende infatti anche dalla presenza del peccato, che intralcia, indebolisce e rallenta la vita e il progresso dello spirito.

Sono gli zelanti, sono i santi, i fervorosi e i mistici, che scuotono gli accidiosi, magari con un sano timor di Dio, li svegliano dal loro sonno, tolgono loro la paura e i loro dubbi, li sollevano dallo sconforto e dallo scoraggiamento, ravvivano la loro sensibilità, fanno emergere alla loro coscienza la loro dignità, potenziano ed immettono energie nuove nella loro spiritualità denutrita, rachitica, paralitica, immatura, immiserita, isterilita e soffocata, supponendo ovviamente la presenza attiva, che non manca mai, della grazia divina operante e cooperante, preveniente e conseguente[2], il tutto invocato e favorito da una costante preghiera animata da una grande carità, pazienza, costanza e fermezza nei confronti dell’anima accidiosa.


[1] Ricordiamoli: superbia, invidia, ira, gola, lussuria, avarizia, accidia.
[2] E’ chiara qui l’importanza di una buona vita sacramentale di una saggia guida spirituale.


Libertà e Persona

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