mercoledì 3 aprile 2013

Poche sorprese. Francesco è fatto così






I primi atti del nuovo papa rivisti alla luce della sua autobiografia. I motivi del suo silenzio sui temi che più contrappongono la Chiesa ai poteri mondani: nascita, morte, famiglia, libertà religiosa




di Sandro Magister

ROMA, 3 aprile 2013 – Al di fuori dell'Argentina pochissimo era stato pubblicato di Jorge Mario Bergoglio, prima della sua elezione a papa.

Ma ora le traduzioni di suoi scritti, discorsi, interviste si moltiplicano rapidamente. E aiutano a rendere meno sorprendenti i gesti di papa Francesco.

Ecco qui di seguito alcune di queste "sorprese" piccole e grandi, che però non appaiono più tali alla luce della sua autobiografia, uscita nel 2010 in Argentina nel libro-intervista di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti dal titolo "El Jesuita", ora in vendita anche in altri paesi tra cui l'Italia.

UN PAPA CHE NON CANTA MAI

È vero, papa Francesco ama ascoltare musica ma non canta, né durante le messe solenni né nell'impartire le benedizioni. Si dice che i gesuiti "non rubricant nec cantant", cioè né seguono le cerimonie né cantano. Ma la spiegazione è più semplice.

A ventun anni buscò una bruttissima polmonite e "gli vennero asportate tre cisti attraverso l'ablazione della parte superiore del polmone destro. Da quell'esperienza gli è rimasta una deficienza polmonare che, pur non condizionandolo pesantemente, gli fa sentire il proprio limite umano".

Quindi semplicemente non canta perché non ha fiato sufficiente per farlo, come si intuisce anche da come parla, con corto respiro e con voce non forte. In ogni caso ha confessato: "Sono stonatissimo".

UN PAPA CHE PARLA SOLO IN ITALIANO

L'italiano in effetti lo parla bene. E capisce anche il dialetto piemontese della sua famiglia d'origine. Ma "per quanto riguarda le altre lingue – ammette nella sua autobiografia – dovrei dire non che le parlo ma che le parlavo, per la mancanza di pratica. Il francese lo parlavo piuttosto bene e con il tedesco me la cavavo. Quello che mi ha creato più problemi è sempre stato l'inglese, soprattutto la fonetica".

Sta di fatto che, rinunciando a parlare in lingue diverse dall'italiano, Bergoglio sembra aver deciso di sacrificare – in pubblico – anche la sua lingua madre, lo spagnolo.

A Pasqua ha rinunciato anche agli auguri in 65 lingue immancabilmente snocciolati dai pontefici suoi predecessori.

UN PAPA CHE VUOLE FARE TUTTO DA SÉ

In Vaticano si è dovuto prendere per forza di cose un segretario, il maltese Alfred Xuereb, già secondo assistente di Benedetto XVI. Anche a Buenos Aires aveva una segretaria, ma i suoi appuntamenti li gestiva lui, era lui stesso a segnarseli sulla sua agendina tascabile, che, diceva, "sarebbe un vero disastro perdere".

Aveva una scrivania "piccola ma ordinatissima". E ordinati sono anche i suoi orari: cinque ore di sonno la notte, luce spenta alle 23, giù dal letto alle 4 "senza bisogno di sveglia", dopo pranzo "un pisolino di quaranta minuti". Sa cucinare. Gli piace ascoltare musica e leggere, specialmente i classici della letteratura. Le notizie le vede sui giornali. Non ha mai fatto uso di internet, nemmeno per la posta.

UN PAPA CHE NON VUOLE FARSI CHIAMARE "PAPA"

Lo si è notato. Bergoglio preferisce per sé la semplice qualifica di "vescovo di Roma" e tace sulla sua potestà di capo della Chiesa universale, nonostante tale potestà sia stata confermata con grande forza dal concilio Vaticano II.

Si legge nella sua autobiografia:

"Quando un papà o un maestro devono dire 'qua sono io quello che comanda' oppure 'qui il superiore sono io', è perché hanno già perso autorità e allora cercano di attribuirsela con le parole. Proclamare che si ha il bastone del comando implica che non lo si ha più. Avere il bastone del comando non significa dare ordini e imporre, ma servire".

Sembra cioè che Bergoglio voglia non proclamare ma esercitare la sua potestà suprema di successore di Pietro.

UN PAPA CHE DECIDE TUTTO DA SOLO

Ha detto ancora nella sua intervista autobiografica:

"Confesso che, in generale, per colpa del mio temperamento, la prima soluzione che mi viene in mente è quella sbagliata. Per cui ho imparato a diffidare della mia prima reazione. Una volta più tranquillo, dopo essere passato per il crogiolo della solitudine, mi avvicino a ciò che devo fare. Ma nessuno mi salva dalla solitudine delle decisioni. Si può chiedere un consiglio ma, alla fin fine, uno deve decidere da solo".

All'atto pratico, c'è insomma da prevedere che con Francesco il primato decisionale del papa non sarà intaccato, neppure con un futuro assetto più collegiale del governo della Chiesa.

UN PAPA CHE SCHIVA I TEMI DI CONFLITTO

In effetti, nei discorsi e nelle omelie di inizio pontificato, Bergoglio ha evitato finora di toccare le questioni che più vedono contrapposta la Chiesa ai poteri mondani.

Nel discorso al corpo diplomatico ha taciuto le minacce alla libertà religiosa, così come nei suoi altri interventi ha evitato qualsiasi cenno ai nodi critici del nascere, del morire, della famiglia.

Ma nella sua intervista autobiografica Bergoglio ricorda che anche Benedetto XVI in un'occasione scelse di tacere:

"Quando Benedetto XVI nel 2006 si recò in Spagna tutti pensarono che avrebbe criticato il governo di Rodriguez Zapatero per le sue divergenze con la Chiesa cattolica su varie tematiche. Qualcuno gli chiese addirittura se con le autorità spagnole avesse affrontato il tema del matrimonio omosessuale. Ma il papa rispose di no, che aveva parlato solo di cose positive e che il resto sarebbe venuto in seguito. Voleva suggerire che prima di tutto bisogna sottolineare le cose positive, quelle che ci uniscono, e non quelle negative, che servono solo a dividere. La priorità va data all'incontro tra le persone, al camminare insieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbordare le differenze".

In un altro passaggio dell'intervista Bergoglio critica quelle omelie "che dovrebbero essere 'kerigmatiche' ma finiscono col parlare di tutto ciò che abbia un legame con il sesso. Questo si può, questo non si può. Questo è sbagliato, questo non lo è. E allora finiamo per dimenticare il tesoro di Gesù vivo, il tesoro dello Spirito Santo presente nei nostri cuori, il tesoro di un progetto di vita cristiana che ha molte implicazioni che vanno ben oltre le mere questioni sessuali. Trascuriamo una catechesi ricchissima, con i misteri della fede, il credo, e finiamo per concentrarci sul partecipare o no a una manifestazione contro un progetto di legge in favore dell'uso del preservativo".

E ancora:

"Sono sinceramente convinto che, al momento attuale, la scelta fondamentale che la Chiesa deve operare non sia di diminuire o togliere dei precetti, di rendere più facile questo o quello, ma di scendere in strada a cercare la gente, di conoscere le persone per nome. E non unicamente perché andare ad annunciare il Vangelo è la sua missione, ma perché se non lo fa si danneggia da sola. È ovvio che se uno esce in strada gli può anche succedere di avere un incidente, ma preferisco mille volte una Chiesa incidentata a una Chiesa malata".




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