mercoledì 20 marzo 2013

Sotto la custodia di san Giuseppe. Appunti sul nuovo papa



papa




di Sandro Magister

Nelle 1330 parole dell’omelia della messa d’inizio pontificato di Jorge Mario Bergoglio, la parola “papa” è ricorsa una sola volta. Il nome di Pietro quattro volte. Vi ha dominato invece, dodici volte, il nome di Giuseppe. Che la mansione di “custode” della Sacra Famiglia impersonata dal padre putativo di Gesù sia stata assunta come emblematica della funzione papale è un altro degli strappi introdotti dal successore di Benedetto XVI.

Naturalmente papa Francesco non ha omesso di ricordare che Cristo il “potere” l’ha dato a Pietro, non ad altri. Ma il “servizio” amorevole in cui ha detto che si concreta tale potere è lo stesso di tutti i discepoli di Gesù. È come se la presenza alla messa d’inizio pontificato del patriarca ecumenico di Costantinopoli, per la prima volta dopo lo scisma del 1054, abbia indotto Bergoglio a tacere, invece che a dire, lo specifico dell’ufficio petrino.

Paradossalmente, il nuovo papa ha detto molto di più sull’ufficio petrino – e di più consistente – nel suo primo apparire sulla loggia della basilica di San Pietro, dopo l’elezione.

Ma dopo essersi presentato come “vescovo della Chiesa di Roma che presiede nella carità tutte le Chiese”, egli ha poi insistito, nei giorni seguenti compresa la messa d’inizio pontificato, solo sul primo elemento del dittico, quasi avesse timore a guardare oltre lo spazio romano, all’intero orbe cattolico che egli è stato chiamato a presiedere. Ha persino evitato di salutare in più lingue, dopo il suo primo Angelus domenicale.
Sicuramente, si è già intravisto in papa Bergoglio un forte profilo di vescovo “defensor civitatis”, ortodosso nella dottrina e nei costumi e protettore del proprio popolo dall’arbitrio del sovrano e dalle insidie del Diavolo, del quale non ha paura di parlare.

Ma nello stesso tempo alcuni suoi gesti hanno acceso nell’opinione pubblica dentro e fuori il cattolicesimo cattive tentazioni: dalla liquidazione del governo centrale della Chiesa alla scomparsa del titolo di papa, dall’avvento di una “nuova Chiesa” spirituale alla umiliazione della bellezza che celebra Dio, cioè della simbolica di riti, abiti, arredi, edifici sacri. La modesta “ars celebrandi”, senza forza né splendore, della messa inaugurale del 19 marzo non ha aiutato a fugare quest’ultima tentazione.

Ma conoscendolo da una vita come pastore austero, netto nel giudizio, misericordioso nel tratto, c’è la certezza che papa Bergoglio immetterà questa sua tempra nella pienezza simbolica e politica del “vicarius Christi”. Tutto l’opposto del facile “francescanesimo” alla moda, che tanti gli applicano.

Pietro De Marco, in un suo commento pubblicato oggi sul supplemento fiorentino del “Corriere della Sera”, fa notare che “l’Argentina, come ogni parte dell’orbe cattolico, è ‘provincia’ rispetto a Roma, come lo era la Polonia di Karol Wojtyła. E come Wojtłyla riversò la sua forza di vescovo combattente in patria nella funzione universale di successore di Pietro, così l’ufficio plasmerà Bergoglio come papa che presiede nella carità tutte le Chiese”.


Postato in General il 19 marzo, 2013

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