venerdì 28 dicembre 2012

Rivisitiamo il Filioque




di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

Alcuni ascoltatori di Radio Maria mi hanno recentemente posta la domanda sul famoso “Filioque”, tema che tuttora divide, dopo quasi dieci secoli, la fede della Chiesa Cattolica Romana dalla Chiesa di Costantinopoli, che raccoglie attorno a sé quei fratelli numerosissimi separati che comunemente noi cattolici chiamiamo “Ortodossi”, benché poi in fin dei conti la pienezza dell’ortodossia della fede appartenga solo alla Chiesa Cattolica Romana.
Il Filioque, come sappiamo, è la famosa aggiunta al Credo che fu introdotta nella Chiesa Latina attorno ai secc. IX-X per iniziativa dei Franchi e dei Germani e che fu poi accolta dalla Chiesa di Roma, e da questa poi imposta a tutta la Chiesa universale, tanto che ancor oggi questa espressione è presente nel Simbolo della fede. Essa significa che lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio (Filioque).

Su questo punto fondamentale della fede trinitaria, dopo lo scisma del sec. XI sino a tutt’oggi esiste purtroppo una reciproca accusa di eresia tra la Chiesa Latina Cattolica) e quella Greca (ortodossa). I Latini accusano di eresia la negazione del Filioque; i Greci accusano di aggiunta eretica l’introduzione del Filioque.

Sino al secolo dello scisma, volendo porre la famosa fatidica data del 1054, i fratelli orientali erano uniti a Roma su quel punto delicatissimo della fede cristiana, ma esso non figurava nel Credo. La ribellione a Roma avvenne allorché Roma decise di introdurre la formula nel Credo. Sorsero infatti le proteste di Costantinopoli che Roma avrebbe aggiunto al Simbolo della fede una novità arbitraria. Fu certamente, questo, un fatto sorprendente, considerando che fino ad allora tutta la cristianità aveva accolto quel dato di fede.
Ma la storia ogni tanto riserva delle amare e misteriose sorprese. Nel sec. XIV il teologo dissidente Gregorio Palamas, poi canonizzato da Costantinopoli, fece addirittura un trattato contro il Filioque con una gran quantità di intricati argomenti, che favorirono l’espressione “bizantinismo” per significare le sottigliezze che finiscono per confondere anziché far chiarezza.

Inutilmente i teologi romani spiegarono che Roma, del resto in conformità a un dato che era già tradizionalmente di fede, non aveva fatto altro che spiegare o esplicitare solennemente una verità già contenuta nella Rivelazione, come del resto i Concili avevano già fatto nel passato per altri articoli di fede: si pensi per esempio alla più ampia esposizione dei dati di fede contenuta nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano rispetto al precedente Simbolo degli Apostoli. In questo increscioso episodio, a tutt’oggi ancora irrisolto, si ha l’impressione che Costantinopoli cercasse un pretesto per staccarsi da Roma.

Indubbiamente al tempi del Concilio Vaticano II e dell’ecumenismo avviatosi con gli Ortodossi ci fu un effettivo avvicinamento tra le due Chiese. Sappiamo infatti come Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora si tolsero reciprocamente la scomunica e ciò fu certamente un fatto altamente positivo, ma solo sul piano delle relazioni umane, senz’alcun riferimento alla questione dottrinale. Infatti questo è un caso, per la verità eccezionale, nel quale due Chiese si sono in qualche modo rappacificate senza che ciò abbia comportato la soluzione del problema dogmatico.

Il che vuol dire che la Chiesa di Costantinopoli, benché oggi animata da sentimenti di carità verso Roma, non è oggettivamente tornata in piena comunione dottrinale con Roma e certo sorprende come ancor oggi gli Ortodossi non riconoscano la verità del Filioque, nonostante gli innumerevoli inviti provenienti da Roma e da tutti i teologi cattolici, a cominciare dal grande S.Tommaso d’Aquino, del quale si ricordò il Concilio di Firenze del 1439-1442, allorché per un vero miracolo della grazia, purtroppo durato poco, riuscì a ripristinare la comunione dei Greci con Roma. La soppressione delle reciproche scomuniche non deve pertanto portarci a minimizzare o relativizzare il persistere del contrasto dottrinale.

Come spiega bene infatti S.Tommaso nella Somma Teologica (I, q.36, a.2) il difetto dei Greci sta nel non capire che negando che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio, non è più possibile distinguere l’Uno dall’Altro secondo l’insegnamento della divina Rivelazione così come risulta dalle parole stesse di Cristo, che appunto ci ha rivelato il Mistero Trinitario.

Infatti noi non abbiamo altra possibilità di distinguere tra di loro le Persone divine che facendo riferimento alla loro origine. Anche questo è il segno che dobbiamo concepire la Persona divina in un modo molto diverso da quello con cui concepiamo la persona umana. Infatti la Persona divina non è creata come lo è la nostra persona umana – cosa che comporta diversità individuali tra persona e persona -, altrimenti non sarebbe più divina, ma emana o procede o ha origine da un’Altra nell’uguaglianza, anzi identità della natura divina, così come del Figlio nel Credo diciamo “Deum de Deo”, non nel senso di un dio che proceda da un altro dio, come nel paganesimo, ma in quanto il Figlio che procede dal Padre è Dio come lo è il Padre.

Naturalmente gli Ortodossi hanno usato anche loro un criterio per distinguere. Essi però si basano solo su elementi certamente veri ma insufficienti, perché si tratta di semplici appropriazioni ovvero attribuzioni aggiunte e derivate, non di elementi originari, pertinenti e propri. Quelle attribuzioni invece sono solo generiche e secondarie, non fondate direttamente sull’essenza delle persone, ma soltanto su qualità relative agli attributi divini generici, il che non è per nulla sufficiente a determinare la distinzione tra le Persone secondo quanto risulta dalla Rivelazione.

Infatti tutte e tre le Persone sono Dio. Se noi per distinguerle facciamo leva solo sugli attributi della divinità, è evidente che la distinzione non regge o quanto meno non è sufficiente. Sarebbe come se volessimo distinguere Socrate e Platone sulla base della distinzione tra l’intelletto e la volontà, che invece sono proprietà che essi posseggono allo stesso modo o al massimo con sfumature diverse in quanto proprietà della loro comune natura umana.

Infatti gli Ortodossi distinguono il Figlio dallo Spirito collegando rispettivamente il primo al Pensiero o alla Verità (Logos) e il secondo alla Volontà o all’Amore, visione non certo sbagliata anzi importante ed utile per la vita spirituale, ma alla quale sfugge ciò che è il vero, caratteristico ed irrinunciabile principio della distinzione tra Figlio e Spirito Santo, e si limitano a semplici attributi divini che sono propri del Dio Uno e comuni in fondo al Figlio e allo Spirito, giacché è evidente che anche il Figlio come Dio ama (“Dio è Amore”), ed è altrettanto evidente che lo Spirito come Dio è lo Spirito della Verità. Ma allora dov’è la distinzione?

Il criterio per la distinzione tra le divine Persone non può essere quello tra individui nella medesima specie come se Dio fosse una specie, sotto la quale le persone sono individui diversi tra di loro per il fatto che l’uno accentua più un carattere della specie e l’altro ne accentua un altro, come in Leopardi emerge la poesia mentre in Einstein la scienza, ma qui si tratta sempre di qualità della medesima natura umana.
Per questo nella visione ortodossa è compromessa l’unità dell’essenza divina che sembra ridursi ad un’astratta e inconcepibile essenza specifica, mentre la concretezza è riservata solo alle Persone, sicché alla fine si rischia il triteismo, un avanzo del politeismo pagano. Viceversa la Chiesa di Roma è più attenta ai concetti che sono espressi implicitamente o esplicitamente da Cristo stesso, nel rivelarci il mistero della distinzione delle divine Persone.

Innanzitutto è vero che il termine “persona” non è usato da Cristo. Ma questo non significa nulla: è evidente che quando Cristo parla di sé Come “Figlio” o parla di un Dio “Padre” o di uno “Spirito” che guida alla “verità tutta intera”, vivifica, purifica, governa, santifica e perfeziona il cristiano e la Chiesa, cose che appaiono più evidenti nella spiritualità e nell’ecclesiologia di S.Paolo, Cristo si riferisce a entità personali, assimilabili, anche se con profondissime differenze, a ciò che per noi è la persona, soggetto pensante e volente.

Una differenza notevole tra il concetto di persona umana e quello di Persona divina, è che mentre nella prima la relazione è un accidente che si aggiunge alla persona, nella Persona divina la relazione costituisce la stessa Persona, per cui la Persona divina è una relazione sussistente: in essa l’essere si identifica con l’agire. Così, per esempio, nel caso dell’uomo, noi diciamo che il tale ha una relazione, mentre per quanto riguarda la Persona divina diciamo che Essa è una relazione. L’avere esprime l’accidente, l’essere esprime la sostanza o la sussistenza.
Il fatto di essere padre, nella persona umana, si aggiunge estrinsecamente alla persona stessa, la quale era persona anche prima di essere padre e continuerà ad essere persona anche dopo che il figlio fosse eventualmente morto. Viceversa, la paternità divina non si aggiunge in Dio all’essere divino o alla Persona divina, ma Li costituisce.

Dio non è divenuto Padre, ma è Padre per essenza e dall’eternità. Il Figlio non è nato nel tempo, ma ante omnia saecula, ossia dall’eternità, appunto perché è Dio. Il mondo è sorto per creazione quando Dio esisteva già da solo dall’eternità, ma non c’è mai stato un “prima divino” nel quale Dio non fosse Padre, Figlio e Spirito Santo. Sarebbe come ipotizzare un uomo il quale diventasse animale razionale un certo tempo dopo essere stato concepito. Non ha senso, perché l’uomo è animale razionale per essenza e a priori. O c’è l’uomo, e allora c’è l’animal rationale. O non c’è l’animal rationale e allora non c’è l’uomo.

Quanto al problema della distinzione tra di loro delle Persone divine, come risulta dall’insegnamento di Cristo, Esse si distinguono secondo un’opposizione non assoluta ma relativa: relations oppositio, come dice il Concilio di Firenze. L’opposizione non è assoluta nel senso che non tratta di diversità tra individui ed inoltre essa non è da intendere nel senso di contrasto ma nel senso appunto di semplice relazione o legame, che non dice alcun contrasto ma perfetta armonia e convenienza, anzi di uguaglianza nella divinità.
Tuttavia non si tratta di una relazione di affinità, di somiglianza o di reciprocità, tanto meno di diversità, come avviene tra gli individui di una specie o tra enti sostanziali diversi, ma di una relazione di origine, fondata sulle processioni divine; il Figlio procede dal Padre per generazione, lo Spirito procede per spirazione. Il Figlio è sì Immagine del Padre, ma Immagine perfettamente uguale al Modello. Noi invece in Cristo possiamo essere immagine di Cristo e del Padre semplicemente partecipata.
Siccome poi il Padre è comune origine delle altre due Persone ed esse si distinguono solo per l’origine, bisogna necessariamente ammettere che una delle due ha origine dall’altra. E ciò è appunto testimoniato dalle stesse parole di Cristo, il Quale, al momento di promettere la missione dello Spirito Santo, fa riferimento ad Esso affermando “prenderà del mio” (Gv 16,14).

Per comprendere la portata del Filioque, occorrono dunque concetti metafisici di non facile intendimento e che effettivamente non sono alla portata di tutti, per cui il comune fedele, anche se non può seguire il ragionamento che porta a mostrare la necessità del Filioque, è invitato a compiere un atto di fede nella dottrina della Chiesa.
Bisogna inoltre riconoscere che al fine di prendere a modello la SS. Trinità per la nostra vita spirituale e di comprendere il suo influsso nella nostra vita cristiana, è maggiormente utile considerare le appropriazioni (Padre come Essere-Principio, Figlio come Verità, Spirito come Amore), che non le stesse proprietà, del tutto sproporzionate alla nostra vita personale. Sbagliano pertanto coloro che vorrebbero imitare la vita trinitaria concependo la persona umana come relazione (“essere-in-relazione”) col pretesto che la Persona divina è relazione sussistente. L’unico risultato di questa ingannevole operazione è quello di negare l’essere personale a quei soggetti umani, come per esempio gli embrioni, i neonati o i malati mentali o terminali che non posso mettersi in relazione con gli altri mediante l’esercizio dell’intelletto e della volontà.
Invece la considerazione delle proprietà (relazioni di origine e quindi il Filioque) è indispensabile per una contemplazione del Mistero trinitario conforme alla retta fede. Su questo punto bisogna pertanto dire che gli Ortodossi non sono purtroppo… ortodossi.

Indubbiamente è impressionante come a causa di questa formula anche se non solo a causa di essa sia avvenuta la separazione di tante Chiese orientali da Roma e che tale separazione duri tuttora. Alcuni ritengono che questo contrasto tra Roma e Costantinopoli sia da ridurre a due semplici punti di vista differenti che non toccano la dottrina della fede. Invece purtroppo non è così: il Filioque compare nel Credo cattolico, segno che si tratta di verità di fede, per cui chi le nega è affettivamente eretico.
S.Tommaso, infatti, che è molto parco nel chiamare eretica una dottrina, qualifica come “eretica” la negazione del Filioque e non appare per nulla che Costantinopoli accetti la posizione di Roma, la quale mostra peraltro la sua liberalità consentendo a che nel Simbolo di certi riti orientali anche uniti a Roma possa mancare il Filioque. Dobbiamo infatti ricordare che i Simboli della fede non contengono necessariamente tutte le verità di fede. Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, per esempio, non contiene la discesa di Cristo agli inferi, che pure è presente nel Simbolo degli Apostoli.

Che incidenza può avere questa questione del Filioque nel contesto generale della dogmatica e dalla morale? A tutta prima sembrerebbe una questione così astratta e teorica, da non presentare alcun influsso e diciamo pure da non comportare una speciale importanza.
Come mai tanta ostinazione dei Greci, ancora dopo quasi dieci secoli, nel non accettare il Filioque? Come è possibile che ciò avvenga in Chiese tanto antiche, tanto illustri e ricche di alti valori e di santità? E’ un grande mistero. Nessuno si può illudere che Roma su questo punto possa un giorno cedere. Chi invece dovrà accogliere la verità saranno le Chiese orientali.
L’Aquinate si basa per la sua sublime interpretazione delle parole del Signore, su Aristotele. E’ strano che i Greci, vittime qui di un personalismo esistenzialista, non sappiano valorizzare il massimo Esponente della sapienza greca.
L’ecumenismo con le Chiese orientali è comunque cosa molto preziosa e provvidenziale. Esso mette giustamente in luce tanti valori in comune. Come cattolici, dobbiamo avere fiducia che verrà un giorno, come accadde quasi per sogno al Concilio di Firenze, che i fratelli dell’Oriente comprenderanno la verità e allora con essi ci sarà in pienezza veramente “un solo ovile e un solo pastore”.

Libertà e Persona   28 dicembre 2012



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