lunedì 10 dicembre 2012

IDEALISMO E ATEISMO

 



- di P. Giovanni Cavalcoli, OP




Continuando la nostra analisi dell’idealismo come componente del modernismo attualmente presente nella Chiesa, vediamo questa volta un altro legame dell’idealismo con una dottrina a tutta prima del tutto estranea all’idealismo: l’ateismo, e in special modo l’ateismo marxista.

Infatti l’idealismo a prima vista sembrerebbe una filosofia molto spirituale: vi dominano la “Idea”, il “Pensiero puro”, l’“Essere”, l’“Autocoscienza”, lo “Spirito”, la “Ragione”, l’“Assoluto”, l’“Infinito” e via discorrendo. L’idealista non rifiuta affatto di parlare di Dio. Anzi vi sono forme di idealismo dove tutto è addirittura Dio, per cui sconfinano nel panteismo. Lessing disse di Spinoza, famoso per il suo panteismo, che egli era “ebbro di Dio”. Ma quale Dio? E’ presto detto. E’ noto il motto di Spinoza: “Deus sive natura”. Dunque non si tratta di un Dio trascendente.

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A questo riguardo è molto significativo che la nota casa editrice Editori Riuniti, legata al Partito Comunista abbia pubblicato nel 1988 l’Etica di Spinoza. Il che sembra voler significare come il comunismo sia un ateismo in quanto contrario al Dio trascendente del cristianesimo, mentre viceversa si collega bene col panteismo, in quanto questo comporta una divinizzazione dell’uomo; e che cosa è in fondo l’ateismo marxista se non una divinizzazione dell’uomo?

Per Spinoza infatti Dio è semplicemente la natura, è il mondo, quindi in ultima analisi è l’uomo. Ma qui abbiamo già i prodromi lontani dell’ateismo marxista, il quale, se così posso esprimermi, non è un ateismo volgarmente materialista o bestiale, come quello dei materialisti francesi del sec. XVIII o di Democrito, ma è un ateismo molto raffinato, un ateismo per così dire “teologico”.

Innanzitutto bisogna dire, come già fece notare il Cottier a suo tempo[1], che la teologia hegeliana è già una forma di ateismo implicito e che quindi l’ateismo marxista non è che l’esplicitazione delle potenzialità atee contenute nella filosofia hegeliana. Spieghiamoci.

Tutto gira attorno al problema dell’uomo. In Hegel, come è noto, l’uomo si autotrascende sino a diventare Dio, mentre d’altra parte Dio si concretizza e si storicizza sino a diventare uomo. E ciò, secondo Hegel, non è altro che il mistero cristiano dell’Incarnazione del Logos.

Senonchè però Hegel non ne dà l’interpretazione che fu fissata dal Concilio di Calcedonia della distinzione delle due nature, ma egli è sulla linea di Eutiche, eretico dei primi secoli, della mutazione della natura divina nella natura umana, per cui Hegel non parla dell’“unione” ma dell’“unità” delle nature, anche se non si tratta di unità o identità pura e semplice, ma dell’unità “dialettica” tipicamente hegeliana, ossia del “passaggio” degli opposti l’uno nell’altro, così da mettere assieme identità e contraddizione, secondo la ben nota concezione hegeliana del divenire, dove Dio stesso è Divenire assoluto.

In Marx interviene però certamente il tema del materialismo, che egli assume da Democrito e dai

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materialisti francesi. Tuttavia - e qui è la sua raffinatezza e la sua seduzione - Marx non respinge la tematica dello spirito, legato alla dialettica. Egli infatti, come è noto, dichiara di “mettere la dialettica” con i piedi per terra, mentre Hegel l’aveva messa con i piedi in aria.

Mentre infatti in Hegel la natura proviene dallo spirito e il reale proviene dall’ideale, Marx concepisce natura e realtà come “materia”, per cui in Marx non si discende dallo spirito alla materia ma si fa il cammino inverso. E quanto alla conoscenza, si dà un certo recupero del realismo aristotelico: non è, come in Hegel, la coscienza che precede l’esperienza, ma è l’esperienza che precede la coscienza, ed inoltre la realtà non è pensiero, ma è un dato oggettivo materiale indipendente dalla coscienza. Non la realtà dipende dalla coscienza, ma la coscienza dipende dalla realtà. Resta però il fatto che per Marx la realtà è la materia. Lo spirito è la cosiddetta “sovrastruttura” che deriva dalla materia.

In Marx però resta la stessa confusione che fa Hegel fra l’ordine dell’essere e l’ordine del conoscere. Se Hegel aveva ragione ad ammettere il primato dello spirito sulla materia, ma aveva torto a sostenere che la coscienza precede l’esperienza, Marx ha ragione nel sostenere che la coscienza è preceduta dall’esperienza, ma ha torto nel sostenere che la materia ha il primato sullo spirito.

Hegel ha ancora ragione a concepire Dio come spirito. In Marx invece il posto di Dio viene occupato dalla materia. Tuttavia il Dio di Hegel non è il vero Dio, ma è un Dio che prepara la materia divinizzata di Marx, perché il Dio di Hegel è il risultato dell’evoluzione del mondo e dell’uomo e quindi non un Dio trascendente, ma un Dio che si identifica col mondo e quindi in ultima analisi un Dio identico alla materia.

Già in Hegel esiste il moto di autoliberazione dell’uomo schiavo del Dio trascendente. E’ la dialettica schiavo-padrone che Hegel espone nellaFenomenologia dello Spirito e che il Padre Cottier esamina lungamente nel suo studio. E’ qui che compare il concetto di “alienazione” (Entfremdung), che sarà poi molto importante prima in Feuerbach e poi in Marx. In questa visuale l’uomo religioso si priva dei propri attributi e li trasferisce in una entità immaginaria e celeste, che chiama Dio. La liberazione dell’uomo avverrà quando l’uomo si riprenderà questi attributi negando l’esistenza di questo essere celeste.

Quanto alla posizione di Hegel, egli ritiene che il divenire di Dio comporti un inizio nel quale l’uomo avverte Dio come irraggiungibile e padrone assoluto: è questa la fase della “coscienza infelice”. Ma, secondo Hegel, col peccato l’uomo acquista la libertà, si libera di questo Dio trascendente e diviene esplicitamente quel Dio che è già implicito nell’essere umano. A questo punto, secondo Hegel, si ha quella che il cristianesimo chiama “Incarnazione”: il Dio astratto, astorico, diventa “concreto”, diventa “storico”. Si ha quello che Hegel chiama l’“Universale concreto” e il ciclo dialettico si conclude.

In Marx, preceduto da Feuerbach, si ha sostanzialmente la stessa cosa, con la differenza che Marx chiama “ateismo” la conclusione del moto dialettico e l’autodivinizzazione dell’uomo. Mentre per Hegel alla fine c’è Dio, per Marx c’è l’uomo. Ma in entrambi i casi viene rifiutato il Dio trascendente perché considerato alienante. In entrambi i casi l’uomo si libera impadronendosi degli attributi del Dio trascendente, soprattutto il pensiero e la volontà.

Ma Marx mostra un notevole senso metafisico usando la coppia ontologica essenza-esistenza per quanto riguarda il processo di autoliberazione dell’uomo dall’oppressione di Dio, rappresentato dal potere capitalistico-borghese-ecclesiastico. Infatti per Marx l’uomo è quell’esistente che esiste non perché l’esistenza gli sia data, ma perché la possiede da sé o quanto meno ha il diritto e il potere di possederla da sé. E’ questo l’ateismo marxista: l’uomo non riceve l’essere da Dio ma se lo dà da sé col lavoro, che è posizione del suo stesso essere. Questa tesi è molto vicina alla posizione di Fichte, secondo la quale l’Io pone se stesso.

Così nello stato di alienazione, l’uomo, del quale la classe operaia è l’incarnazione e il rappresentante, mentre nel contempo è il fattore della liberazione mediante l’azione rivoluzionaria, è spossessato della sua essenza a causa dell’oppressione capitalistica. L’azione rivoluzionaria consente alla classe operaia e quindi all’uomo ci rientrare in possesso della sua essenza, la quale è essenza divina per il fatto che Marx concepisce l’uomo come essente che possiede l’esistenza per essenza: la stessa definizione che S.Tommaso dà di Dio.

Ma questa definizione di Dio esiste già nella tradizione idealistico-panteista. Essa è già chiara nella definizione della sostanza data da Cartesio e Spinoza, come “ciò che ha bisogno solo di se stesso per esistere”. L’essere hegeliano è l’essere assoluto, corrispondente all’ipsum esse di S.Tommaso, con la differenza che per gli idealisti questo essere è l’uomo, mentre per Tommaso solo Dio è l’Ipsum Esse: l’uomo non è l’essere, ma ha l’essere solo limitatamente, racchiuso in un’essenza limitata, per partecipazione e per analogia nei confronti dell’essere divino.

L’ateismo marxista ha un’altra caratteristica. L’uomo divinizzato non è il singolo, non è l’io, come in Fichte, né l’“unico” come in Max Stirner e nemmeno il “superuomo” di Nietzsche”, ma è l’umanità o, come si esprime Marx, l’“essere del genere” (Gattungswesen): potremmo dire il genere umano. Ora questo ateismo è già implicito in Hegel, dove Dio non è tanto una singola personalità, ma la “Totalità”, la “Storia”, l’“Universale”, l’“Intero”. E’ l’ateismo dell’Essere inteso come Uno-Tutto.

Già in Hegel l’individuo empirico è puramente contingente ed è solamente relativo al tutto o tutto sociale o tutto statale o tutto cosmico, storico o Totalità teologica. Ciò si ritrova in Marx, dove l’individuo, secondo la nota “XI Tesi su Feuerbach”, è l’“individuo sociale”. Manca, come è noto, in Marx, il concetto della persona. Ciò che conta, la realtà sostanziale, è la collettività o come classe sociale o come umanità. L’ateismo della collettività umana in Marx è l’esplicitazione dell’ateismo implicito in Hegel laddove egli concepisce Dio come Totalità o come “Intero”.

Da queste considerazioni vediamo come il panteismo, che è la metafisica della gnoseologia idealista, è già un ateismo implicito. Infatti l’idealismo parla ancora di “Dio”, che però non è il vero Dio trascendente, ma è l’uomo che si fa Dio, ovvero l’uomo è assorbito in Dio. Marx in certo modo svela e dice esplicitamente ciò che è già implicito e sottinteso in Hegel.

Marx rifiuta il termine “Dio” perché sa che in fondo Dio è trascendente. In Marx Dio viene assorbito nell’uomo, ovvero l’uomo che in Hegel si fa Dio non è più chiamato “Dio” ma semplicemente “Uomo”, anche se poi come abbiamo visto il concetto marxista di uomo corrisponde alla definizione metafisica di Dio che troviamo nello stesso S.Tommaso d’Aquino come ente il cui essere appartiene alla sua essenza. Per questo per Marx la prospettiva dell’uomo alienato è quella di rientrare in possesso della propria essenza, che è quella essenza divina che la religione assegna a Dio.

Marx, mostrandosi ottimo metafisico, sa benissimo che Dio è l’ente nel quale l’essenza coincide con l’essere, ma siccome vuol far dell’uomo Dio, eccolo attribuire all’uomo la definizione che Tommaso dà di Dio. Con ciò stesso Marx nega il carattere creaturale dell’uomo, carattere creaturale che si esprime dicendo che la creatura è l’ente cha ha ricevuto il suo essere.

Ma appunto affermando che l’uomo ha l’essere da sé, Marx afferma implicitamente che non lo ha ricevuto, il che equivale a fare dell’uomo Dio. Con tutto ciò Marx non nomina più Dio l’uomo come fa Hegel. Da qui il caratteristico ateismo marxista. Ma questo ateismo, in quanto effettiva divinizzazione metafisica dell’uomo, è già implicitamente contenuto nel concetto hegeliano di Dio come storia dell’uomo.



[1] Georges M.-M. Cottier, L’athéisme du jeune Marx. Ses origines hégéliennes, Librairie Philosophique Vrin, Paris 1959.



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