sabato 3 novembre 2012

Le definizioni del catechismo di san Pio X






di Francesco Agnoli

Quest’anno tra gli altri anniversari si festeggia, o forse sarebbe meglio dire che non si festeggia, quello della promulgazione del catechismo del pontefice san Pio X. Cento anni fa dunque il papa dei fanciulli, che aveva voluto abbassare l’età della prima comunione fidando nel grande senso religioso dei bambini, propose all’attenzione dei fedeli di tutto il mondo uno strumento che riteneva necessario: “Fin dai primordi del nostro Pontificato -scrisse in quell’occasione (ottobre 1912)- rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi”.

Quali le caratteristiche di quel catechismo oggi tanto negletto dai teologi e dai Soloni del rinnovamento e dell’ “aggiornamento”?

Il catechismo a domande e risposte di san Pio X è, per chi scrive, un capolavoro pedagogico, perché a differenza degli infiniti documenti ed ausili catechistici prodotti negli ultimi anni, tiene insieme, in modo eccellente, la fede e la metafisica, il Vangelo e la teologia di san Tommaso, la semplicità del messaggio e la sua profondità. Pensato soprattutto per i bambini, infatti, non volle essere uno strumento pesante, ponderoso, complicato; ma poiché Pio X non riteneva che i fanciulli siano degli sciocchi a cui far fare solo disegni e cartelloni, il suo catechismo non è nemmeno qualcosa di puerile, nel senso deteriore del termine. Il suo pregio è quello di definire la fede nei suoi contenuti fondamentali: la definizione, oggi tanto aborrita nel mondo cattolico come lo sono, dagli studenti, le formule di matematica, esattamente come queste ultime condensa una verità, rendendola evidente, chiara, semplice, incisiva e memorizzabile.

Primo merito del catechismo di Pio X è dunque questo: i cattolici che sono cresciuti con questo strumento hanno la stessa idea della fede, almeno nei suoi elementi fondamentali, e parlano lo stesso linguaggio. Sanno che esiste Dio Creatore, che vi sono paradiso e inferno; sanno cosa è il peccato mortale, cosa è il peccato veniale, e il significato dei sacramenti. Hanno, per così dire, il bagaglio essenziale con cui affrontare il cammino della fede. Posseggono le verità fondamentali rivelate da Cristo e i dogmi compresi dalla Chiesa. Ovviamente questo “possesso”, questo dono della Rivelazione, non sarà mai compreso integralmente.

Qui sta la seconda grandezza del catechismo di san Pio X: un bambino lo studia, e comprende una piccola parte di ciò che viene enunciato; ma negli anni, crescendo, approfondendo la propria fede, più con la vita, i sacramenti, l’esperienza, che con lo studio, ogni formula del catechismo svela significati nuovi, che non si erano compresi, e dimostra di essere come un seme, depositato, che darà frutto al tempo opportuno. Infatti ogni singola risposta del catechismo, sebbene di poche righe, può essere poi commentata ampiamente, perché è, in qualche modo, solo il titolo che riassume e condensa, per intenderci, un intero libro. A tal riguardo san Pio X volle proprio che il commento fosse separato dalla definizione, e che spettasse prima al catechista, poi a colui che vive la fede, esplicare ed esplicarsi la definizione. Nell’esperienza di chi scrive la razionalità e la perentorietà delle formule di san Pio X formano persone di fede e nello stesso tempo profondamente convinte che il dogma aiuti a comprendere la realtà naturale e quella soprannaturale, ma anche segnate dal desiderio di “capire per credere”.


Oltre che anniversario del catechismo di Pio X, il 2012 è pure il centenario della nascita di Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I, che fu, come Pio X, patriarca di Venezia. Anche Albino Luciani, richiamandosi proprio a Pio X, ribadiva l’importanza per i sacerdoti di dedicarsi al catechismo dei fanciulli, sin dai primissimi anni di vita. Nel suo “Catechetica in briciole” raccomandava che i catechisti fossero scelti con cura, non come “animatori”, ma come uomini di fede, di esempio, di pietà…. Su di loro, sosteneva, si edifica la Chiesa. Luciani chiedeva che avessero: amore, pazienza, senso della giustizia, scienza, capacità di adattarsi, chiarezza (“meglio poco e bene che tanto e confuso”), e arte del saper raccontare… Anche ai sacerdoti diceva: “Si predica troppo, si istruisce poco…Le prediche son su, alte, aeree, vicine alle canne dell’organo; bisogna scendere vicino ai cuori, con il catechismo”. E aggiungeva: “Si dice che anche la filosofia e la scienza sono capaci di far buoni e nobili gli uomini. Ma non c’è neppur confronto con il catechismo, che insegna in breve la sapienza di tutte le biblioteche, risolve i problemi di tutte le filosofie e soddisfa alle ricerche più penose e difficili dello spirito umano”. Chi volesse comprendere questo aspetto di Luciani, legga l’ultima fatica di Cristina Siccardi, “Giovanni Paolo I, una vita per la fede”: risulterà chiara la concretezza di quest’uomo, così lontano dalle fumisterie di quei teologi che rifuggono le definizioni di Pio X ed il suo catechismo, perché desiderosi di avvolgere ogni verità rivelata nel fumo del dubbio, dello scetticismo, dell’intellettualismo che tutto corrode.


Il Foglio, 1 novembre 2012

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