martedì 30 ottobre 2012

Intervista di Paix Liturgique a don Nicola Bux




Favorire la rinascita del sacro nei cuori

fonte: Paix Liturgique lettera n. 35

All'udienza generale dello scorso 3 ottobre, Benedetto XVI ha voluto sottolineare la centralità della liturgia, e ha insegnato che essa "non è una specie di 'auto-manifestazione' di una comunità", ma "implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto". È estremamente significativo che un discorso così denso sia stato pronunciato proprio nell'imminenza dell'apertura dell'Anno della Fede: ciò testimonia del ruolo fondamentale che Benedetto XVI assegna alla liturgia nel suo magistero e anche nella nuova evangelizzazione.
A cinque anni dall'entrata in vigore del Motu Proprio e in vista dell'ormai imminente pellegrinaggio "Una cum Papa nostro", che porterà a Roma il "popolo del Summorum Pontificum", abbiamo chiesto a uno dei più profondi conoscitori del pensiero liturgico del Papa, don Nicola Bux, di fare il punto sullo status quaestionis. Autore del best-seller "La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione", Don Nicola è, fra l'altro, Consultore dell'Ufficio per le celebrazioni liturgiche del Santo Padre e della Congregazione per il Culto Divino.

1) Don Nicola, 49 anni dopo la sua promulgazione, la costituzione apostolica Sacrosanctum Concilium sembra ancora essere lettera morta in tante diocesi del mondo. Per non parlare della riforma della riforma di Papa Benedetto, della quale lei è un ardente promotore, che fatica ad arrivare nelle nostre parrocchie: in Italia come in Francia, pochi altari e santuari sono stati ripristinati per rispondere all'invito papale a una maggiore solennità del culto liturgico. Come spiega questa distanza tra gli orientamenti liturgici romani e la realtà delle messe domenicali?

Risposta: La Chiesa, lo sappiamo dalla sua storia, si sviluppa mediante riforme e non rivoluzioni, diversamente dal mondo.Perchè sono i suoi uomini a dover cambiare il cuore e la mente, e poi ciò influisce positivamente sul cambiamento delle strutture: un cambiamento che è come lo sviluppo organico del corpo, senza abnormità o sussulti. Così avviene per la sacra liturgia: si sviluppa in modo quasi impercettibile da forme preesistenti; se invece ce se ne accorgesse bruscamente, vorrebbe dire che non è avvenuto un 'aggiornamento' ma un cambiamento da una cosa ad un'altra, per cui la norma della preghiera (lex orandi) non corrisponde alla norma del credo (lex credendi). Si è caduti in errore e persino in eresia.
Dell'opera di riforma di papa Benedetto XVI, non solo della liturgia ma della Chiesa, visto lo stretto rapporto tra le due, ci si accorge che non è altro che l'attuazione della Costituzione liturgica del Vaticano II, solo se interviene la osservazione appena indicata. Il problema pertanto non è innanzitutto di ripristinare l'altare in modo che si possa celebrare nelle due forme del rito romano, ma di favorire la rinascita del sacro nei cuori, ossia la percezione che Dio è presente tra noi e quindi il culto è divino, la liturgia è sacra se riconosce la Sua presenza, cioè la adora, e implica gli atteggiamenti conseguenti: inginocchiarsi, raccogliersi, far silenzio, ascoltare ecc. Quanto alla distanza tra la liturgia papale e quelle locali, c'è da riflettere: siamo cattolici se riconosciamo il primato del Successore di Pietro, ossia la responsabilità personale datagli dal Signore sulla Chiesa universale; ora, se nella Chiesa universale vi sono diversi riti in specie orientali, a capo dei quali stanno i patriarchi, a capo di quello romano c'è il Vescovo di Roma che, celebrando in san Pietro o nei viaggi apostolici, opera la salvaguardia dell'unità sostanziale del rito romano nelle diversità locali (cfr SC 38). Per queste ragioni, la liturgia celebrata dal Vescovo di Roma, non solo è esemplare ma typica, ovvero normativa, in quanto attua le prescrizioni dei libri liturgici, come tutti sono tenuti a fare ovunque, se sono cattolici.

2) Si sa bene ormai che il Santo Padre propone e non impone. Così sembra fare il Culto divino che pubblica molti documenti ma senza ricorrere a misure normative, pensiamo in particolare alla questione della comunione in mano che è emblematica di un abuso divenuto legge. Da due anni, lei è consultore della Congregazione per il Culto Divino: qual è il potere reale della Congregazione in materia?

Risposta: Il Santo Padre non propone sue idee sulla liturgia, ma custodisce e innova (? n.d.r.) quanto la Chiesa riceve dalla tradizione apostolica e da Gesù stesso. Nè una proposta nè una imposizione, bensì l'obbedienza a Qualcosa che viene sempre prima di noi e che da noi è ricevuto. I documenti dei dicasteri della Curia romana devono solo tradurre in atto tutto ciò, incluse le misure normative e le sanzioni previste dal diritto canonico. Un esempio: l'Istruzione Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare nella Ss. Eucaristia. Chi è al corrente, per esempio, della differenza tra legge e indulto? Perciò non sa risolvere la questione del modo di fare la S.Comunione.
Il punto è che oggi va ricompreso nella liturgia non solo, ma nella Chiesa, il diritto di Dio, il suo primato e le conseguenze che ha sull'etica come sul culto a lui dovuto. Possiamo noi inventarci la legge morale? Nemmeno dunque potremmo inventarci il culto senza cadere nel peccato di farci un dio a modo nostro, ossia l'idolatria. Su questa questione per fortuna proprio Joseph Ratzinger aprì il dibattito con il noto testo Introduzione allo spirito della liturgia; raccolto esemplarmente dal cardinal Raymond Leo Burke ne: La Danza vuota intorno al Vitello d'Oro, ed.Lindau, e recentemente dal libro di Daniele Nigro, I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II, ed.Sugraco.

3) Nella lettera ai vescovi che accompagna il Summorum Pontificum, il Santo Padre invitava all'arricchimento mutuo delle due forme dell’unico rito romano ma per arrivare a quest'arricchimento ci deve prima essere un incontro fra le due liturgie. Come si fa se la forma straordinaria rimane fuori dalle parrocchie: non è la messa parrocchiale il luogo naturale per quest'incontro?

Risposta: Il Santo Padre ha ripristinato il rito romano celebrato fino al Vaticano II, definendolo 'forma extraordinaria' rispetto a quella ordinaria uscita dalla riforma post-conciliare. Lo ha fatto perchè consapevole a motivo degli studi fatti e dei rapporti con insigni studiosi della liturgia, alcuni dei quali periti conciliari, che non erano soddisfatti di quanto si era riformato, ma nemmeno dello stato precedente: si pensi a Joseph Andreas Jungmann, autore di Missarum Sollemnia. Di qui la ragione innanzitutto dell'arricchimento mutuo tra le due forme, da perseguire con avvedutezza e pazienza, cosa che avviene celebrandole entrambe come sta già avvenendo dappertutto. Non è vero che il Papa ha pubblicato il Motu proprio per fare un piacere alla Fraternità Sacerdotale San Pio X: è del tutto alieno dal suo stile e dal suo pensiero. E' vero invece che deve portare la pace in tutta la Chiesa, dopo decenni di abusi e teoremi, resistenze e indulti. L'incontro tra le due forme avviene semplicemente celebrandole da parte del medesimo sacerdote e offrendole ai fedeli. Ma ci vorrà tempo per prepararsi, perchè molti ecclesiastici non conoscono più il latino; e si devono preparare anche i fedeli all'attuazione piena dei n 36 e 54 della Costituzione liturgica che prevedono l'affiancamento delle lingue correnti al latino, lingua dell'unità della Chiesa universale. Domando: è più giusto che in un santuario come Lourdes si celebri la Messa 'internazionale', in più lingue, sicchè ogni gruppo ne capisca la quinta parte? Oppure una Liturgia cattolica, nella lingua latina che fa sentire tutti membri dell'Una Santa Cattolica e Apostolica? Per mettere i fedeli in condizione di capire, è necessario cominciare con sussidi bilingue, e in ogni cattedrale e parrocchia si arrivi a celebrare la Messa secondo il dettato del n 36, come sta facendo il Papa ovunque vada. Questo si può fare anche col Messale di Paolo VI editio typica latina. Perchè la Chiesa universale deve ricorrere all'inglese, quando ha la sua koinè nella veneranda lingua latina?

4) A inizio settembre, ha partecipato a un incontro in Brasile sul Summorum Pontificum, promosso da alcuni vescovi: può dirci che cos'ha visto e imparato da questo viaggio?

Risposta: Ho imparato ancora una volta come sia vero ciò che dice il Signore nell'Apocalisse: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (21,5). Dove primeggiava la teologia della liberazione, si va affermando la Messa in forma extraordinaria, in molte città del Brasile. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in modo sereno e costruttivo attuano l'insegnamento di Benedetto XVI, si celebra nelle due forme del rito romano e si affronta il dibattito secondo il metodo suggerito da san Pietro: Adorate nei vostri cuori il Signore Cristo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi, con dolcezza, rispetto e buona coscienza (cfr 1 Pt 3,15-16).

5) Infine, sabato 3 novembre, in basilica vaticana, il cardinale Cañizares, Prefetto del Culto divino, celebrerà la forma straordinaria in chiusura del pellegrinaggio del popolo Summorum Pontificum a Roma. Che cosa le suggerisce questa notizia: possiamo vedere in questo gesto di colui che è il custode della liturgia per il Santo Padre un esempio dello spirito autentico della comunione ecclesiale che è tanto mancata nel tormentato post-concilio?

Risposta: Il gesto del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti vuole dimostrare una voltà di più che nessuno è di troppo nella Chiesa, come disse il Papa ai Vescovi francesi nel suo viaggio in Francia nel 2008. La sacra liturgia si differenzia dalle devozioni private per il fatto che è il culto pubblico della Chiesa e non la devozione di singoli, di gruppi o di movimenti. A questi possono essere stati concessi alcuni adattamenti, ma nella salvaguardia dell'unità del rito romano nelle sue due forme ordinaria e extraordinaria. Non sono ammesse altre forme per gruppi particolari. Tuttavia ritengo che per il Papa l'urgenza grande è che il rito romano innanzitutto nella forma ordinaria sia celebrato con fede, dignità e osservando le prescrizioni dei libri liturgici.
In tal modo, la Messa in forma extraordinaria promossa dal Coetus Internationalis Summorum Pontificum deve rappresentare un segno di obbedienza e comunione col Papa. Senza la comunione affettiva ed effettiva col Sommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui, non si può dire d'essere cattolici. Chiederemo istantemente al Signore l'unità - viene da unus cioè stare insieme intorno ad Uno - e la pace, sinonimo della comunione - viene da cum-munera - mettere insieme i carismi di ciascuno. E speriamo che cessino le rivalità e l'autoaffermazione, e si promuova la fraternità tra tutti nella carità di Cristo, a cominciare dal proprio ambiente, regione e nazione.

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